Champagne Vergnon Grand Cru Éloquence

L’azienda di J.L. Vergnon possiede sette ettari nella Cote des Blancs (la zona più mitizzata dagli appassionati di bolle a base Chardonnay), precisamente nel comune classificato Grand Cru di le Mesnil-sur-Oger.

Questo Éloquence è assemblato in gran parte con vino di una stessa annata più il 25% di vini di riserva, vede solo acciaio ed esegue almeno 3 anni di affinamento.

Denominazione: Champagne
Vino: Éloquence
Azienda: J.L. Vergnon
Anno: –
Prezzo: 35 euro

L’aspetto è il classico giallo paglierino scarico, con bolla manco a dirlo sottilissima.
Il naso si declina su eleganti note di mandorla tostata e gesso che si ritrovano poi nel anche sorso, accompagnate all’agrume.
In bocca è piuttosto ricco, pieno e sorretto da grande acidità; il dosaggio è praticamente inavvertibile.
Il finale chiude con una leggera sensazione verde, quasi da frutta acerba e regala una ottima persistenza.

Bel bicchiere, degno accompagnamento di formaggi caprini ma anche parmigiano o primi piatti.

Il bello: naso fine, elegante

Il meno bello: accenno verde a fine sorso

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Champagne Empreinte Brut 2009, Geoffroy

Talvolta le grandi aspettative vengono deluse, e quando capita con uno champagne è ancora più triste, visto che associamo le bolle alla spensieratezza e all’eleganza.

Le note tecniche parlano del classico dosaggio di 6 grammi per litro su base prevalente di Pinot nero (75%) e poi Chardonnay (20%) e Menunier (5%). Solo succo da prima spremitura e niente svolgimento della malolattica.
Insomma, sulla carta un ottimo prodotto, e invece…
Intendiamoci, non che questo 1er Cru sia cattivo, ci mancherebbe, è che da una bottiglia fatta con uve vendemmiate nel 2009, prodotta da una famiglia storica di vigneron che ha sede in un comune prestigioso come Ay e che possiede 14 ettari nei comuni di Hautvillers, Fleury-la-Rivière e Cumières, ci si aspetta francamente qualcosa di più.

Denominazione: Champagne
Vino: Empreinte Brut
Azienda: Geoffroy
Anno: 2009
Prezzo: 30 euro

Aspetto a parte (perfetto), al naso c’è qualche cenno di nocciola e fruttini rossi e poco altro: gradevole, nulla più.
In bocca la bolla è un po’ spessa, i riconoscimenti si fermano all’agrume e il dosaggio è abbastanza avvertibile, tanto che francamente avrei azzardato ben più dei 6 grammi dichiarati, e alla lunga stanca; chissà che il problema sia dovuto alla acidità moderata?

La destinazione migliore, nonostante la prevalenza del pinot farebbe pensare al tutto pasto, credo sia confinata all’aperitivo.

Insomma, una bottiglia cui è difficile trovare difetti oggettivi, tutto sommato dal prezzo corretto rispetto alla denominazione e al blasone, ma che non entusiasma.

Il bello: prezzo corretto, vino gradevole

Il meno bello: non colpisce

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Cuvée Oenophile 2008 Premier Cru, Pierre Gimonnet

La famiglia Gimonnet è uno dei vigneron storici della Champagne, potendo vantare ben 28 ettari in Cote de Blancs, suddivisi in vigneti Premier e Grand Cru che raggiungono anche i 75 anni di età.

Denominazione: Champagne
Vino: Cuvée Oenophile
Azienda: Pierre Gimonnet
Anno: 2008
Prezzo: 35 euro

Una delle etichette più interessanti della maison è questo non dosato datato 2008, Chardonnay al 100%, Classificato Premier Cru anche se la maggioranza delle uve viene da vigneti in zona Grand Cru.
Trattandosi di millesimato viene ovviamente prodotto solo in annate particolarmente favorevoli.
La metodologia di produzione vuole la vendemmia manuale, l’uso di temperatura controllata, lo svolgimento della malolattica e una lievissima filtrazione prima dell’imbottigliamento.

Parlando di un metodo classico che è maturato sui lieviti per anni, ci si aspettano tostature, accenni di frutta secca, magari un filo di ossidazione. Tutto sbagliato, e si capisce già dal colore paglierino tenue, vivacissimo.

All’olfazione difatti arrivano praticamente solo gesso e limone, ciò nonostante la complessità e notevole, giacché questi due elementi si articolano in mille declinazioni, sempre in maniera sottile, aggraziata e ficcante; se esiste il famigerato minerale qui è il caso di spenderlo.
Col passare dei minuti si aggiunge al bouquet anche il fiore bianco, ma sostanzialmente si resta sempre nella traccia di un vino fresco e teso.

L’assaggio è coerente: la bolla è sottile e fitta, realmente cremosa, così come l’acidità è potente ma fortunatamente non strappagengive.
Inequivocabilmente champagne e senza dubbio Chardonnay, inconfondibile con altri metodo classico talmente è netta la fresca impronta di gesso, che neppure per un istante accenna al finale amaro.
Bella lunghezza, non manca neppure di struttura ed eccelle in energia e verticalità.
E’ banale predirgli una vita ancora lunga e consigliarlo con crudi di pesce o per aperitivi.

Uno champagne dal sorso senza compromessi, non c’è cenno di terziarizzazioni, nessun ingentilimento o ruffianeria da legno o da dosaggio importante, nessun rimando al cognac, al tartufo o ad altre evoluzioni che spesso caratterizzano alcuni champagne maison (che peraltro tanto ci piacciono: si tratta di interpretazioni diverse della denominazione, entrambe con pari dignità): qui si gioca  un campionato diverso, quello nel quale un vino del 2008 è tesissimo e sembra prodotto ieri e punta al massimo della purezza possibile per la denominazione.

Il bello: La tensione, la purezza e la verticalità

Il meno bello: nulla da segnalare

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Millesime 2006, Laherte

Su questo vino ci sono voluto tornare sopra dopo averne bevuto una bottiglia entusiasmante durante una cena al Caffè La Crepa; al secondo passaggio (stavolta domestico) il vino si conferma ottimo, magari un filo meno strepitoso: sarà o bottiglia, il venir meno dell’effetto sorpresa o magari l’ambientazione diversa?

Non mi dilungo su Laherte: vigneron della Cote des Blancs tra i più affidabili, con bottiglie mai banali e in particolare con un ottimo rapporto qualità-prezzo

Denominazione: Champagne
Vino: Millesime 2006
Azienda: Laherte Freres
Anno: 2006
Prezzo: 45 euro

Ad ogni modo, i fatti; dorato, con apertura paradigmatica per uno champagne millesimato con vari anni sul groppone: lo stappo è uno sbuffo sottovoce, e la bolla è altrettanto lieve, addomesticata, finissima e fittissima che più delicata non si potrebbe.
E il naso! Che spettacolo di evoluzione: una leggera ossidazione con ricordi di cognac accompagnano lo iodato alla mandorla tostata e alla crema.

Prima dell’assaggio, un po’ di timore che l’affinamento possa essere stato eccessivo ma non è il caso: l’acidità non solo c’è, ma è anche potente e gestisce alla grande un intenso sapore di frutta secca frammisto al classico agrume.

Per me una gran bottiglia, certo, occorre mettersi d’accordo, devono piacere le bolle datate, con tutte le loro caratteristiche.
L’unico limite? manca un po’ di persistenza, ma a queste cifre sarebbe troppa grazia.

Il bello: Gran vino gastronomico, indicatissimo per coquillage in particolare

Il meno bello: Manca un pochino di persistenza

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Brut Vintage 2008, Roederer

Questo doveva essere lo champagne di Capodanno, o meglio lo è stato, peccato che non abbia risposto alle attese dettate dal blasone (e, forse più importante, dal listino).

Non tedio con i dettagli sulla storica maison di Reims: chi fosse interessato può facilmente leggere tutto quanto è riportato sull’esaustivo sito o cavarsela con queste mie brevi note (https://www.centobicchieri.com/roederer-brut-premier/).

Denominazione: Champagne
Vino: Brut Vintage
Azienda: Roederer
Anno: 2008
Prezzo: 70 euro

La scheda di produzione parla di un assemblaggio per il  70% di Pinot nero e il 30% di Chardonnay, e per un terzo circa usando vini vinificati in legno.
La malolattica non viene svolta. Il dosaggio è di 9 g/l.

Neppure vale più la pena dettagliare l’aspetto visivo: praticamente tutti gli champagne provati nell’ultimo anno riconducono alla perfezione formale: colore paglierino, bolle micrometriche e fitte, grande luminosità.

Le differenze arrivano semmai a partire dai sensi che tutto sommato più ci interessano: olfatto e gusto. In questo caso il vino si approccia con note di grande austerità: lo spettro olfattivo si articola in particolare sul versante iodato e prosegue con accenni di frutta secca, chiudendo con un piccolo sussurro floreale. Il tutto estremamente discreto e sottotraccia.

L’assaggio prosegue sulla stessa falsariga: discrezione e sorso serrato, con pochissime concessioni alla voluttà. Ingresso molto secco, asciutto nonostante il dosaggio dichiarato e con la freschezza sugli scudi.
Anche in bocca ritorna la sensazione salmastra, con una chiusura che si ferma giusto un passo prima dell’accenno amarognolo.

Bottiglia di certo non godibile in autonomia: per essere gustata necessita di piatti da accompagnare (carni bianche), e che devo essere sincero non mi ha soddisfatto del tutto, va bene la drittezza e la sottrazione dei fronzoli, ma qui si rasenta il monastico: a questi prezzi mi piacerebbe un po’ più di espressività

Il bello: lo iodato e la verticalità

Il meno bello: eccessiva austerità. Prezzo importante

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Perlé Bianco 2006, Ferrari

Arrivo ultimo dopo i grandi: i siti “importanti” questo Perlé Bianco lo hanno già recensito, forti dell’invito di casa Ferrari, che con varie degustazioni ha proposto in assaggio il vino a quelli che contano.

Nel mio piccolo, io la bottiglia la ho comperata e ne sono anche felice, visto che ritengo Ferrari la migliore casa spumantistica italiana by far, sia per la costanza qualitativa che per l’ottimo livello medio di tutta la gamma, sia per l’eccellenza dei vini di punta.

Detto questo, resta la curiosità irrefrenabile di assaggiare un vino nuovo, 100% Chardonnay, coltivato a 400-700 metri di quota e con affinamento di oltre 100 mesi sui lieviti.

Denominazione: Trento Doc Riserva
Vino: Perlé Bianco
Azienda: Ferrari
Anno: 2006
Prezzo: 35 euro

Alla vista è perfetto, con il suo paglierino vivo e luminoso, reso splendente dalle catenelle di un perlage da manuale, tanto è sottile e fitto.
Gli aromi sono intensi ma suadenti: spicca l’agrume (cedro) su un sottofondo di fiori bianchi, un accenno di talco, un ricordo iodato e uno zic di biscotti al burro (una sosta in legno? Pare di no).

In bocca arriva subito quello che apprezzo negli spumanti di Ferrari: l’equilibrio perfetto, che in questo caso si accompagna ad una complessità notevole, soprattutto senza cenno alcuno di fatica per il lungo affinamento.
Questo è un vino giovane, in cui freschezza e sapidità sono pronunciate (per fortuna) ma armonicamente bilanciate da un dosaggio tanto leggero (4,5 g/l) quanto decisivo.

Le bollicine non pungono, anzi sono una crema che regala un lieve massaggio al cavo orale, mentre il calore alcolico pressoché inavvertibile invita a nuovi sorsi; il finale è lungo, disteso e, come dubitarne, esente da qualsiasi scia amara.

Gran vino, e alla faccia di tutti coloro che dicono che certi paragoni non hanno senso e non si possono fare, io lo dico: questa bottiglia è a livello di ottimi champagne blanc de blancs di prezzo superiore.

Abbinamento? Quelli tipici da Metodo Classico: antipasti (Parmigiano, salumi), primi di pesce (risotto con gli scampi), magari anche qualche carne bianca.

Il bello: L’armonia complessiva

Il meno bello: Nulla da segnalare

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Dosaggio Zero Riserva 2010, Maso Martis: reprise e osservazioni bonus

Con tanti saluti ai punteggi, alle “degustazioni oggettive” e, certo, anche agli articoli dei blog (questo compreso).

Mi spiego: io neppure mi ricordavo di averlo bevuto questo Metodo Classico, e dopo averlo portato a casa, raffreddato, stappato e sbevucchiato, ho acceso il pc e mi son messo da bravo a buttare giù due righe poco entusiaste.
Verso la fine mi si è accesa una lampadina: vuoi vedere che..?
E in effetti si trattava di un prodotto già assaggiato e recensito, e persino in termini lusinghieri piuttosto divergenti dall’opinione suscitata questa volta…

Nulla da dimostrare, se non la mia vecchia convinzione che tutte le pippe che ci facciamo con il bicchiere roteante sono appunto questioni di lana caprina: ogni bottiglia ha una storia e una evoluzione diversa (in gran parte), e persino i nostri sensi sono soggetti a situazioni ben differenti (la stagione, la giornata in cui sei ben disposto o nervoso, il cibo con cui abbiniamo il vino, la salute eccetera).

Quindi nessuna recensione, comprese le mie affidate a queste pagine, hanno senso?
Non arrivo a tanto, ma di certo vanno prese per quello che sono: impressioni su quella specifica bottiglia in quel determinato momento secondo un singolo individuo, da cui si possono trarre alcune indicazioni ma non di certo verità bibliche.
E certo, mi azzardo a dire che le discussioni infinite per spaccare il capello tra un punteggio di 88 piuttosto che 90 sono da manicomio.

Per la cronaca, ecco quel che ho pensato del vino in questione:

Colore paglierino tenue, bolla estremamente sottile e fine. Al naso lievemente affumicato, molti fiori bianchi; preciso e piacevole.

In bocca la carbonica è un po’ pungente, ha bella acidità e struttura, ma il vino è scoordinato: soprattutto morde l’amaro che si avverte fin da subito e domina il sorso rendendolo monocorde e pesante.

Vino che non capisco: non so se è una bottiglia sfortunata o se sia in una fase complicata della sua vita.

Il bello: piacevole finezza olfattiva

Il meno bello: l’amaro domina incontrastato

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Brut Réserve, Pol Roger

Certo che ti girano le palle, vorrei vedere…

Hai scucito 40 e rotte carte per portarti a casa uno champagne di gran nome, medesima maison della quale hai scolato (in qualche degustazione a scrocco, ça va sans dire ) vari calici, godendone assai.
Certo, i sorsi in questione provenivano da cuvée più prestigiose rispetto a questo Brut Réserve, ma del resto, come si dice a Reims: noblesse oblige. O no?

No, infatti.

prDenominazione: Champagne AOC
Vino: Brut Réserve
Azienda: Pol Roger
Anno: –
Prezzo: 42 euro

Non sto neanche a menarla lunga coi dati tecnici: è il classico blend dei tre vitigni pinot noir, pinot meunier e chardonnay; il produttore dichiara il 25% di vini di riserva e quattro anni di affinamento. Fanno pure il remuage a mano, figurati.

Sui dati organolettici c’è poco da dire: il vino è tecnicamente ben fatto, ha tutto al posto giusto: il colore, le bollicine e pitipim e pitipam. Gli aromi mica sono sgradevoli, ci sono i frutti esotici, una buona dose di crosta di pane e una bella manciata di spezie dolci.
Ed è proprio questo il problema: al palato torna decisa la dolcezza che si esprime in maniera piuttosto stucchevole già al secondo bicchiere; non lo so se il problema sia il dosaggio, o (come ho letto da qualche parte) la percentuale troppo limitata di vini di riserva, o il momento di raccolta dell’uva o la congiunzione astrale di Marte in capricorno, fatto sta che la scelta produttiva virata su questi toni ricorda in maniera decisa e preoccupante quella di certi Franciacorta base, che vogliono per forza piacere a tutti.

Insomma, lungi dal sottoscritto voler fare la ormai tristemente tipica macho-esaltazione del pas dosè strappagengive, ma qui mancano proprio le quote sindacali di nervo e verticalità, che sono poi le caratteristiche che ci piace trovare in uno Champagne.

Il bello: vino molto morbido, gradevole aperitivo per i non appassionati

Il meno bello: vino molto morbido, troppo per gli appassionati. Prezzo eccessivo

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Blanc de blanc Eloquence Extra Brut, Vergnon

E’ estate, è caldo, come fai a non voler provare un grand cru che non hai mai assaggiato, di sboccatura freschissima (forse troppo, vedremo poi).
Come spesso accade con i francesi, della maison in questione so davvero nulla, se non che opera in un comune di gran fama come quello di Mesnil sur Oger, ma chissene.

Il sito dice che questo Eloquence è prodotto utilizzando vini di riserva per circa un quarto e subisce affinamento in acciaio per almeno 3 anni, provenienti come scritto poco piùsopra da da comuni mitologici come  Mesnil sur Oger, Oger, Avize.

vergnonDenominazione: Champagne
Vino: Blanc de blanc Eloquence Extra Brut
Azienda: Vergnon
Anno: –
Prezzo: 40 euro

Poco da dire all’esame visivo: paglierino pallido e bolle correttamente sottili e fitte.

Al naso si scopre qualcosa di interessante: c’è molta intensità aromatica, quasi troppa per essere solo Chardonnay (tanto che immaginavo un piccolo saldo di pinot bianco ma così non è), con sensazioni floreali molto nette e decise che possono inebriare ma restano eccessivamente monocordi, senza ampiezza.

L’assaggio conferma le attese: la carbonica precisa, per nulla fastidiosa, veicola una acidità netta, verticale, ma il sorso è un po’ sporcato dall’eccesso di aromaticità che delinea un quadro troppo piacione per risultare davvero elegante; certo, lasciare la bottiglia aperta alcune ore porta più equilibrio, visto che al palato arrivano anche accenni di agrume e una certa mineralità. La chiusura è pulita e piuttosto lunga.

L’impressione è quella di un vino ancora in divenire, bisognoso di qualche mese ancora di bottiglia per assestarsi e poter dare il meglio di se.

Il bello: manca di austerità, prezzo non favorevole

Il meno bello: la freschezza

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Perlé 2008, Ferrari

E allora diciamolo, che noi enofili da computer siamo degli snob mica da poco. Scrivo queste righe dopo aver provato a dare una occhiata a cosa dice “la rete” su un prodotto magari non di massa ma certo molto noto come il Ferrari Perlé (2008, nell’occasione).
Bene, un mezzo deserto: praticamente nessuno di noi bloggaroli e maniaci che si degni di perdere due minuti a vergare un parere, quando invece è facile leggere opinioni praticamente su tutto, dal vino macerato della Georgia ai Retzina dalla Grecia.

Ed è un peccato, perché per il mio modestissimo parere questa bottiglia, a questo prezzo, regge tranquillamente il confronto con molti metodo classico blasonati, d’oltralpe e non; semmai sconta il delitto di essere marchiata dallo stesso produttore che inonda la GDO con altri spumanti  (dignitosissimi, peraltro).

perleDenominazione: Trento DOC
Vino: Perlé
Azienda: Ferrari
Anno: 2008
Prezzo: 25 euro

Quindi come lo descriviamo questo vino?
E’ metodo classico importante, giallo paglierino carico, ricco di sfumature tostate in primis, ma anche di agrume e di panificazione.
La bolla è giustamente nervosa e decisa, e l’assaggio è ricchissimo ma ben bilanciato: fresco, sapido, gustoso, persistente.
Unico difetto: le note tostate tornano anche al palato e sono un poco eccessive se non si pasteggia, rendendo il sorso non del tutto compulsivo, ma basta saperlo e destinare il vino al suo uso d’elezione, la tavola imbandita, per ovviare ad ogni problema.

Il bello: la ricchezza gustativa

Il meno bello: piccolo eccesso di note tostate

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