Pasturana 2012

Sulla via per Terroir Vino ho tenuto il fegato in allenamento portandolo al più classico dei raduni birrari italiani, la tre giorni di Pasturana, una tranquilla e ordinata cittadina di mille abitanti (siamo nell’alessandrino, zona di Gavi), nella quale, grazie uno di quei fenomenali paradossi spazio-temporali che talvolta animano la profonda provincia italiana, da dieci anni si organizza uno dei più rinomati e divertenti festival dedicati alla birra di qualità italiana.

Piccola digressione, ci tengo a far notare che ho scritto di qualità per evitare l’uso del termine artigianale: birrariamente abusato e poco ricco di significato. Un tempo, agli albori della scena dei microbirrifici italiani, si parlava di birra non filtrata e non pastorizzata, ma ultimamente, caduto il dogma della non filtrazione, si punta di più su altri aspetti: non è la stessa identica bevanda delle multinazionali, è prodotta con cura, passione e ingredienti di qualità, è prodotta in quantitativi limitati e via emozionando ma non specificando.
In definitiva, visto che è difficile spendere il termine “artigianale” sulla base dei volumi prodotti (ci sono esempi di birrifici statunitensi che sfornano gazillioni di ottima craft beer, degli ingredienti usati (proprio noi italiani siamo maestri nel impreziosire il mashing con pepe rosa, zenzero, zafferano e mille altri stranofacendoli) e dei processi di produzione, preferisco basarmi solo sul risultato organolettico del prodotto finito: “birra di qualità”.

Tornando a noi: Pasturana è uno strano ibrido mutante, a metà tra la strapaesana sagra della salsiccia e la ricercatezza di Slow Food: per dire, ci sono le tavolate comuni con le panche e i piatti di carta e accanto i laboratori del gusto proprio di Slow Food condotti dal maestro Kuaska, il concerto rock della cover-band i turno e molti birrai che passano a farsi un bicchiere.

Il top dello svacco è che la manifestazione si svolge accanto a un bel campo da calcio (di quelli di una volta, con l’erba vera e non sintetica) sul quale è possibile campeggiare liberamente. E la gente, per sfuggire al sacrosanto etilometro, campeggia: famiglie con i bambini che giocano a pallone e biker che tra due ore vomiteranno l’anima, camper e tendine lillipuziane di quelle che si montano da sole lanciandole in aria… insomma l’atmosfera è rilassata, senza incravattati e senza pregiudizi.

Tra tanti pregi, i difetti son sempre quelli da che io ho memoria: il cibo un po’ così, i bicchieri di plastica, la temperatura di servizio uniformemente glaciale, le code per il cibo e per i bagni, la spillatura non sempre perfetta… ma, diamine, siamo qui per divertirci in primis, e solo poi per le pippe sulla esegesi organolettica del fermentato di malto.

Il pubblico presente è pure lui un Giano bifronte, coprendo tutta la gamma zenith-nadir del caso: dai super-appassionati che si sono fatti ore di auto per esserci, si conoscono tutti fra loro, forgiati da anni di cameratesca carboneria birraria, si portano da casa il bicchiere di vetro per godere meglio e smanettano sullo smartphone per aggiornare i loro beer ratings, ai ragazzotti che si affollano per prendere una ciocca colossale (sicuro) e per quagliare con qualcuna delle giovani addette alle spine (magari).

In mezzo a questo magnifico calderone ci sono le protagoniste, le birre.
In cartellone una quindicina di birrifici per trenta birre, a rappresentare, tra gli altri, storici quarti di nobiltà della scena brassicola italiana (Baladin,Montegioco), solide certezze (Maltus FaberToccalmatto) e giovani rampanti (ExtraomnesBrewfist).

Dichiaro subito inadeguatezza e rozzeria: in cuor mio credo che solo la visione coatta di una settimana di Porta e Porta possa essere più noiosa e inutile dei punteggi (82 questo, 83 quello: dai, fammi ridere) e della psichedelica giungla dei descrittori, per questo mi limiterò a qualche accenno.
Disclaimer: ai festival birrari non si sputa, vivaddio, si manda giù tutto di buon grado. Questo piccolo ma significativo aspetto, se certo contribuisce al gioioso clima raccontato poco sopra, immagino non sia un buon viatico per la completezza e la lucidità della descrizione delle bevande.

In generale, per quanto ho potuto provare (non si sputa, ricordate?) qualità discreta: nessun grosso difetto ma anche nulla che abbia fatto gridare al miracolo e molte produzioni penalizzate dalla serata fredda e ventosissima che osteggiava il raggiungimento della temperatura corretta delle birre.
Le note di quello che più ho apprezzato: la mia bevuta della serata è stata la T.I.P.A. di Pausa Caffè (birrificio torinese forse poco sugli scudi e non troppo assiduo nei commenti degli aficionados): una bella e classica IPA da 6,7 gradi, dal colore carico e corpo medio a sostenere un luppolo importante ma non sfacciato, semmai elegante (leggo sul sito: East Kent Golding, quindi un nobile europeo).

La piacevolezza della semplicità è ben rappresentata dalla Blond di Extraomnes (microbirrificio di Marnate, capeggiato dal ben noto Luigi “Schigi” d’Amelio): chiara come lascia intuire il nome, 4,4 gradi, corpo leggero ma non acquosa, secchissima, fresca di un agrumato dissetante, con una leggera speziatura e un amaro ben presente ma che non supera i livelli di guardia. Come si dice in questi casi: da berne a secchi; sicuramente ideale per l’estate.

Per coloro cui piacciono i cazzotti amari, i pesi massimi delle IBU, c’era la Spaceman di Brewfist, giovane ma affermato birrificio lodigiano, creatore di questo instant classic della scena brassicola italiana: si tratta ancora di una IPA (tra gli stili più modaioli del momento) da 7 gradi, densa, volutamente esagerata, resinosamente amarissima ma non monocorde.

Sempre da Brewfist, professionisti dell’estremo ma non solo, ancora una mazzata: la Imperial porter X-ray. Nera impenetrabile, appena un filo di abboccatura e poi tonnellate di tostature (cioccolato, caffè, orzo) e anche una bella manciata di luppoli a bilanciare. Detta così sembra una mappazza, e forse lo è, ma lasciata scaldare si beve bene.

Curiosamente interessante la Due Mondi del Croce di Malto di Trecate, una collaboration beer (altro trend attuale) realizzata con lo storico Birrificio Italiano. Due Mondi di nome e di fatto: lo stile di partenza dichiarato è quello tedesco delle doppelbock, quindi gradazione rilevante (siamo a 7,7 dichiarati) e corpo ben presente, maltosità pronunciata e un certo grado di tostatura. Fin qui siamo nei canoni, ma la Due Mondi a tutto questo aggiunge una buona dose di luppolo americano, aromatico e amaricante e notevole secchezza a rendere il tutto più facilmente bevibile. Da provare il prossimo inverno.

Nota finale di merito per l’organizzazione di Pasturana: al mattino prima delle 8, per coloro che si risvegliavano e dovevano riprendersi dall’hangover, magari per mettersi in auto e far ritorno a casa, c’era il servizio bar aperto con caffè e cappuccino. Ringraziamo sentitamente.

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AIS: esame di terzo livello

Come il post precedente (e come immagino di fare anche in seguito), rendo disponibili alcune risorse per la preparazione all’esame di terzo livello del corso AIS.

I soliti disclaimer del caso:
– le domande che trovate qui sotto sono quelle che ricordo dopo che sono passati molti giorni, quindi prendetele con il beneficio di inventario: qualcosa ho rimosso e qualcosa lo ricordo male
– i questionari dello scritto sono molti (credo sei), quindi potrebbero capitarvi argomenti diversi
– le domande dell’orale variano ovviamente da commissario a commissario e sono legate allo sviluppo del colloquio con il candidato
– usate quanto segue come una traccia per studiare o come guida per testare la preparazione, non prendetelo come un sostitutivo dello studio: è evidente che non sarebbe sufficiente

Per la mia esperienza l’esame è abbastanza complesso, ma non certo impossibile se si studia. Bisogna partire per tempo e investire la propria disponibilità con una buona costanza per alcuni mesi, magari (molto meglio) trovandosi una volta la settimana con uno o due compagni di studio per verificare la propria preparazione.

Gli argomenti da studiare, è semplice, sono tutti.

Il primo libro, “Il mondo del sommelier” è quello che viene più battuto, sia nell’esame scritto che in quello orale, quindi è da sapere senza esitazione in tutte le sue parti, compresi birre, distillati, vini liquorosi. Date anche una letta alla parte finale che tutti trascurano, quella che parla degli attrezzi del sommelier, della cantina ecc. Forse l’unico argomento che viene trascurato è quello della legislazione, ma immagino sia una contingenza dovuto al fatto che (al momento del mio esame) il libro non era aggiornato.

La tecnica di degustazione è richiesta non solo per l’esecuzione della degustazione (che, lo ricordo, è presente sia allo scritto che all’orale), ma anche come teoria in domande specifiche. Lo stesso accade per la degustazione del cibo e per l’abbinamento cibo-vino e per tutte le schede di valutazione.
Non ci sono scuse, la terminologia della scehda descrittiva del vino deve essere padroneggiata perfettamente, così come il bersaglio di abbinamento cibo-vino: consiglio di fare molte prove con schede “mute” contenenti solo la grafica.

Per quanto riguarda DOC e DOCG, che tipicamente sono lo spauracchio di tutti i corsisti: sì, le domande ci sono, anche se secondo me bastano tutte le DOCG e qualche DOC particolarmente rilevante. Occorre anche sapere i vitigni più importanti di ogni regione. Non è impossibile, se si usa la testa per ragionare oltre che per memorizzare.

Paesi esteri: lasciando da parte la Francia, che ovviamente è da trattare in maniera più approfondita, in generale sono da sapere almeno le zone e i vitigni più importanti di Spagna, Portogallo, Germania, Austria, Stati Uniti, Argentina, Cile, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica.
Oltre a questo, sono da sapere bene Sherry, Porto, Tokaij, Cava, Madeira.

Il libro sul cibo del terzo livello a mio modo di vedere è fatto mailissimo: ci sono tonnellate di nozioni poco strutturate, a volte anche confusionarie e non sempre rilevanti allo scopo (che, ricordiamolo, è quello di riuscire a fornire un corretto abbinamento con il vino). Il consiglio è quello di focalizzarsi proprio su questo punto: cercare di capire per ogni cibo quali siano le caratteristiche organolettiche principali in modo da associargli un vino in un accoppiamento sensato. Sicuramente ci sono molte domande sui formaggi.

Consigli finali: per lo scritto avete poco tempo. Le cose che veramente contano come punteggio sono la degustazione di vino e cibo e le domande a risposta libera, quindi cercate di padroneggiare le schede descrittive e di abbinamento e buttatevi subito sulle domande aperte, lasciando quelle a risposta chiusa per gli ultimi 10 minuti. Rispondete in maniera completa ma estremamente sintetica (per risparmiare tempo ma anche per evitare di inserire imprecisioni inutili).
Da ultimo: leggete bene le domande! Soprattutto quelle a risposta chiusa nascondono a volte qualche trabocchetto (es. “la distillazione è un processo chimico bla bla ” dove il bla bla è tutto giusto, ma è sbagliata la premessa: si tratta di un processo fisico).

Le domande dell’esame scritto (mie e di qualche compagno) che ricordo:
– formaggi erborinati, alcuni esempi, analisi sensoriale e abbinamenti con vini, motivandoli
– influenza della barrique sui vini bianchi
– 10 vitigni della Puglia
– 10 elementi che influenzano la qualità della vigna
– 5 vini liquorosi di stati diversi con relative zone di produzione
– processo di fermentazione
– temperature di servizio dei vini
– classificazione degli spumanti in base al residuo zuccherino
– tipologie del Madeira
– descrizione della aromaticità del cibo e due esempi di abbinamento cibo / vino motivati
– definizione di untuosità, esempi di cibi e abbinamenti motivati
– docg di veneto e friuli
– descrizione sensoriale del cioccolato con abbinamenti motivati
– formaggi erborniati, cosa sono, caratteristiche, alcuni esempi e abbinamenti motivati
– i puttonyos sono la misura del grado zuccherino del tokaji?
– birre ad alta e bassa fermentazione, differenze ed alcuni esempi
– effetti della anidride carbonica nella degustazione
– terpeni, cosa sono ecc.
– cosa è il pisco
– temperatura ideale della cantina
– temperatura fermentazione vino bianco

Le domande dell’esame orale (mie e di qualche compagno) che ricordo:
– distinguere le varie forme di bottiglia
– distinguere il ruolo di varie forme di bicchiere
– descrizione e funzione del tastevin
– temperature di servizio
– fermentazione (lieviti, acidi ecc.)
– whisky single malt, pure malt ecc.
– descrizione grassezza
– docg delle marche
– processo produzione metodo classico

 

Integrazione del 09/05/2013: per chi deve prepararsi all’esame, segnalo che nel corso dei mesi ho scritto alcuni piccoli “Bignami” su argomenti specifici:

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IBF Genova: disastro annunciato

IBF

Durante “Pork’n’beer” lo avevo detto ai ragazzi di Brewfist che IBF Genova rischiava di essere un flop pazzesco, e purtroppo così è stato. Non ci voleva molto per prevederlo: concomitanza con il Salone nautico, la piazza di Genova, la mancanza dei birrifici genovesi (questo non si sapeva, ma si poteva immaginare), erano tutti elementi fornieri di sciagure… Si aggiunga una desolante mancanza di promozione perlomeno in provincia e il piatto (vuoto) è servito.

Mi spiace ovviamente per i birrai, desolantemente ridotti a vagare da uno stand all’altro per ingannare il tempo, ma in particolare spiace per Genova, che dopo una debacle di queste proporzioni non vedrà più un festival birrario in saecula saeculorum.

Volendo trovare qualcosa di buono: visto il deserto di presenze, per l’appassionato c’era la possibilità di monopolizzare gli espositori e parlare con tranquillità, tanto che anche un timido come me ha avuto modo di fare nuove conoscenze.

Quello che più ho gradito: Zona Cesarini in forma strepitosa, aromatica, delicata e intensa assieme, oltretutto servita da un Allo super amichevole e modestissimo, e la Two penny in versione barricata. Complimenti in questo utlimo caso al birraio per aver saputo dosare con mano lieve il passaggio in legno, caraterizzando la birra senza eccessi.

Una menzione per Kamun, appena arrivati sul mercato, di cui ho assaggiato una blanche molto beverina e del tutto in stile: ben fatto.

p.s. tanto per peggiorare le cose: l’acqua dei rubinetti del palazzetto, usata per lavare i bicchieri tra un assaggio e l’altro, lasciava un percettibilissimo sentore di pescione (d’altronde, Genova è città di mare…)

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Superbirra: che tristezza!

Secondo anno di Superbirra a Genova (niente link: non riescono neppure a fare un sito, occorre seguire su Facebook e simili) e seconda delusione, se possibile ancora più cocente di quella dello scorso anno.

In breve: poche spine (e pochissime italiane), nessun birraio presente (perlomeno in forma ufficiale), nessuna rarità (non è un dramma, ma almeno un contentino agli aficionados si potrebbe dispensarlo), prezzi da rapina (per dire: 4 degustazioni da 20cc 12 euro!!!), bicchieri in plastica.

Tralascio per amore di patria il costo delle bottiglie e del cibo: io sono andato a comperare da mangiare da Eataly che è lì a pochi passi, altri nel magazzino di Farinetti ci hanno comperato direttamente da bere…

L’unica cosa da salvare immagino siano stati i laboratori di Kuaska: ero in zona mentre se ne svolgeva uno e, come sempre, lo ho sentito sgolarsi per quasi due ore.

In definitiva: mi sfugge il senso di una manifestazione del genere e non riesco a capire come abbia fatto a finire invischiato in una porcheria simile una persona seria come Maurizio del O’Connor (pare che lui fosse coinvolto solo nella parte dei laboratori, anche se non mi è chiaro cosa significhi).
Credo che il tutto sia architettato da Timossi (uber-distributore di zona) e dal fighetto Kitchen Mon Amour.

La differenza con un evento recente (inizio Agosto, a Montegioco) come Pork’n’Beer, nettamente più “ruspante”, è abbastanza imbarazzante.
Nonostante si possa trovare qualche riserva anche all’appuntamento piemontese (i bicchieri in plastica, i prezzi), il confronto è impietoso per atmosfera e soprattutto selezione delle bevande.

Superbirra da dimenticare, anzi: da ricordare il prossimo anno in modo da evitarla accuratamente.

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O’Connor: crepi l’avarizia

Brevemente sulla cena “a tema” all’O’Connor: Crepi l’avarizia, birre scozzesi e genovesi.
Conduzione di Kuaska che, una volta tanto senza microfono, si sgola.
Cibo e ospitalità di Maurizio come sempre di gran livello.

Le birre:
– Maltus Faber, Bianca.
Un prodotto che normalmente adoro. Ieri sera l’ho trovata un filo appesantita, forse non era una bottiglia recentissima, e per un prodotto che ha il suo punto di forza nella estrema freschezza, questo potrebbe incidere. Comunque, ce ne fossero.

– Brewdog, Punk IPA alla spina, nuova versione e versione precedente.
Bah… la versione nuova ha decisamente un equilibro maggiore tra corpo, amaro e malto, ma era presente al naso una leggera puzzetta. La vercchia versione è come la ricordavo: piacevole un sorso, diventa subito dopo un maglio di luppolo resinoso che, lungi dall’essere balsamico e piacevole, stanca e asfalta il gusto

– La Superba, Castagnasca.
Non sono un amante delle birre alle castagne, e questo non aiuta, anche considerando che qui il frutto è molto avvertibile. Non mi entusiasma, anche a causa di una dolcezza eccessiva.

– Brewdog: Abstract.
Un mostro da 15 gradi dalla Scozia. Con Mr Chiodi di fronte a me, utilizzando un recentemente introdotto metodo di  degustazione, la abbiamo classificata “mappazza + pigna”.
Seriamente: birra da dopocena, da abbinare a dolci importanti, di grande corpo, naso e retrolfattivo con cioccolata, rabarbaro, caffè, piccante e direi anche una punta di balsamico. IBU a vagonate.
Buona, ma da utilizzare in dosi omeopatiche.

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Eataly Genova

eataly

ORE 14

Caro Dissapore,
visto che in ompeig ci hai il banner / link alle 7 mosse avventurose per salvare l’Italia, che sei così pappa-e-ciccia con il Farinetti da poterti permettere una assunzione in cambio di un post e che comunque sulla apertura di Eataly Genova ci hai pure fatto l’articolettoti chiedo di intercedere presso l’illustre langarolo.

Il motivo è semplice: ci hai raccontato che l’Oscar ha aperto il suo nuovo supermercatone a Genova, e noi provinciali di riviera piacerebbe anche andare a darci una occhiata, e magari gradiremmo pure far muovere le mandibole in uno dei cosiddetti “ristorantini tematici” o nel ristorante “Il marinpeccato però che sull’internez di Eataly Genova non si capisca una mazza di cosa facciano da mangiare (per gli “ini” ci sono solo gli orari e qualche descrizione generica e i click sulle immagini non portano da nessuna parte, mentre per “Il marin” ti si apre questo
pseudo-menu-in-geipeg via un abominevole javascript, e soprattutto non c’è un solo prezzo, cosa che, caro Dissapore, puoi capire che a noi liguri faccia un tantino accapponare la pelle.

Ora, io capisco che il neo-partigiano Farinetti stia dandosi da fare per salvare l’Italia (e ne abbiamo le prove: ecco che in un solo brainstorming con Illy, prima di cazzare la randa e dopo aver
controllato il timone, con il suo proverbiale decisionismo chiude l’annosa questione previdenziale che tanto preoccupa il Belpaesee che quindi non abbia tempo da perdere con simili sciocchezze, ma magari, amico Dissapore, suggerisci al subcomandante Oscar che magari
uno dei suoi delfini una occhiata al sito potrebbe pure darla.
No, lo dico anche perché, per esempio, avrei voluto deliziare olfatto e retrolfattivo con qualche nettare di Bacco, magari proprio con il giovane Già, ideato dall’instancabile ex venditore di
elettrodomestici, così ho fatto click su “Compra online”, e scegliendo i vini rossi ho scoperto che nelle regioni di quella Italia da salvare c’è un curioso omonimo del PIEMONTE, il Piemonte, nel quale non è elencato alcun vino…

Peraltro sono contento per l’Oscar: tacitando l’anima genovese timorosa del conto ignoto stamattina ho telefonato per prenotare da Marin ma era tutto pieno anche senza menu e prezzi pubblicati, quindi
suppongo che le operazioni per la riscossa dell’Italia stiano procedendo assai bene; sono quindi fiducioso che prima o poi Oscar troverà il tempo di ascoltare la tua ambasciata, caro Dissapore.

In ogni caso, stasera avevo deciso di sacrificarmi (nel senso del portafogli) e lo farò comunque: con sommo sprezzo del pericolo andrò a girovagare nel supermercatone e magari proverò uno dei “ristorantini” (che non si possono prenotare).
Ti farò sapere; bacioni.


——————————

ORE 22

Caro Dissapore,
alla fine da Eataly Genova ci sono stato. Certo, era sabato pomeriggio, e, certo, ha aperto da poco, quindi le attenuanti del caso ci sono tutte e forse anche di più, ma l’impressione è che la cosa
migliore sia la vista (straordinaria) sul porto di Genova: una giornata di bel tempo in questa stagione, all’ora del tramonto, è riuscita a trasformare la corsa di 20 secondi sull’ascensore
total-vetro panoramico in volo struggente sul mare arancione.

Per il resto: casino totale di gente, il personale che definire “ancora poco pratico” è un eufemismo (visti i ragazzi della pizzeria vagare sconcertati con i piatti in mano per capire a chi andava la
comanda, viste code con gente che attende perplessa mentre, come in posta, dietro al bancone ci sono 4 o 5 ragazzi immobili che guardano un forno, visto lo stappo delle bollicine con botti che neppure ai compleanni di mio nonno negli anni ’70… vabbè…

Alla fine son riuscito a vincere la competizione per un tagliere al bancone dei salumi, buono, per carità, ma nulla di speciale, mi sono fatto il supermercatone avanti e indietro un paio di volte e ho messo nel carretto della spesa qualche cibaria sfiziosa, ho visto che i prezzi dei vini (in quantità non da urlo) sono gli stessi del mio enotecaro di provincia e che la scelta delle birre è quantomeno opinabile (es. Moretti), ho provato un pochino di tristezza nel vedere affettati e formaggi già pronti impacchettati come alla Standa (pardon, alla Billa), e in uscita ho mangiato un gelato la cui crema sapeva di burro e non di crema.


Giudizio critico breve: boh.
Giudizio critico ragionato: mah…
Da riprovare più avanti in un giorno infrasettimanale, ora c’è troppo casino e l’apertura recente non aiuta. Son contento che ci sia, ma mi chiedo se è davvero tutto qui.

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Il Tempio della Birra? Ma neanche per sogno.

Passi nello sperduto nulla della campagna di Castel Boglione e vedi un casermone bello grosso con una insegna “Il Tempio della Birra”. Vuoi non fermarti?
Certo che ti fermi, ma forse facevi meglio a tirare dritto…
Dentro è molto grande e c’è ampio spazio all’esterno, l’arredaemnto è poco caldo: tavolini e sedie in metallo sponsorizzate Tuborg o qualcosa di simile, vabbè…
Sul sito dicono: “oltre 450 etichette diverse” ma neanche per sogno; ci sono alcune liste: una di birre di Natale (e siamo a fine aprile…), una di roba belga e una di italiane. In fusto (solo 3 spine, peraltro), 3 tedesche a me non note, descritte come “bionda, rossa e doppio malto” o qualche mostruosità simile.
Pazienza: prendiamo un tagliere piccolo di formaggi e una focaccina con mozzarella e pomodoro. Birra scelta, una Orval (5 euro!!): non c’è.
Ripiego su una Gueuze 3Fonteinen: non c’è.
Chiedo se c’è qualche altra fermentazione spontanea, senza frutta: no, hanno solo una Cantillon Criek.
Vedo in lista una Rulles Estivale: il tizio parte, ma torna con una Cantillon Iris… “ho trovato questa”, mi sono già rotto: “Ok, bene questa”.
Formaggi così cosà, focaccina orrida (“La mozzarella è finita, posso mettere un altro formaggio”?), neanche del tutto calda.
La Iris è buona, ma gelata; non è stata data neppure una annusata al tappo alla apertura per controllare che tutto fosse a posto, ed è stata servita in coppe da triple…
Tocco  finale, il costo della bottiglia di Iris da 75cc: 17 euro!!!
Ricapitolando: ambiente abbastanza triste, scelta delle birre alla spina pessima e in bottiglia abbastanza scadente, prezzi folli, servizio scarso, cibo da dimenticare.
In conclusione: se questo è un Tempio della Birra, io sono Zeus.

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