Bordeaux for dummies: zone e classificazioni, facciamo ordine!

Approcciarsi ad una (anzi, alla) zona-mito dell’enologia mondiale suscita un misto tra timore (di scrivere minchiate), imbarazzo (di ripetere per la centesima volta le classiche sentenze trite e ritrite), preoccupazione (di non sapere da dove partire).

Nel mio caso il tentativo nasce dalla esigenza personale di cercare di mettere ordine in una serie di nozioni che talvolta credo di aver recuperato ma che poi mi sfuggono. Insomma, avevo necessità di fare un piccolo riassunto a mio uso e consumo, chiaro e semplice come un tempo lo erano gli appunti AIS con i quali il sito era partito tanto tempo fa.

Specifico subito che si tratterà di un Bignamino senza particolari pretese di completezza e senza nessuna rivelazione straordinaria, e che ometterò del tutto la storia del vino bordolese, che richiederebbe uno spazio e una competenza totalmente fuori dalla mia portata, per concentrarmi sulle varie zone e sulle classificazioni.

Immagine tratta da https://vineyards.com/wine-map/france/bordeaux

L’immagine sopra mostra chiaramente la struttura della regione che come noto è ubicata a sud-ovest della Francia, in prossimità dell’Oceano Atlantico e adiacente all’estuario della Gironda, che si forma dall’unione di due fiumi: Dordogna (più o nord) e Garonna.

Sulla riva sinistra si lavora principalmente per blend, con il Cabernet Sauvignon come varietà preponderante e Merlot, Petit Verdot e Cabernet Franc a supporto.
Il suolo è in maggioranza piatto e composto da ghiaia e calcare, ma ci sono ampie variazioni tra i vigneti. I vini tendono ad essere più strutturati e tannici rispetto a quelli della riva destra, dove generalmente predomina il Merlot con saldi di Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Malbec e Petit Verdot. Qui il terreno è prevalentemente pianeggiante ed ha superficie calcarea con meno ghiaia e più argilla.

Le zone vitivinicole principali sono:

  • Riva sinistra
    • Médoc
      • Médoc
      • Haut-Médoc
    • Graves (Pessac Leognan)
    • Sauternes e Barsac
  • Riva destra
    • Libournais
      • St. Emilion
      • Pomerol
  • Entre-Duex-Mers

Médoc

Medoc

Il Médoc si divide in Médoc (a nord) e Haut-Médoc (a sud), dove si trovano i comuni più importanti come St-Estèphe, Pauillac, St-Julien e Margaux.

I vini sono praticamente solo rossi a base principalmente Cabernet Sauvignon, poi Merlot, Cabernet Franc, Petit Verdot e Malbec

Graves

Graves map

Si trova a sud del Médoc, i vini sono rossi (Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc) e bianchi (Sémillon e Sauvignon Blanc).
Il comune principale è Pessac-Léognan

Sauternes e Barsac

Sauternes map

A sud di Graves; vini dolci prodotti da uve attaccate dalla muffa nobile (Botrytis Cinerea).

Libournais

Libournais map

Produzione di vini rossi a base principalmente Merlot e Cabernet Franc. La zona comprende due comuni importanti come Saint-Emilion e Pomerol.

Entre-Duex-Mers

Entre-Duex-Mers map

Produzione principale di vini bianchi secchi a base Sémillon, Sauvignon Blanc e Muscadelle.

Le Classificazioni

Prima del 1855 i vini di Bordeaux non erano ufficialmente classificati, ma la fama dovuta ai commerci e alle esportazioni che fiorivano già da un paio di secoli avevano generato una scala di qualità informale che ad esempio premiava Lafite, Latour, Margaux e Haut Brion.

Curiosamente sarà anche un americano illustre, il futuro presidente Jefferson, a creare la sua gerarchia: avvenne durante la sua visita a Bordeaux nel 1787 e fu il primo ad introdurre tre livelli per i vini del Medoc.

Occorre fare attenzione a non confondere zone, classificazioni e AOC (denominazioni di origine), ad esempio Chateau Margaux (azienda) è un Premier Cru (classificazione) del Medoc (zona) appartenente alla AOC Margaux.

La mappa di Bordeaux è particolarmente complessa per quanto riguarda le classificazioni:

  • Riva Sinistra:
    • Classificazione del 1855 dei vini rossi del Medoc
    • Classificazione del 1855 dei vini bianchi dolci di Sauternes
    • Classificazione dei Cru Bourgeois
  • Riva Destra
    • Classificazione del 1955 di St. Emilion
  • Classificazione del 1959 di Graves

La classificazione del 1855 dei vini Crus Classés del Medoc

La prima vera classificazione, come noto, venne redatta nel 1855 in occasione della Exposition Universelle de Paris per volontà di Napoleone III: centinaia di produttori di Bordeaux avrebbero voluto mostrare i loro vini e migliaia di consumatori sarebbero stati interessati all’assaggio. Poiché sarebbe stato impossibile per ciascun chateau inviare vino a sufficienza, si rendeva necessario un sistema per aiutare i compratori a scegliere.
Ecco dunque che il 18 Aprile 1855 la Camera di Commercio della Gironda creò la classificazione ufficiale appoggiandosi all’esperienza dei negociants.

La classificazione, che includeva 61 chateau e si basava principalmente sul prezzo di vendita che i vari vini spuntavano sul mercato, prevedeva cinque classi di merito per i soli vini rossi della riva sinistra, nel Medoc, eccetto Chateau Haut-Brion (Graves), che non poteva non essere incluso data la sua fama.
All’interno di ciascuna classe, gli chateau erano elencati non in ordine alfabetico ma di “punteggio”.
I vini della riva destra non erano inclusi, in parte perché alcuni nomi mitici come Petrus non avevano ancora iniziato a produrre, in parte perché alcuni vini di queste zone erano di difficile reperibilità per il commercio.

  • Premiers Crus
    • Château Lafite Rothschild, Pauillac
    • Château Latour, Pauillac
    • Château Margaux, Margaux
    • Château Haut-Brion, Pessac (Graves)
    • Château Mouton Rothschild, Pauillac
  • Deuxiemes Crus
  • Troisièmes Crus
  • Quatrièmes Crus
  • Cinquièmes Crus

La classificazione del 1855 ha subito tre sole modifiche, l’ultima delle quali è quella che nel 1973 ha inserito Chateau Mouton Rothschild nei Premiers Crus.
Naturalmente nel corso degli anni ci sono state variazioni nell’estensione e anche nella proprietà di vigneti, e se per i Premiers Crus l’alone di leggenda ha fatto sì che i prezzi restassero al top, nelle classi inferiori non è raro che ad esempio un Cinquieme Cru possa valere più di un Troisieme.

La classificazione del 1855 dei vini Crus Classés dolci di Sauternes

La classificazione del 1855 includeva anche i vini bianchi dolci di Sauternes, ma prevedeva due sole classi, più la Superieur riservata ad Yquem, e si basava sugli stessi criteri utilizzati per i vini rossi del Medoc.

  • Premier Cru Superieur
    • Chateau d’Yquem
  • Premier Cru
  • Second Cru

St. Emilion

Ci sono voluti 100 anni prima che a Bordeaux venisse varata la successiva classificazione: nel 1955 St. Emilon è stato il primo e unico comune della riva destra a produrre la sua gerarchia.
I principi che guidano questa classificazione sono diversi da quelli del 1855: in epoca Napoleonica era valutato lo chateau una volta per tutte, principalmente sulla base del prezzo di mercato dei vini, in questo caso (oltre al prezzo) ad essere valutati sono la reputazione, il terroir, il vino e la tenuta, ed è prevista una revisione ogni 10 anni (l’ultima è del 2012).
Gli chateau che desiderano tentare di essere inclusi nei Premier Cru Classe A devono fornire una campionatura dei vini delle ultime 20 vendemmie.
Le categorie sono:

  • Premier Cru Classe A
    • Chateau Cheval Blanc
    • Chateau Ausone
    • Chateau Angelus
    • Chateau Pavie
  • Premier Grand Cru Classe B
  • Grand Cru Classe di St. Emilion
  • Grand Cru

Pomerol

Vicino a St. Emilion troviamo Pomerol, che non ha una classificazione formale; la sua fama è relativamente giovane se rapportata alle restanti zone di Bordeaux, ma alcuni chateau sono miti assoluti come Petrus e Le Pin.
La zona ha un’estensione limitatissima rispetto alle altre del bordolese e qui è nato il famoso (o famigerato) enologo Michel Rolland.

Graves (Pessac Leognan)

La classificazione di St.Emilion è stata seguita nel 1959 da quella di Graves, che non è mai stata rivista dall’epoca della creazione.
I criteri sono simili a quella della classificazione del 1855: si sono considerati i terreni ma principalmente il prezzo sul mercato attraverso un lungo periodo.
Si suddividono i vini rossi da quelli bianchi, di conseguenza alcuni chateau compaiono solo in una tipologia e altri in entrambe.
Il livello è unico: Grand Cru Classe de Graves.

  • Vini rossi
    • Haut-Brion
    • Bouscaut
    • Haut Bailly
  • Vini bianchi
    • Haut-Brion
    • Bouscaut
    • Carbonnieux

La classificazione dei Cru Bourgeois

La classificazione che è stata creata nel 1932,elencava 444 chateau del Medoc esclusi dalla classificazione del 1855 (oggi ne sono rimasti 267) ed aveva funzionamento evolutivo, infatti è stata rivista più volte nel corso degli anni.
Ad oggi circa il 25% del vino prodotto nel Medoc ricade sotto questa menzione.
In realtà la classificazione originaria non venne ratificata immediatamente e si proseguì con continue modifiche fino alla definizione ufficiale nel 1962.
Questa variabilità (e quella degli anni successivi) hanno partorito innumerevoli litigi: tralascio di inerpicarmi nel sentiero tortuoso delle degustazioni dichiarate non valide dai tribunali e delle dispute di chateau che hanno fatto causa.

La classificazione dei Crus Bourgeois du Medoc prevedeva questa scala:

  • Cru Bourgeois Exceptionnel
  • Cru Bourgeois Superieur
  • Crus Bourgeois

Nel 2008 la Alliance des Crus Bourgeois du Medoc ha ideato una nuova classificazione che dismette i livelli Crus Bourgeois Superieur e Crus Bourgeois Exceptionnel, da aggiornare ogni anno e che si applica ai singoli vini e non agli chateau.
A seguito di questa decisione molte aziende anche prestigiose come Sociando Mallet e Potensac hanno deciso di non voler più restare all’interno della Alliance; per questo tutti i produttori (eccetto due) che prima erano classificati Crus Bourgeois Exceptionnel hanno dato vita ad una organizzazione parallela: Les Exceptionnels.

Dopo vari cambiamenti, la classificazione è stata nuovamente rivista e dal 2020 gli chateau (non più i singoli vini) sono nuovamente inseriti in tre categorie qualitative e le revisioni sono adesso quinquennali.

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Mare e Mosto 2019

“Mare&Mosto – Le Vigne Sospese” nasce dalla collaborazione fra Ais Liguria, il Comune di Sestri Levante e Regione Liguria ed è giunto quest’anno alla sua quinta edizione.

Si terrà nelle giornate del 19 e 20 maggio 2019 a Sestri Levante nella cornice dell’ex Convento dell’Annunziata.

Il programma di questa due giorni dedicata al vino e all’olio liguri prevede, come di consueto, la presenza di circa settanta produttori a rappresentare le otto denominazioni regionali; una significativa presenza di produttori di olio extravergine di oliva con la loro produzione di Olio Dop Riviera Ligure e una zona food affacciata sul mare che offrirà ai visitatori preparazioni gastronomiche tipiche liguri.

La presenza del Consorzio Alta Langa quale realtà vitivinicola extra regionale ospite contribuirà certamente a rendere ancora più interessante la manifestazione dando l’opportunità ad appassionati e operatori di settore di conoscere diverse espressioni di Metodo Classico proposte in degustazione dalle venticinque aziende piemontesi facenti parte del Consorzio.

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Cannavacciuolo Bistrot, Novara


Non c’è nulla di male nel pregiudizio.
Il pregiudizio ci aiuta ad evitare di intraprendere azioni che molto probabilmente deluderebbero e ci provocherebbero rimorso; l’importante è essere consapevoli del fenomeno e capaci di cambiare idea senza troppe remore.

Avevo un grande, enorme, pregiudizio sul bistrot novarese di Cannavacciuolo: ristorante aperto da poco, locale non ammiraglio di una mini-catena appartenente ad volto ormai onnipresente a livello mediatico, difficoltà a trovare posto in fase di prenotazione (sono finito in una specie di secondo turno un sabato a pranzo), accesso alla sala accompagnato da personale molto formale ed affettato, gran folla all’interno.

Il mio pregiudiziometro personale è saltato fuori scala quando, giunto all’ingresso prima dell’ora stabilita, ho provato a chiedere se era possibile anticipare l’accesso e il body language del responsabile è stato così amichevole da indurmi a valutare di annullare la prenotazione…

Non lo ho fatto, ed è stato un bene: mi sarei perso un pranzo dal buon livello generale e con alcuni passaggi di forte personalità grazie a sapori decisi, capaci di osare (ad esempio il risotto ricci, capperi, limone e acciuga). Menzione obbligatoria per l’ottima piccola pasticceria.

Certo, i tavoli non sono particolarmente ampi e lo spazio tra gli stessi è piuttosto ridotto, la carta dei vini è un po’ risicata e i prezzi non popolari (ma neppure eccessivi: siam pur sempre nel ristorante di una star televisiva); di contro il servizio è sorprendentemente veloce e affabile considerando la quantità di clienti presenti, e l’abbinamento vino-cibo al calice selezionato dal sommelier, pur non pescando da etichette prestigiose, funziona bene.
Insomma: pregiudizio sconfitto, mi sento di consigliare la prova senza esitazione.

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Ristorante La Pineta, Marina di Bibbona

Prima di buttare giù qualche riga, ho volutamente aspettato che fosse trascorso qualche giorno dal fatto. Il “fatto” in questione è ovviamente il decesso di Luciano Zazzeri, il patron de La Pineta.

A differenza dei molti che la scorsa settimana hanno commentato la notizia, io non ero un cliente abituale del Luciano, tantomeno un suo amico, anzi mi sono attovagliato nel suo locale una sola volta, qualche anno fa, persino con lieve circospezione poiché qualche recensione vagheggiava di trattamenti freddini nei confronti degli avventori occasionali e di una location un po’ datata.
Soprattutto, lo ammetto, temevo l’effetto “locale da turisti in spiaggia”, con il classico menu di pesce tutto sommato banale (non) riscattato dalla seduta fronte mare.

La faccio breve: non andò così e il ricordo della cena è piacevolmente ammantato di una lieve nostalgia; l’accoglienza del personale di sala fu gentile e simpatica, per nulla affettata, tanto che senza averlo chiesto mi venne riservato un tavolo in spiaggia, visto che si era nella prima sera della stagione in cui si cenava all’aperto); le preparazioni, pur nella loro semplicità (o forse proprio grazie a questo),  furono tra le migliori portate di mare mai assaggiate, e il signor Luciano fece un passaggio al tavolo pur avendo chiaramente in sala clienti ben più prestigiosi e noti del sottoscritto.
Insomma, la mia serata riuscì a combinare un locale familiare ma gentilmente elegante e di gran qualità con il clima gradevolissimo di una notte di inizio estate: difficile chiedere di meglio.

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Trattoria Guallina, Mortara

Memore di due notevoli passaggi a La Crepa di Isola Dovarese era da tempo che avevo voglia di approcciarmi alla Trattoria Guallina. Non che ci sia alcuna relazione tra i due locali, ma la reciproca ubicazione nella profondità della provincia lombarda e una certa fama di eleganza coniugata a rustica tipicità, mi forzavano l’accostamento.

In realtà le differenze non sono poche: se La Crepa la trovate nella piazza centrale di un paesino, qui siamo in una frazione di campagna, e mentre il locale di Isola Dovarese è un gioiellino retrò, qui l’atmosfera è più comune: una trattoria curata, ecco. Analogamente la cantina, pur affatto malvagia, non raggiunge la ricercatezza e la correttezza dei prezzi del ristorante Cremonese.

Al sodo: sono capitato a Mortara il mezzogiorno di un venerdì e per fortuna avevo prenotato: gran numero di coperti per un servizio veloce, ben fatto ma  un po’ imprersonale.
Il cibo è ovviamente incentrato sulla eccellenza locale, l’oca, e rispecchia l’immaginario di trattoria vera: piatti grandi e sapori forti (in particolare un risotto con pasta di salume d’oca davvero “troppo” come quantità e come intensità), misto di salumi discreto ma non da urlo come avrei immaginato, petto d’oca un po’ troppo cotto.

Alla fine l’esperienza non è malvagia ma neppure entusiasmante, soprattutto in ragione di un conto che ho trovato leggermente sbilanciato verso l’altro in ragione di ambiente, servizio e portate.

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Trebbiano d’Abruzzo 2013, Pepe

La storica azienda Emidio Pepe di Torano Nuovo, in Abruzzo, è una di quelle realtà artigiane che del proprio modo fare, biologico ante litteram, hanno beneficiato recentemente, salendo ad una ribalta quasi inaspettata grazie alla new wave vinicola che esalta il non interventismo in vigna e in cantina, la mancanza di filtrazioni e chiarificazioni, i lieviti naturali; insomma, il ritorno ai “sapori di una volta”. Non per nulla la distribuzione è quella TripleA che su questi argomenti lavora con successo da anni.

A seconda degli occhi di chi le legge, la retorica del vino fatto ancora pigiando l’uva con i piedi e figura totemica dell’anziano patron che dichiarava di aver voluto visitare gli States per sapere se laggiù gradivano le sue bottiglie e di aver scoperto così di fare il vino più buono del mondo, possono apparire via via come il traghettamento di una arcaica saggezza verso il mondo moderno oppure  piccole-grandi furberie mercantili d’antan.
Chi scrive, ormai consumatore disincantato e forse fin troppo inaridito nei confronti di certa poesia eno-maniaca, si trova esattamente a metà: da un lato  guardo ammirato alla costanza ferrea nel perseguire determinate vie fin da tempi non sospetti e alla inequivocabile golosità di certi assaggi, dall’altro mi approccio un po’ infastidito al rifiuto preconcetto di qualsivoglia progresso che possa mettere un argine alla elevata (almeno nella personale esperienza) incostanza di bottiglie che hanno ormai raggiunto prezzi decisamente premium.

Denominazione: Trebbiano d’Abruzzo DOC
Vino: Trebbiano d’Abruzzo
Azienda: Emidio Pepe
Anno: 2013
Prezzo: 35 euro

E’ quindi con animo laico che mi avvicino al Trebbiano d’Abruzzo 2013, che appena stappato rivela aromi gentili di fiore bianco, ricordi di cantina e un filo di volatile. Tutto sommato garbato, ma nulla più.

Purtroppo anche l’assaggio gioca nella stessa categoria un po’ monocorde: tantissima l’acidità e poco altro, con un sorso che chiude piuttosto breve, lasciando un vago ricordo di succo d’uva.

E’ il Pepe che non ti aspetti: non ha difetti evidenti come mi è capitato in passato (sbuffi decisi di zolfo) ma neppure è il capolavoro di complessità grazie al quale si perdonano le bottiglie sfortunate… si ferma semmai ad una aurea mediocrità ben poco rilevante, e visto il prezzo non è un complimento.

Il bello: la storia aziendale, la facilità del sorso

Il meno bello: manca di complessità, prezzo importante

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Genova Wine Festival 2019: prima edizione

E’ bello non dover far sempre i criticoni, quindi (contrariamente a quanto accaduto con la manifestazione di GoWine) mi piace segnalare la buona organizzazione della prima edizione del Genova Wine Festival.

Immagino non sia un caso che dietro le quinte ci sia, tra gli altri, l’associazione Papille Clandestine, che da qualche anno gestisce con destrezza eventi sul territorio cittadino, quindi complimenti a loro e all’altro patron (Intravino).

Tra le cose buone da evidenziare, scelgo la location in centro, facile da raggiungere con qualsiasi mezzo, l’ampia area relax, il prezzo di ingresso corretto, la solerte disponibilità dei volontari nel far trovare sempre le sputacchiere vuote.

Se posso invece annotare un punto migliorabile, direi che c’è necessità di più spazio per espositori e pubblico (a partire da un certo orario la sala era davvero troppo piena), ma immagino fosse troppo ottimistico prevedere un simile afflusso.

Infine, una mia personalissima idiosincrasia: fatemi pagare anche un euro in più per il biglietto (uno solo, eh: siamo o no genovesi) ma non costringetemi ad associarmi a Papille Clandestine.
Intendiamoci, non ho assolutamente nulla contro questo ente, anzi, come scritto sopra mi pare stiano lavorando più che bene, semplicemente per mia scelta personale non amo essere membro di qualcosa che non conosco bene e di cui non sono direttamente coinvolto.

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Comunicazione di servizio

Non avevo più manutenuto il sito per vari motivi, e con le nuove versioni di Chrome c’era un fastidioso warning relativo al fatto che il sito non fosse sicuro.

Il sito oggi è stato aggiornato ad HTTPS, quindi il nuovo link da usare è

https://www.centobicchieri.com

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Genova, Tutti i colori del bianco

Nonostante GoWine sia una associazione che da quasi 20 anni si occupa di vino ed organizzi eventi non ricordo di aver mai partecipato ad alcuna manifestazione appartenente a questa ragione sociale,  ma c’è sempre una prima volta, che nel mio caso è arrivata in occasione di “Tutti i colori del bianco“: una rassegna piuttosto eterogenea di vini bianchi italiani.

La faccio breve: dal punto di vista di GoWine immagino ci sia soddisfazione, vista la nutrita partecipazione del pubblica. In qualità di ospite pagante, purtroppo non posso essere altrettanto entusiasta.
Eppure le premesse erano buone: il luogo dell’evento era un hotel elegante in centro città, facilmente raggiungibile con auto, treno e bus, e con abbondanza di parcheggi (a pagamento) nei dintorni; la selezione delle aziende, pur non amplissima, presentava alcuni nomi di livello.

Peccato che l’organizzazione sia difettata in molti aspetti già fin dall’ingresso, rallentato dalle troppe lungaggini per l’acquisto del biglietto.
A seguire: poche grucce al guardaroba, nessuna tasca portabicchiere e un depliant illustrativo dell’evento ridotto a due misere fotocopie piegate in guisa di libretto.

Si entra e nuovamente si resta sconsolati: il biglietto (18 euro, non proprio popolare) dà diritto anche ad un piattino di plastica con 3 pezzetti di focaccia, uno di parmigiano e ad una fettina di salame di qualità eufemisticamente definibile non al top.

In sala non c’è traccia di bottiglie d’acqua o di grissini, ai banchi di degustazione molti vini sono troppo caldi (in una rassegna di vini bianchi non è un peccato veniale), molte vasche del ghiaccio sono piene di acqua dopo soli 30 minuti dall’apertura al pubblico, ed essendo troppo ampie fanno scivolare le bottiglie al loro interno con esiti facilmente immaginabili.

Solerti invece lo svuotamento delle sputacchiere e i rappresentanti di AIS e Fisar al servizio dei banchi “misti” dei consorzi e della Liguria.

Media dei vini non eccelsa: molti troppo giovani, moltissimi penalizzati come già detto da temperature del tutto fuori luogo, e molti naviganti in una aurea mediocritas, ma soprattutto ribadisco i difetti organizzativi.

Sarà per la prossima volta.

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Champagne Vergnon Grand Cru Éloquence

L’azienda di J.L. Vergnon possiede sette ettari nella Cote des Blancs (la zona più mitizzata dagli appassionati di bolle a base Chardonnay), precisamente nel comune classificato Grand Cru di le Mesnil-sur-Oger.

Questo Éloquence è assemblato in gran parte con vino di una stessa annata più il 25% di vini di riserva, vede solo acciaio ed esegue almeno 3 anni di affinamento.

Denominazione: Champagne
Vino: Éloquence
Azienda: J.L. Vergnon
Anno: –
Prezzo: 35 euro

L’aspetto è il classico giallo paglierino scarico, con bolla manco a dirlo sottilissima.
Il naso si declina su eleganti note di mandorla tostata e gesso che si ritrovano poi nel anche sorso, accompagnate all’agrume.
In bocca è piuttosto ricco, pieno e sorretto da grande acidità; il dosaggio è praticamente inavvertibile.
Il finale chiude con una leggera sensazione verde, quasi da frutta acerba e regala una ottima persistenza.

Bel bicchiere, degno accompagnamento di formaggi caprini ma anche parmigiano o primi piatti.

Il bello: naso fine, elegante

Il meno bello: accenno verde a fine sorso

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