Nizza 2014, Olim Bauda

Mi sembra che l’avvento della denominazione Nizza sia (finalmente) riuscito a regalare un po’ più di visibilità e dignità alla Barbera di Nizza, vino che, per quanto glorioso, soffre di una certa sottovalutazione da parte di tanti appassionati.
E’ un peccato: le Langhe (e ovviamente il Nebbiolo) ad un tiro di schioppo dimostrano come un territorio vocato e un vitigno storico non bastano per raggiungere il successo planetario, ma devono essere abbinati ad una buona sinergia tra produttori, al buon lavoro di tutti gli attori della filiera turistica ed enogastronimica e ad un adeguato storytelling.

La tenuta Olim Bauda si trova in pieno Monferrato, ad Incisa Scapaccino (pochi chilometri da Nizza Monferrato) e la collocazione geografica si riflette nella produzione: varie tipologie di Barbera, Grignolino, Moscato e qualche incursione nel Nebbiolo e nel Gavi.

Denominazione: Nizza DOCG
Vino: Nizza
Azienda: Olim Bauda
Anno: 2014
Prezzo: 25 euro

Il Nizza 2014 è, ovviamente, una Barbera al 100%, e si presenta con un bel colore rosso rubino, carico, denso e quasi impenetrabile.
Al naso arrivano la frutta rossa sotto spirito e una leggera speziatura dolce, mentre il sorso è pieno, ricco di calore alcolico e piuttosto morbido.
La piacevole acidità e il tannino levigato e decisamente controllato sono perfettamente coerenti con le caratteristiche del vitigno.

Bottiglia magari non troppo complessa ma ottima con l’abbinamento adatto (il classico bisteccone, il tagliere di salumi eccetera).

Il bello: Piacevolmente gastronomica

Il meno bello: Un po’ cara

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Cascina Garitina reloaded: ritorno in Monferrato

In un Monferrato rovente, dopo il passaggio dello scorso mese, sono tornato con un pochino più di calma a visitare Cascina Garitina, stavolta accolto dal titolare Gianluca Morino.

1Ricapitoliamo: siamo a Castel Boglione, in provincia di Asti, a pochi chilometri da Nizza Monferrato, nel cuore della zona storica per la produzione della Barbera: è proprio grazie agli sforzi di Gianluca (a lungo presidente della associazione dei produttori) che dal 2016 la bottiglie di Barbera DOCG esibiranno la denominazione Nizza, veicolando quindi non più solo un vitigno ma un territorio e una tradizione.

I vigneti di Cascina Garitina, fondata nel 1908, si estendono per circa 26 ettari e sono coltivati non solo con la pur predominante Barbera (della quale sono presenti alcune vigne molto vecchie), ma anche con altre varietà: Brachetto, Dolcetto, Pinot Nero, Merlot e Cabernet Sauvignon.
Gianluca mi ha guidato sulla collina adiacente alla cantina: in una giornata torrida i suoi curatissimi vigneti (si nota la evidente differenza con quelli adiacenti) sono comunque relativamente “vivibili”: siamo a circa 280 metri di altitudine ma soprattutto c’è una costante brezza che arriva dalla direzione del mare a mitigare l’afa.2

Gianluca spiega con semplicità (ma con altrettanta precisione) le varie fasi della conduzione, mostra i diversi terreni, indica le vigne vecchie, racconta del progetto di mettere sul mercato tre diversi cru di Barbera…
Soprattutto colpisce la differenza con tante tipiche visite al produttore: qui si cammina tra i filari, vivaddio non in cantina tra fermentatori e diraspatrici, e soprattutto non si parla in termini roboanti e/o poetici di lieviti autoctoni, di naturalità e solforosa. Semplicemente, Gianluca racconta con entusiasmo e decisione il suo lavoro e le sue idee: ad esempio della predilezione per il tappo a vite, oppure di come nelle sue visite negli USA ha visto crescere il consumo dei vini rosati e allora pronti via ecco una nuova tipologia che si aggiunge alla già nutrita lista di referenze, o ancora del perché sia voluto uscire dal consorzio del Brachetto.

Dopo la vigna si passa alla degustazione: è troppo caldo per stappare i grossi calibri, meglio concentrarsi sui vini che possono essere serviti freschi, quindi il rosato diAmanti, il  Morinaccio (una Barbera rifermentata naturalmente in bottiglia) e lo ‘pseudo-Brachetto’ (pseudo: come scritto sopra Cascina Garitina è uscita dal consorzio e vinifica l’aromatico con alcune particolarità non previste dalla DOCG).

Denominazione: Vino rosato
Vino: diAmanti Rosè
Azienda: Casina Garitina
Anno: –
Prezzo: 5 euro (in azienda)

Del Morinaccio conto di scrivere prossimamente, mi piace invece lasciare subito qualche nota sul rosato, tipologia spesso (ingiustamente) trascurata.
Questa è la prima vinificazione del diAmanti (mi sembrava di ricordare Dolcetto, ma spulciando su internet pare si tratti di Dolcetto, Barbera e Merlot), e già da ora colpisce: è un vino coraggioso a partire dalla bottiglia elegante ed insolita, di fatto senza etichetta, con solo un piccolo bollo trasparente a riportare le indicazioni di base, capace di mettere in grande evidenza il bellissimo colore rosa acceso, quasi porpora, del vino.

Ma è il bicchiere che, a coloro che sono abituati ai rosati anonimi e senza personalità, regala piacevoli sorprese: gli aromi sono semplici e fragranti di frutta fresca (ciliegia in particolare) e di rosa, e l’assaggio è deciso, con l’ingresso rinfrescante per le notevoli acidità e sapidità e poi una piacevole chiusura in cui torna la ciliegia e un richiamo al vino rosso giovanissimo.

Quel che è certo è che la bevibilità è assassina: l’alcol, pur attestato sui canonici 12.5%, neppure si avverte e questo diAmanti, se servito freschissimo, è di un imperdibile compagno di bevute estemporanee, di aperitivi o persino un valido accompagnatore dei crudi di pesce; di sicuro in una giornata afosa è impossibile non finirlo, ed è difficile chiedere di meglio ad un vino che viene venduto a circa 5 euro in cantina.
Facendolo salire un po’ più di temperatura chissà come si comporterebbe con una zuppa di pesce…

Il bello: rinfrescante, bevibilissimo, semplice con personalità

Il meno bello:  niente da segnalare

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Solleone 2011, Tenuta Grillo

A volte ritornano, e infatti dopo due anni ho nuovamente bussato a casa di Igea e Guido Zampaglione per riprovare qualcuno dei loro vini; nella fattispecie è toccato ad una bottiglia davvero curiosa, almeno per chi come me non crede troppo nelle potenzialità di certi vitigni internazionali nel Monferrato, in particolare per il Sauvignon, che ritengo un oggetto da maneggiare con le pinze.
Mi spiego: la particolare (e robusta) aromaticità del vitigno, soprattutto in climi caldi, rischia di partorire vini estremamente caratterizzati, stucchevoli e faticosi da bere, insomma caricature di quegli esempi di eleganza che provengono da certi produttori della Francia…

Questo Solleone è dunque la particolare interpretazione del Sauvignon da parte di Guido, che aggredisce il frutto con 60 giorni di macerazione(!) e due anni di affinamento sui sedimenti.

tenutagrillo_solleoneDenominazione: Monferrato bianco
Vino: Solleone
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2011
Prezzo:15 euro (in azienda)

Sessanta giorni di macerazione, dicevamo, e si sentono, ma per fortuna neppure troppo, nel senso che visivamente il liquido è giallo oro antico, compatto, luminoso, solcato da appena un velo di residuo, mentre l’olfatto racconta di erba di campo, fiori di camomilla, frutta matura ma non cotta o surmatura, e di un inusuale accenno a metà tra liquirizia e balsamico.
Il tutto accompagnato da un vago accenno di volatile che, lungi dal mortificare la bevuta, esalta lo spettro aromatico, mentre il sorso pieno e fresco nasconde alla grande i 13.5 gradi e chiude molto lungo, lasciando sul palato un accenno di tannino

Di sicuro l’abbinamento non è semplice, soprattutto se non si vuole ricorrere agli scontati formaggi… magari sarebbe da provare con una brandade di baccalà, e la temperatura di servizio è necessariamente da cantina o anche poco più.

Il vino è piacevole, ma a me resta un dubbio più “filosofico” (vabbè, non esageriamo) che degustativo: chi, alla cieca, direbbe trattarsi di un Sauvignon? Chi ne azzarderebbe la provenienza dal Monferrato?  Secondo me, molto pochi.
Per qualcuno, in tempi in cui si abusa di discorsi su territorialità e rispetto del frutto, questi possono essere limiti non da poco.

Il bello: lunghezza, aromaticità gradevolissima e tenuta a bada

Il meno bello: abbinamento complesso

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Ristorante Violetta, Calamandrana

Non so bene quando, ma ad un certo punto il ristorante Violetta si è regalato un nuovo sito (intrernet, intendo: la locazione fisica è sempre la stessa) al posto della paginetta precedente, che sembrava un residuato di inizio anni 90.
Lasciando perdere che il vuvuvù nuovo pare pure lui teletrasportato da un passato (appena un po’ meno) remoto, dato l’evento immaginavo e un po’ temevo fosse intervenuto un nuovo corso a stravolgere uno dei ritrovi storici della zona, ma così non è.

La Violetta di Calamandrana resta il ristorante che conoscevo: piedi saldi nella tradizione culinaria Piemontese e la volontà di essere qualcosa di più di una trattoria (anche nei prezzi), certificata dall’ambiente curato e dal servizio fin troppo affettato (ho smesso di contare i “grazie signore” dopo circa 10 minuti, quando il totalizzatore già era schizzato alle stelle).

Il risultato è ambiguo: il cibo è buono, nulla da dire: plin perfetti e leggeri, stracotto che si scioglie in bocca ed è impossibile resistere, devi fare scarpetta, faraona ripiena gustosa e finanche elegante. Eccetera. La carta dei vini è come te la aspetti: centratissima sui nomi del posto, con una sfilza di barbere da far girare la testa e ricarichi onesti.

Di contro il menù è sempre lo stesso, inchiodato, e pazienza, ma soprattutto (ed è una cosa che non sopporto) non ti lasciano la carta, che non esiste, ma ti elencano le portate a voce, quindi non sai cosa spenderai e devi decidere in un amen davanti a chi recita il rosario… Fastidiosissimo.
Ancora, come dicevo prima, il servizio è sicuramente troppo ossequioso e fa pendant con la sala curata ma un po’ demodé.

Conto quasi corretto: alla fine, a spanne, si spende sui 12 euro a portata (primi e secondi): qualche inchino e tovaglietta in meno potrebbero limare gli spiccioli e perfezionare quella che è una (ottima) trattoria, oppure si abbia il coraggio di fare il passo e traghettare la cucina verso qualcosa di più impegnativo e, certo, adeguare al rialzo i prezzi. Così siamo in mezzo al guado.

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Percoranera 2004, Tenuta Grillo

Si dirada il caldo estivo, finalmente torna la voglia di vino rosso e possiamo riprendere gli assaggi dei prodotti di Tenuta Grillo.
Se le puntate precedenti avevano riguardato il Tornasole e Baccabianca, oggi è il turno del Pecoranera, un blend di Freisa (principalmente), Dolcetto, Barbera e Merlot, vinificato con la consueta metodologia aziendale: lieviti autoctoni, lunghe macerazioni, nessuna filtrazione.

Tenuta-Grillo-Pecoranera-280x280Denominazione: Monferrato DOC
Vino: Pecoranera
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2004
Prezzo: 16 euro

Subito si rivela di aspetto invitante: rubino pieno, intenso, ben vivo e luminoso.
Al primo giorno naso esce prepotente un fruttone rosso maturo, accompagnato da leggeri etereo, alcol e smalto, che si mostrano un pochino invadenti. C’è un accenno puzzetta (riduzione?).

La bocca è calda, con ingresso peno che prosegue corposo, e una bella freschezza acida coerente col colore: difficile pensare di trovarsi di fronte ad un millesimo 2004.
Il tannino c’è, ma è un po’ sfocato, confuso, polveroso. Discreta la lunghezza.

Memore di quando avvenuto con gli altri vini di Tenuta Grillo, lascio da parte mezza bottiglia per proseguire gli assaggi il secondo giorno: l’olfattivo è nettamente migliorato, è del tutto scomparsa la puzzetta ed è praticamente inavvertibile l’etereo; resta un bel frutto maturo con un accenno balsamico. Non si modifica invece la percezione del tannino.

Una bottiglia interessante, magari non particolarmente complessa ma sicuramente piacevole e probabilmente adatta ad un ulteriore invecchiamento. Alla luce dell’assaggio, non ho dubbi nel consigliare l’apertura il giorno precedente o comunque molte ore prima della bevuta.

Il bello: facilità di bevuta, prezzo interessantissimo dato l’invecchiamento
Il meno bello: la necessità di stappare con molto anticipo

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Tenuta Grillo: Baccabianca 2006

Secondo assaggio per le bottiglie comperate durante la mia visita presso Tenuta Grillo.
Rimando al post precedente per le considerazioni generali e passo subito a raccontare il vino: stavolta si tratta del Baccabianca, un “orange wine” prodotto da Cortese in purezza, lieviti indigeni, senza filtrazione (e si vede) e con lunga macerazione (oltre un mese, mi pare di ricordare, e si vede e si sente).

BaccabiancaDenominazione: Vino da Tavola
Vino: Baccabianca
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2006
Prezzo: 16 euro

“Orange”, dicevamo: ed in effetti è ambrato, leggermente velato, opalescente.
Portandolo al naso si avvertono una leggerissima volatile (ma è solo un cenno di freschezza), il caramello e una punta di ossidazione (ossidazione “nobile”, se mi è concesso, nel senso che non è fastidiosa, ma aggiunge complessità), accompagnati da floreale ed erbaceo così delicati da risultare inattesi in un vino dall’aspetto non certo gentile.

In bocca è estremamente intenso, ci sono calore, buona freschezza e sapidità, e si avverte una tannicità abbastanza rilevante per un vino bianco, per quanto macerato.
Buon corpo e finale lungo, ma un filo monocorde, come del resto un po’ tutta la bevuta di un vino sicuramente interessante, rustico ma piacevole da bere, cui manca forse uno spunto di dinamismo, di mutevolezza.

Data la struttura non banale e la stoffa non fine, consiglio un abbinamento con cibi non troppo delicati: nel mio caso ha funzionato bene con un vitello tonnato dalla salsa fin troppo “strong”. Raccomando di non servirlo freddo, in modo da non indurire il tannino.

Il bello: intensità di sapore, per nulla banale
Il meno bello: sorso un po’ monocorde

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