Tenuta Il Falchetto Brut

La scorsa settimana ad Acqui Terme ho gironzolato qualche minuto nella bella Enoteca Regionale per scampare al caldo formidabile del pomeriggio, e mi è stato proposto il Brut della Tenuta Il Falchetto, una azienda di Santo Stefano Belbo che, a giudicare da quanto leggo sul sito, gestisce un bel po’ di ettari e si dedica alla produzione di una vasta gamma di bottiglie, tutte comunque legate a vitigni del territorio, a parte Chardonnay e Pinot Nero.

Denominazione: VSQ
Vino: Brut
Azienda: Tenuta il Falchetto
Anno: –
Prezzo:18 euro

La scheda tecnica dice solo che si tratta di Chardonnay e Pinot Nero con almeno tre anni sui lieviti, nulla di più…
Purtroppo il vino, pur senza difetti e gradevole, non mi ha lasciato grandissime impressioni; sicuramente positiva la parte visiva, con un bel paglierino illuminato da catenelle fitte e sottili, ma già portando il calice al naso emergono note di panificazione troppo predominanti che sotterrano il resto dello spettro, lasciando una impressione un po’ monocorde.

L’assaggio poi conferma le perplessità a causa di una bolla un po’ grossolana e di una acidità che, seppure ben presente, resta relativamente slegata dal resto del sorso, che in definitiva risulta poco dinamico e interessante.
Anche il dosaggio mi ha dato idea di essere leggermente troppo invadente.

Quindi nessun difetto, ma neppure elementi particolari di distinzione, e soprattutto la bevuta è leggermente faticosa.

Il bello: nessun difetto, prezzo corretto per un metodo classico con almeno tre anni sui lieviti

Il meno bello: dosaggio un po’ invadente, bevuta leggermente faticosa

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Bianc ‘d Bianc Alta Langa 2007, Cocchi

Le Langhe, territorio benedetto per il vino, non godono di gran reputazione per quel che riguarda le bollicine, siano esse da metodo classico o da charmat. 

Il concetto a dire il vero si può estendere a tutta la regione: gli unici vini spumanti piemontesi noti e diffusi sono l’Asti e il Brachetto; poi, a parte piccole eccezioni (penso ad esempio a Gavi e Caluso) c’è  ben poco di noto.

Eppure la zona offre persino una DOCG, l’Alta Langa, di cui si parla ben poco e di cui si trovano ancora meno vini in circolazione.
Non potevo quindi farmi sfuggire l’occasione di assaggiare uno dei prodotti di punta di una azienda astigiana, Cocchi, che sul metodo classico punta molto.
Il vino è un millesimato, ottenuto da Chardonnay al 100% (biotipo “precoce di Borgogna”, specifica il sito) coltivato a 320 metri di altitudine; poi vinificazione in acciaio, lungo riposo sui lieviti (circa 50 mesi!) e infine un leggero dosaggio.

AltaLanga_BiancDBiancDenominazione: Alta Langa DOCG
Vino: Bianc ‘d Bianc
Azienda: Cocchi
Anno: 2007
Prezzo: 21 euro

Il vino è giallo dorato, luminoso, con bolle piccole e fitte. Appena si avvicina il calice, si avverte netta la crosta di pane, poi un leggero floreale fresco e un tocco di agrumi: olfattivo poco intenso ma piacevole.

L’assaggio è molto migliore: deciso, prorompente, secco con sapiente uso del dosaggio (attorno agli 8 grammi litro), non cede a nessuna stucchevolezza e neppure ad alcun finale amaro; le bolle massaggiano il palato senza essere fastidiose e la freschezza è in ottimo spolvero.

Equilibrio millimetrico e bella persistenza sono le doti migliori di un vino che mi è piaciuto molto e ha fatto ottima figura su un risotto al limone con gamberi e scampi.
Sboccatura indicata in retroetichetta: 2013.

Il bello: ottimo equilibrio e bella persistenza
Il meno bello: olfattivo un po’ risicato

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Brut Blanc de Blancs, Cavalleri

Abito in provincia e ho praticamente sottocasa un’enoteca ottimamente fornita, che scandaglio periodicamente alla scoperta di nuove bolle a prezzi umani (il mio concetto di “umano” è il non superamento della soglia dei 30-35 euro).

Potrei farla breve: sicuramente dopo l’assaggio di questa bottiglia proverò ad annoiare il titolare del suddetto esercizio affinché si doti del Blanc de Blancs di Cavalleri…

Cavalleri

Denominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Brut Blanc de Blancs
Azienda: Cavalleri
Anno: –
Prezzo: 25 euro

I dati tecnici (riportati esaustivamente in maniera esemplare sul sito): ovviamente chardonnay 100%, assemblato principalmente da uve vendemmiate nel 2010 e in piccola parte nel 2009.

La fermentazione avviene quasi totalmente in acciaio, con un 10% in botte grande e un minimo saldo in barrique, poi 2 anni sui lieviti.
Tecnicamente siamo in zona dosaggio zero, anche se la dicitura è brut.

Paglierino estremamente intenso; olfattivo finissimo e ricco, dalla netta fragranza e con sfumature tostate, passando per agrumi e classici fiori bianchi. Molto elegante.
Ingresso in bocca deciso, vivace, bolla suadente; freschezza netta che riempie il palato e lo sollecita vigorosamente senza eccessive affilature.
Piacevolissimo, ricco, pieno, polposo; si beve facilmente senza stancare, riproponendo la medesima eleganza trovata al naso.
Prima di leggere i dati tecnici sul sito, avrei immaginato un uso un po’ più deciso del legno.

Nessuna stucchevolezza, nessun amaro finale, bella lunghezza che ripropone tutta la gamma aromatica.
Ottimo vino universale, per uso da aperitivo o a tutto pasto.

Il bello: grandi eleganza ed equilibrio. Ricchezza aromatica
Il meno bello: difficile reperibilità (perlomeno dalle mie parti)

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Bersi Serlini: una giornata particolare

Bersi Serlini

Capita talvolta che l’essere appassionato di questo strano mondo del vino riservi sorprese e curiosità.
Bersi SerliniIl prologo: lo scorso mese ricevo un cortese invito da Bersi Serlini per partecipare al Festival Franciacorta, roba che per un malato di bollicine come il sottoscritto è come scodellare un vasetto di miele davanti a un orso appena risvegliato dal letargo, ma purtroppo a causa di un precedente impegno devo declinare.

Prima sorpresa: mi dicono che non c’è problema e che possiamo concordare un’altra data; beh, lo scorso week-end era “l’altra data”, e quanto segue è la cronaca di un appuntamento che si è rivelato ben diverso da quanto avevo immaginato.

Bersi Serlini

L’antefatto: ero già stato in Franciacorta e ne avevo ricavato impressioni contrastanti; il territorio non mi era sembrato entusiasmante dal punto di vista paesaggistico e, al giudizio sommario di un profano, forse in alcuni casi non del tutto ideale per la viticultura di altissima qualità.

D’altro canto avevo recepito netta l’idea di una zona gestita da produttori alacri, fattivi, sempre estremamente professionali, e infatti il miracolo Franciacorta (una zona vinicola che dal sostanziale anonimato raggiunge l’assoluto protagonismo in Italia e nel mondo nel breve volgere di circa 40 anni) non nasce certo per caso, ma grazie a notevolissimi sforzi imprenditoriali, credo unici in Italia per il settore specifico.

Bersi Serlini

Visitando aziende di varie dimensioni, avevo anche notato in molti casi (non tutti,ovviamente) una certa propensione al lusso, allo sfarzo, alla grandeur un po’ “Milano da bere” che, se ovviamente ben si adatta al marketing internazionale, poco si accorda con la ventata di attenzione alla territorialità e naturalità che soffia attualmente tra gli appassionati.

E, non da ultimo, ammetto di avere a volte qualche riserva sul rapporto qualità-prezzo dei prodotti Franciacorta di fascia base e media, quelli che poi sono destinati alla gran parte di noi comuni mortali.

Bersi Serlini

Date queste premesse, e non conoscendo nulla di Bersi Serlini (che nelle enoteche della mia zona non è attualmente reperibile) se non per quanto riportato da un sito internet francamente demodé e poco ricco di informazioni (ma mi dicono sia in dirittura d’arrivo una ristrutturazione totale), e non lo nascondo, temendo vagamente che il doppio cognome fosse foriero di pretenziose ostentazioni di quarti Bersi Serlininobiliari, mi sono avvicinato a Provaglio d’Iseo con un certo scetticismo: normalmente chiedo appuntamenti ad aziende ben più piccole, sperando di avere un contatto reale con il produttore e potendo quindi dare un senso alla visita, non riducendola ad un banale tour tra i fermentatori condito da assaggi e sputacchiate.

Bersi Serlini

Come scrivevo all’inizio, a volte le sorprese accadono e magari anche più di una nella stessa giornata; la prima è che al mio arrivo ho trascorso diverse ore non con un addetto alla comunicazione, ma direttamente con la disponibilissima patron, Chiara Bersi Serlini, che si è rivelata persona semplice e alla mano, oltre che visibilmente appassionata del suo lavoro ed estremamente comunicativa.

Bersi Serlini

 

Chiara ha fatto iniziare la visita con un inusuale quanto piacevole sopralluogo dei 30 ettari di vigne a bordo di una auto elettrica, e subito ho avuto la seconda sorpresa: i filari che circondano la cantina lambiscono la riserva naturale Torbiere, una sorta di affascinante propaggine del lago d’Iseo ricca di fauna, piacevolmente selvaggia e silenziosa.

Abbiamo proseguito visitando il complesso antistante la cantina, articolato sulla base di una costruzione vecchia di mille anni, valorizzata da una sapiente illuminazione e recentemente ristrutturata e adibita a foresteria e salone per ricevimenti e congressi.

Bersi Serlini

Bersi Serlini

La cantina, molto di impatto come facilmente immaginabile, per fortuna non tradisce eccessive velleità coreografiche; il processo di vinificazione è tradizionale: raccolta manuale delle uve (principalmente Chardonnay, ma anche Pinot bianco e Pinot nero) in piccole cassette e rapido trasporto in cantina, facilitati dalla adiacenza delle vigne.

Bersi SerliniPoi pressatura soffice, temperature controllate e lieviti selezionati, solforosa in dosi minime, in molti casi passaggio in botte piccola e quindi imbottigliamento. Curiosamente, visto il numero di bottiglie prodotte, il remuage è manuale.Bersi Serlini

 

Gli assaggi sono stati un esempio da manuale di quello che ogni appassionato vorrebbe trovare in queste occasioni: le bottiglie sono state stappate tutte appositamente per me, servite e commentate dalla titolare della azienda, e accompagnate con taglieri colmi di ottimi affettati, parmigiano e grissini! Davvero impossibile chiedere di meglio.
Bersi SerliniChi mi segue sa che non sono troppo amico delle descrizioni immaginifiche applicate alla degustazione, e che, per quanto mi diverta nelle occasioni di assaggio seriale, ho grossi dubbi sulla validità e replicabilità delle informazioni che se ne traggono, e che per questo mi limito a qualche impressione su quello che mi colpisce maggiormente, senza la pretesa di avere giudizi oggettivi da spendere.
In generale mi è parso di riuscire a cogliere una filosofia aziendale riconoscibile in tutta la linea di prodotto: grande classicità di gusto, pulizia ed equilibrio millimetrico dei vini, senza eccessi di morbidezza da dosaggio o acidità sparate a mille, uso della botte piccola praticamente inavvertibile, sentori di panificazione tipici della permanenza sui lieviti estremamente delicati, e soprattutto assenza di finale amarognolo pronunciato, che è una delle caratteristiche che meno amo nei metodo classico, in quanto trovo si rinforzi con la durezza delle bollicine e spesso sfoci in un risultato poco piacevole.

Trascrivo qualche appunto preso in diretta durante gli assaggi:

  • Brut 50 Anniversario:
    100% Chardonnay, 24 mesi sui lieviti. Paglierino verdolino, perlage finissimo, fragrante, al naso nettissima mela verde.
    Semplice e fresco, valida alternativa ad un banale charmat come aperitivo
  • Satèn:
    Chardonnay 100%, 30 mesi sui lieviti. Paglierino, perlage leggermente più grande rispetto al precedente. Mi ha colpito per assenza di ruffianerie a volte tipiche dello stile. Intenso, ricco, frutta matura e leggero anice.
    Davvero piacevole.
  • Brut Cuvée 4, 2008:
    Chardonnay 100% dai 4 vigneti più vecchi, 48 mesi sui lieviti. Giallo dorato, bolla estremamente fine, molto morbida in bocca, naso molto intenso e complesso, fiori bianchi, leggera speziatura, frutta matura.
    Già così molto interessante, voglio risentirlo tendolo con calma nel bicchiere: mi sembrava evolversi in maniera notevole
  • Brut:
    80% Chardonnay, 20% Pinot bianco, 20 mesi sui lieviti. Paglierino verdolino, bolla fine e continua, naso abbastanza intenso e piacevole, floreale.
    Forse il vino che mi ha colpito meno
  • Extra Brut Riserva 2004:
    Chardonnay 70%, Pinot bianco 30%, 84 mesi sui lieviti. Paglierino carico, bolla copiosa e continua, fine. Olfattivo inizialmente troppo lieve, occorre attendere qualche  minuto per ottenere ricchezza di panificazione e frutta secca. Bocca straordinariamente piena, intensa, lunga.
    Il vino che ho sicuramente preferito.
  • Brut Cuvée Rosé:
    Chardonnay 70%, Pinot nero 30%, 24 mesi sui lieviti. Colore rosa timido, bolla fine, olfattivamente robusto, si distingue netto il Pinot nero. Di buona potenza in bocca, forse un po’ monocorde. Un buon prodotto non del tutto compiuto: forse un affinamento più prolungato potrebbe regalare maggiore complessità?

Bersi SerliniHo colpevolmente saltato il Demi Sec, che peraltro mi era stato lasciato in fresco in camera per assaggiarlo dopo la cena, ma francamente dopo aver bevuto anche a pasto (consumato presso l’Hostaria Uva Rara di Monticelli Brusati, magari ne parlerò in un altro post) lo avrei aperto per berne solo un sorso e mi sembrava davvero uno spreco!

In conclusione, ho scoperto una Franciacorta diversa, paesaggisticamente più gradevole e naturale, e una azienda condotta con grande umanità ma altrettanta ambizione (posso solo immaginare lo sforzo legato alla comunicazione, se la gentilissima Chiara si è prodigata così tanto con me, signor nessuno), direi giustificata da una gamma di prodotti che ho trovato ben fatti con alcune punte di eccellenza. Non guasta il fatto che il listino prezzi mi sembra del tutto adeguato alla qualità, e compatibile con le mie tasche di consumatore medio.

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Balter Brut: ottimo rapporto qualità prezzo

La denominazione Franciacorta goda di notorietà tanto superiore rispetto ad altre realtà spumantistiche italiane per vari motivi: i meri numeri (la quantità di bottiglie prodotte di fatto rende la DOCG lombarda “IL” metodo classico italiano), l’ottimo lavoro di comunicazione svolto dal Consorzio, la grande imprenditorialità delle aziende coinvolte e, certo, una qualità media di buon livello con punte di sicura eccellenza.

Resta il fatto che ci sono altre zone in Italia in cui si imbottiglia ottimo metodo classico, penso in particolare a Trento, che può vantare una ottima propensione territoriale per la produzione di questa tipologia e altrettanta tradizione (basti pensare alle storiche Cantine Ferrari).

Un produttore che non conoscevo e che è entrato recentemente nella mia enoteca di fiducia è Balter: 10 ettari su di una collina a 350 metri, accanto a Rovereto. L’azienda produce anche alcuni vini fermi bianchi e rossi ma è sicuramente più nota per gli spumanti, dei quali ho assaggiato il Brut “base” e la Riserva.
A seguire, le mie impressioni sul Brut, prodotto da sola uva Chardonnay raccolta manualmente e fermentata parte in acciaio e parte in piccole botti di rovere, con sboccatura dopo 36 mesi sui lieviti.

Denominazione: Trento DOC
Vino: Brut
Azienda: Balter
Anno: –
Prezzo: 15 euro

balterBello da vedere: giallo paglierino con accenni dorati, schiuma abbondante, bolla fitta, continua e molto fine.
Olfattivo lieve, non di grande complessità (agrume, fiori bianchi), ma sicuramente piacevole e fresco. Quando si scalda ho l’impressione di avvertire un leggero anice e anche una lontana eco del rovere.
In bocca la sensazione che risalta è l’equilibrio: il dosaggio si avverte ma non è fastidioso, la bolla è presente ma senza essere aggressiva. La freschezza è ottima, e il finale è di media lunghezza.

Direi che è un vino facile (“facile” nel senso buono del termine: può piacere sia all’appassionato più smaliziato che al bevitore occasionale), ma di qualità e dall’ottimo rapporto qualità/prezzo.

Indicato in retroetichetta l’anno di sboccatura (2012, in questo caso): bene, ma mi piacerebbe che fosse riportato anche il mese.

Il bello: grande equilibrio e ottimo prezzo
Il meno bello: poca complessità olfattiva

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Bolle per tutti: i vini spumanti

Tempo di feste uguale tempo di vini con le bollicine.

Non mi è ben chiaro per quale motivo, ma in generale in Italia questa tipologia di vino si consuma quasi solamente sotto l’albero o comunque in momenti di celebrazione, magari con vini secchi in criminale abbinamento al panettone.
Detto che per me le bolle sono uno dei piaceri della vita e che mi faccio promotore di un comitato che ne sponsorizzi il consumo se non quotidiano perlomeno settimanale, credo di fare cosa gradita (dopo aver sentito vari discorsi in la confusione regna sovrana su dosaggio, metodo di lavorazione ecc) proponendo la mia semplificazione sulla faccenda.

Intanto facciamo chiarezza sulla principale differenza: la spumantizzazione può avvenire o con Metodo Classico (anche detto della rifermentazione in bottiglia o champenoise) o con Metodo Martinotti-Charmat (solita diatriba italo-gallica: Martinotti lo ha ideato e il francese lo ha utilizzato e brevettato).
Esiste anche un metodo, poco usato, detto “Charmat lungo”, che è una sorta di ibrido dei due.

Il Metodo Martinotti-Charmat:
è particolarmente indicato per vini spumanti prodotti da uve aromatiche o semiaromatiche (brachetto, moscato, prosecco/glera, malvasia), con le quali si ottiene un prodotto semplice, da bere giovane, con colore tenue verdolino/paglierino, fruttato e di gradevole freschezza, che può essere secco, amabile o dolce.
Si parte da un vino base, fermo, a cui viene aggiunto un “liquore di tiraggio”, composto da vino, lieviti, zuccheri e sali minerali, grazie al quale in autoclave (un contenitore ermetico resistente alla pressione) avviene la presa di spuma, che dura pochi mesi, nei quali i lieviti convertono gli zuccheri in alcol e anidride carbonica; la quantità di zucchero determina la pressione finale (una atmosfera ogni quattro grammi/litro).
Seguono la filtrazione e l’imbottigliamento isobarico (cioè mantenendo la pressione originale).

Il Metodo Classico o Champenoise:
si ottiene un prodotto più maturo, complesso e strutturato rispetto al metodo Martinotti.
Le uve vengono raccolte leggermente in anticipo (in modo da ottenere maggiore acidità) e trattate con pressatura soffice e temperatura controllata; di solito la fermentazione viene innescata con l’inoculo di un “pied de cuve”, composto da lieviti, zuccheri e altre sostanze nutrienti.
Si ottengono così dei vini base da assemblare nella “cuvée”, una miscela di diverse vigne e annate, creata per garantire costante lo stile gustativo della casa di produzione. Se  la cuvée è composta da almeno l’85% dei vini della stessa annata, si può parlare di “millesimato”, altrimenti di “sans année”.
La cuvée con in aggiunta il “liquore di tiraggio” viene imbottigliata in modo da ottenere la presa di spuma, con una pressione generalmente di 6 atmosfere (24 grammi/litro di zuccheri).
Nel giro di circa sei mesi il lievito consuma tutti gli zuccheri e si degrada con processo di autolisi, che regala aromi e profumi complessi, spesso di crosta di pane; questo affinamento “sui lieviti” si prolunga da 15-18 mesi a molti anni, a seconda del produttore e del prestigio del vino che si vuole ottenere.
Terminato l’affinamento, le bottiglie vengono inclinate e ruotate periodicamente per un paio di mesi: è il “remuage”, che ha lo scopo di concentrare tutte le fecce nel collo della bottiglia. Questi scarti verranno espulsi tramite la “sboccatura”: la bottiglia viene stappata e la sovrapressione espelle le fecce.
Prima di ritappare, occorre rabboccare la bottiglia per compensare il liquido perso con la manovra di sboccatura: la manovra viene effettuata tramite il “liquore di spedizione”, una miscela di zucchero, vino e a volte distillato diversa da produttore a produttore e che determina la dolcezza finale del prodotto.

La classificazione dei vini spumanti è basata sulla quantità di zuccheri residui nel prodotto finale:

Denominazione Zuccheri residui (g/l)
Pas dosé / Brut nature / Dosaggio zero ecc. <3
Extra brut <=6
Brut <12
Extra dry 12-17
Dry 17-32
Demi sec 32-50
Doux >50

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