Friulano Zegla 2010, Renato Keber

Uno dei tópoi dell’appassionato di vino è il classico sbattone per trovare la cantina presso la quale hai prenotato la visita: imposti l’indirizzo sul navigatore, ma tipicamente si tratta di una località di campagna piuttosto isolata (e mi sembra anche giusto) che il malefico aggeggio spesso non conosce oppure, peggio, finge di conoscere e poi invece ti consegna al tuo destino (letteralmente: “la tua destinazione si trova sulla destra”) nel bel mezzo di un bosco o di una strada sterrata senza un casolare nel raggio di qualche chilometro.

Ecco, se una volta vi capitasse una gita nel Collio, mentre vi aggirerete con calma tra colline e paesini, non potrete che rimanere un po’ storditi dal continuo imbattervi involontariamente in aziende vitivinicole più o meno note.
Quanto sopra giusto per testimoniare la vocazione di un territorio praticamente unico nel panorama nazionale.

Il centro di questo piccolo (ma neanche poi tanto) mondo è Cormons, il comune in cui risiede l’azienda di Renato Keber, che gestisce quindici ettari esposti a sud-est della collina Zegla.

Ed è proprio con il nome di questa collina che viene intitolato il Friulano di Renato Keber, una vera e proprio bomba sotto mentite spoglie: solitamente il Friulano è un vino di buon carattere ma rispettoso, difficilmente sopra le righe, amante dell’abbinamento gastronomico, .
Ma questo, appunto, non è il solito Friulano.

Denominazione: Collio
Vino: Friulano Zegla
Azienda: Renato Keber
Anno: 2010
Prezzo: 25 euro

Il liquido è paglierino carico (viene eseguita una lievissima macerazione), dal naso fresco, giovane e ricco di frutta e fiori di campo con in sottofondo richiami alla frutta secca.
Il sorso è molto gustoso, mordente e di grande acidità, tanto che l’alcol (ben 15 gradi) è impossibile da decifrare, così come la struttura: il vino sembra tutto sommato meno imponente di quel che è.
Verso metà o fine sorso curiosamente ho una allucinazione di Sauvignon invecchiato, e poi si chiude ovviamente con la mandorla (ma l’amaro è più che gradevole).

Il potenziale di invecchiamento mi sembra notevolissimo, e, come naturale per il vitigno, si tratta di un vino gastronomico come pochi, capace di abbinarsi  bene a quasi tutto nonostante la possenza, dai taglieri di salumi, ai formaggi di media stagionatura fimo a secondi di carne bianca o pesci salsati.

Il bello: piacevole potenza, gastronomico, ottime possibilità di invecchiamento

Il meno bello: la persistenza potrebbe essere migliore

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Il Collio (ma anche Isonzo e Carso). Parte terza: l’antro dell’alchimista Stanislao Radikon

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Per la terza tappa del mio personale avvicinamento alla cornucopia dei produttori Friulani occorre inerpicarsi sulle alture che, dalle spalle di Gorizia conducono al colle di San Floriano, in luoghi tristemente noti per i caduti delle battaglie della Prima Guerra Mondiale, celebrati appunto nel Sacrario Militare di Oslavia.

In un’era di navigatori e telefonia mobile sembra facile trovare un indirizzo, tanto più se si tratta di quello di un produttore così noto come Radikon; in realtà il cellulare non funziona, perché siamo a pochi passi dal confine sloveno e l’oggetto decide di scegliere l’operatore in roaming, e il GPS è in difficoltà a condurmi a Località Tre Buchi n.4.
Alla fine, e l’episodio credo la dica lunga sulla filosofia aziendale, son costretto a scendere dall’auto e vagare sotto la pioggia verso l’unica casa che probabilisticamente può essere la mia meta, peccato che non sia presente alcun cartello o insegna; mi deciderò a bussare solo dopo aver notato sul retro alcune cassette con stampata sopra la ragione sociale…

RadikonL’importante è arrivare in qualche modo, peccato che l’appuntamento concordato sia passato in secondo piano (se non proprio dimenticato) a causa della pioggia, che minaccia il merlot ancora da raccogliere: gli altri produttori hanno vendemmiato tutto da diversi giorni, ma Stanislao Radikon ha voluto rischiare e ora è impegnato in vigna.
Vengo comunque accolto dalla moglie Suzana, che mi mostra le pendenze che ospitano i dieci ettari: siamo su un territorio posizionato a poco meno di 200 metri di altitudine, ben ventilato ed esposto a notevoli escursioni termiche, di composizione argillosa, che in profondità si compatta fin quasi a diventare roccia e che, a causa dello scoscendimento, può essere lavorato per la maggior parte solo manualmente,

Radikon

Si entra in cantina, dove Saša, il figlio di Stanislao, pur se assai indaffarato si ritaglia qualche minuto per parlare con me; proprio la figura di questo giovane vignaiolo sarà uno dei momenti più interessanti della visita: Saša è laureato in viticultura ed enologia, e il suo approccio pragmatico alla vinificazione è un interessante contrasto con l’immagine dogmatica della cultura aziendale che mi ero autonomamente creato, leggendo e assaggiando i vini.
Un passo indietro: Radikon, di cui ho già scritto qualcosa in passato, è uno dei beniamini degli amanti dei cosiddetti “vini naturali”: già dalla fine degli anni ottanta ha iniziato a percorrere al contrario la vicenda della tecnologia applicata al vino, quindi via l’acciaio per tornare al legno, reintroduzione alle lunghe fermentazioni sulle bucce anche per i vini bianchi, fino ad arrivare nel 1999 alla eliminazione di qualsiasi aggiunta di solforosa. In pratica tutte le sostanze utili alla conservazione anti-ossidativa vengono estratte dalle bucce, ma la condizione affinché questo procedimento (rischioso, come mi conferma Saša, in particolare nel caso di esportazione delle bottiglie) abbia successo è la perfetta salute dell’uva quando arriva in cantina, di qui la necessità di una selezione feroce in pianta.
RadikonE il contrasto di cui dicevo prima è anche visivo: la cantina della famiglia Radikon, piuttosto buia, con la roccia a vista e colma di vecchie botti in legno, forse anche a causa della suggestione dei vini lì dentro prodotti in maniera quasi ancestrale,  in qualche modo ricorda l’antro di un alchimista.
Un alchimista al contrario, visto che il procedimento è semplice ed è basato sulla sottrazione piuttosto che sulla aggiunta di sostanze miracolose: si diraspa e si esegue la fermentazione sulle bucce in botti da 25-35 hl effettuando frequenti follature, senza aggiungere alcun lievito; quando la fermentazione alcolica è terminata si sigilla la botte, lasciando le bucce sul fondo. Segue poi l’affinamento (e sono anni: tre, quattro… dipende) e l’imbottigliamento, quindi ancora circa un anno di attesa prima di andare in commercio. Fine. Su questa base, Stanislao ha sperimentato negli anni, allungando e perfezionando la tecnica della macerazione, modificando gli affinamenti, sia in funzione del millesimo che delle proprie convinzioni.

DSC_0494Il risultato di tanto impegno lo scopro quando ci si trasferisce in sala ed è il momento di assaggiare qualcosa assieme alla signora Suzana: si inizia con i vini più semplici, ideati e prodotti da poco tempo in autonomia da Saša, si tratta dello Slatnik (Chardonnay 80% e Friulano 20%) e del Pinot Grigio. In questo caso la macerazione è limitata a una quindicina di giorni circa, l’affinamento a 18 mesi e c’è una leggera solfitazione; ne risultano vini di certo più freschi e semplici da bere, comunque ricchi di profumi e gustosi, a mio parere anche più facili da abbinare nei pasti. Certo, meno unici.

I pezzi da novanta, i vini per cui Radikon è famoso, sono però altri: lo Jakot (significativamente Tokaj scritto alla rovescia, si tratta di Friulano al 100%), la Ribolla, l’Oslavje (un blend di Sauvignon, Pinot Grigio e Chardonnay) e il Merlot.
Lo Jakot 2007 è giallo dorato, lucente nonostante la mancanza di filtrazione, intenso, con una discreta aromaticità che non oltrepassa mai il limite dello stucchevole, buon corpo e tanta freschezza. Tra i vini di questa seconda batteria, quelli con macerazione “estrema”, mi pare quello più abbordabile per il pubblico comune.
La Ribolla (ho assaggiato il 2004 e uno stupefacente 1999) è il vitigno principe, sia perché tradizionale per la zona, sia perché la buccia molto spessa ben si presta alle lunghe macerazioni.
Il 2004, di colore ambrato, è olfattivamente ricchissimo: frutta gialla, floreale e speziatura, forse anche un accenno erbaceo. Al sorso, grande acidità e sensibile tannino, ma è tutto sotto controllo. Notevole la lunghezza.
Il 1999 resta ambrato nel colore, ma ancora più vertiginoso aromaticamente, si aggiungono il miele, la camomilla e tutto quello che vi pare: basta aspettare e il bicchiere regala di tutto. Enormi sapidità e lunghezza.
Ho bevuto anche il Merlot 2002, ma a mio parere era poco giudicabile: la bottiglia era aperta da tempo e il vino davvero spento. Peccato.

P.S:: Il mese seguente alla mia visita, Stanislao e sua moglie sono stati protagonisti di una degustazione dalle mie parti. Ho avuto occasione di assaggiare lo Slatnik 2011, lo Jacot 2006, le Ribolla 2006 e 2005 e gli Oslavje 2006, 2005, 1999, 1998 e 1997.
Brevemente: confermo le impressioni dello Jacot, secchissima la Ribolla 2006, leggermente più rotonda la 2005, ma sono gli Oslavje che mi conquistano, trovo che il blend permetta complessità aromatiche superiori.
Non al massimo il 1997, che sembra un po’ a fine corsa già dal colore scarico, due le bottiglie aperte del 1999, curiosamente molto diverse l’una dall’altra, già ottimo il 2006, che immagino un campione tra qualche anno. Meno ricco il 2005, sembra un po’ chiuso. Travolgente il 1998, frutta secca, miele, fiori, spezie…

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Il Collio (ma anche Isonzo e Carso). Parte prima: l’ospitalità di Roberto Picech

picech

Picech

Basta osservare la forma della cantina, un perfetto quarto di cerchio, per capire qualcosa della personalità di Roberto Picech e di conseguenza anche dei suoi vini.
L’architetto cui si era rivolto al momento della costruzione gli aveva proposto un cubo o una grande “L” che abbracciasse l’aiuola dinanzi alla costruzione, ma a Roberto entrambe le idee sembravano scontate, così si è fatto venire in mente questa stranezza, coreografica, non pacchiana, comunque funzionale. Poi, per buon peso, Roberto ne ha anche costruito buona parte del tetto con le sue mani!
Quanto sopra me lo ha raccontato lui, con una piccola punta di orgoglio condita da vari attestati di modestia, come se tutto ciò fosse roba quotidiana.
Geniale e razionale, estro e applicazione.

Picech

Di Picech avevo già scritto dopo averlo incontrato dalle mie parti, e in quella occasione, oltre ad averne apprezzato i vini, avevo avuto modo di gradire il suo garbo e la sua comunicatività. Per questo, quando ho voluto trascorrere qualche giorno in Friuli, non ho avuto dubbi e ho deciso di far base a Cormons, prenotando una camera presso la sua struttura, una splendida casa di campagna immersa nel silenzio dei vigneti e ristrutturata in maniera encomiabile per cura dei dettagli, ampiezza degli spazi e sobria eleganza.

PicechPicechLa camera che ho scelto è situata nella torretta che sovrasta la struttura ed è in realtà un vero e proprio appartamento: si sviluppa su due piani (sotto ingresso, bagno e armadio; sopra la zona letto vera e propria),  e gode di una vista mozzafiato sulle colline grazie alle grandi vetrate disposte su tutte e quattro le pareti e ad un bel terrazzino.

A completamento dell’accoglienza, non posso non citare la Vespa gialla, messa a disposizione degli ospiti per

Vespa

esplorare il territorio in pieno contatto con la natura, e soprattutto la sontuosa colazione, ricchissima di prodotti di grande qualità: oltre ai consueti cereali, frutta e yogurt, vengono offerti il prosciutto di D’Osvaldo, vari formaggi artigianali, marmellate fatte in casa e uno dei migliori strudel mai assaggiati.

La visita della cantina, gli assaggi e una lunga chiacchierata con Roberto, sono stati l’occasione per una piccola confessione, il suo non amore per la ribolla, che difatti usa solo in blend, e per ribadire la sua filosofia di vinificazione: vini di carattere prodotti con naturalità (no ai lieviti selezionati e al controllo delle temperature, minimo uso di solforosa), 

picechsenza estremismi (leggi: senza ricorrere alle lunghe macerazioni, usate con frequenza in zona), sempre piacevolissimi, ricchi di mineralità e sapidità, adatti al lungo invecchiamento ma godibili fin da subito.

picechNessuna nota di degustazione particolare, non ho scoperto nulla che non conoscessi già, ma ho ritrovato sempre notevole lo Jelka, e personalmente continuo ad avere un debole per l’Athena, però prodotto solo in magum e in numero limitato di bottiglie…

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Oslavje 1997, Radikon: sapida naturalità

Denominazione: DOC Collio
Vino: Oslavje
Azienda: Radikon
Anno: 1997
Prezzo: 30 euro

radikonOggi che è di moda parlare di vino naturale, biologico, biodinamico eccetera, sorge il sospetto che molti produttori che si avvicinano a queste metodologie lo facciano non tanto per convinzione, quanto per il (legittimo, per carità) intento commerciale di cavalcare l’onda.
Di certo, quanto sopra non si può neppure lontanamente immaginare per una azienda come Radikon, che già dal 1995 ha deciso di radicalizzare il proprio metodo lavorativo sia in vigna che in cantina: ecco dunque il rifiuto di concimi chimici, rese bassissime nel vigneto, vendemmia manuale, fermentazione con soli lieviti autoctoni e senza controllo della temperatura, macerazioni molto lunghe (anche per i vini bianchi), nessuna filtrazione e nessuna aggiunta di solforosa; su questa base, Stanislao Radikon ha poi modificato e affinato il processo, ad esempio variando anche notevolmente il tempo di permanenza sulle bucce.

Ne risultano vini certamente particolari e senza compromessi, che se oggi, dopo anni di discussione e di allenamento ai “vini naturali”, possono forse essere compresi con relativa facilità, immagino dovessero essere un bel rebus per il consumatore di quindici anni fa.

Mi sono quindi approcciato con estrema curiosità a questo Oslavje 1997, un uvaggio di Pinot Grigio, Chardonnay e Sauvignon: in sostanza, ho bevuto un vino bianco vecchio di quindici anni, prodotto senza un grammo di solforosa aggiunta.

Ok, ma alla fine come è questo vino?
Visivamente, è giallo dorato quasi ambra, di una certa densità.
Olfattivamente trovo miele, fichi, frutta secca, smalto, vernice e una leggera volatile; certo ci sono grandi complessità e intensità. e gli aromi cambiano con il passare dei minuti, avvicinandosi ora più al terziario (etereo), ora più alla albicocca disidratata, e poi tirando fuori anche qualche timido accenno floreale e di incenso.

In bocca entra secchissimo, curiosamente liscio e fluido (mi aspettavo un sorso decisamente più pieno), poi avvolge con calore e spiazza: data la volatile avvertibile al naso immaginavo una forte acidità, mentre invece le parti dure sono date principalmente dalla enorme sapidità; scendendo in gola traccia con il calore, poi è lunghissimo e lascia salivare la bocca per minuti a causa della sapidità.

Alla fine, mi piace?
Sì, intriga e lascia la voglia di poter affrontare una verticale di varie annate, che immagino sarebbe interessantissima.
Posso parlare di un prodotto estremamente personale e sicuramente diverso dalla maggior parte delle bevute “normali”, che divide e spiazza, e che forse risulta “difficile” non tanto nella degustazione, quanto per la complessità di abbinamento: viene da pensare che si tratti di un vino da bere da solo, o al massimo da abbinare a formaggi stagionati.

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Picech: verticale con prosciutto

Uno degli elementi che più distingue la Cantina du Pusu dell’amico Tassara è l’organizzazione di bellissime degustazioni incentrate di volta in volta su specifici produttori da lui selezionati, così da farli conoscere al pubblico della sua enoteca.

La prima di una serie notevole che si terrà nei mesi di Novembre e Dicembre, è quella con il simpatico e modesto Roberto Picech, produttore del Collio che dal 1989 ha preso in mano l’azienda di famiglia.

Roberto PicechRoberto, per il secondo anno consecutivo, non è sceso in Liguria da solo: ha preferito accompagnare i suoi vini con un monumentale prodotto del territorio, il prosciutto di Cormons del produttore D’Osvaldo, che ha offerto tagliandolo “al coltello” con maestria per tutta la durata della degustazione.

La proposta della serata era incentrata sull’assaggio del bianco Jelka in una verticale delle varie annate dal 2010 al 2004, più il Collio Rosso (uvaggio di cabernet franc, cabernet sauvignon e merlot e il Riserva Ruben (80% merlot, 20% cabernet sauvignon).

Lo Jelka (dal nome della mamma di Roberto) è un blend di malvasia, friulano (ex tocai) e ribolla, vinificato senza lieviti selezionati e senza controllo della temperatura. Parte delle uve fanno una macerazione di circa 12 giorni (ma il periodo varia di anno in anno, in sostanza le bucce vengono tolte al momento della completa conversione degli zuccheri). Affinamento in botte grande e tonneaux.

Senza spaccare il capello con noiose note di degustazione per ogni singola annata, non si può non notare personalità e differenza di ogni bottiglia, pur nella continuità di una riconoscibile linea comune regalata dal territorio: si tratta di vini secchissimi, di buon corpo e alcolicità robusta (13.5 / 14 gradi), minerali, decisamente sapidi e gradevolmente complessi.

Nello specifico: il 2010, pronto ma pur sempre nella sua infanzia, evidenzia enormi potenzialità di invecchiamento, mentre il 2009 e 2006 sono i più rotondi e morbidi del lotto.
Clamoroso il 2004: otto anni sulle spalle e ancora dritto, verticale, freschissimo e sapido, intenso ma delicato e complesso (liquirizia, camomilla), decisamente persistente, pronto ad altrettanto invecchiamento.

Bei vini in vendita ad un prezzo corretto e che, data la spiccata sapidità ed alcolicità, sono adatti all’abbinamento con cibi grassi, succulenti e a tendenza dolce: formaggi non troppo stagionati, salumi, risotti di pesce e crostacei.

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