Carlaz 2012, Primaterra

Nella ragione sociale è scritto Prima Terra, ma la firma che si legge è quella prestigiosa di Walter De Battè, ormai uno dei simboli del vino “eroico” e non solo.

Mi (e vi) risparmio i consueti richiami al territorio delle Cinque Terre, alla difficoltà della professione vitivinicola ambientata in un paesaggio certamente di struggente bellezza, ma che deve radicare su terrazzamenti ripidissimi a strapiombo sul mare.
Mi limito a scrivere, ma è opinione personalissima di chi scrive, che se si cerca un vino capace di esprimere un carattere decisamente ligure, occorra scandagliare non tra i Vermentini dei  Colli di Luni, o nei Pigati di Ponente, o tra i Rossese, piuttosto semmai in certi Cinque Terre, peraltro tipicamente assemblaggi (Bosco, Albarola, Vermentino).

E quindi mi contraddico subito: il Carlaz non è classificabile come DOC Cinque Terre, è un Vermentino in purezza e per soprammercato la coltivazione delle uve avviene nella zona collinare sopra a Carrara, eppure, nei casi di bottiglia particolarmente fortunata come quella in questione, non esiterei ad indicarlo ad un ipotetico alieno enofilo come bevuta paradigmatica alla comprensione del vino ligure, perlomeno quello della riviera di levante.

Denominazione: VDT Bianco
Vino: Carlaz
Azienda: Prima Terra
Anno: 2012
Prezzo: 25 euro

Dicevamo, vermentino al 100%, leggera (ma sensibile) macerazione senza controllo della temperatura, poi acciaio e nessuna chiarifica e filtrazione.

Dorato, pieno e ricco già alla vista, si conferma tale alla prima olfazione: alle narici arriva un blend di salmastro, di eucalipto e di “puzzetta nobile”. Un filo di volatile? Forse, ma così, appena accennata, è solo il veicolo degli aromi.

Assaggio più canonico rispetto al naso, comunque robusto, caldo, pieno, intenso, anche se magari non particolarmente lungo. Vino mediterraneo, a partire dal colore intenso fino a finire con aneliti di frutta secca che raccontano suggestioni siciliane  e spagnole.
Esige una temperatura non bassa e qualche cibo adeguato, sia come struttura che come latitudine: nel mio caso ha ben gestito una pasta con salsa di cozze, porri e patate

Il bello: l’intenso animo mediterraneo

Il meno bello: prezzo non banale; mi risulta una grande variabilità da bottiglia a bottiglia

Articoli correlati:

Mare e Mosto 2016

Sulla carta è solo il secondo passaggio per Mare e Mosto, la rassegna dei vini liguri, ma in realtà l’organizzazione viene da lontano, da quando la manifestazione si chiamava in altro modo e si svolgeva in altra città, ed è proprio questa genealogia a spiegare il motivo per cui, nonostante la gioventù, il tutto sia gestito a puntino: dalla sede molto bella, comoda da raggiungere e con adeguati spazi all’aperto per favorire i momenti di riposo, alle sputacchiere che sono molte e costantemente svuotate, da acqua e pane abbondanti alla consegna all’ingresso di matita e libricino con gli spazi per annotazioni (a proposito: a quando la prima fiera con app dedicata allo scopo,  con mappa dei produttori presenti, elenco dei vini di ciascuno e possibilità di commento, magari poi inviato in diretta “social”?).

Ci sono poi tanti incontri collaterali: degustazioni, dibattiti, la finale per il titolo del migliore sommelier di Liguria e la costante supervisione dei tanti membri AIS coinvolti. Insomma, una manifestazione riuscita che ha il suo punto focale nella possibilità di “fare il punto” sulla gran parte dei vini liguri, con il bonus della presenza di un consorzio ospite (lo scorso anno era il Trento DOC, stavolta il Soave) e un piccolo minus: gli stand del cibo decisamente non all’altezza.

20160509_162042Subito al punto: non ho fatto una degustazione approfondita dei vini regionali (a quella mi dedicherò partecipando alle sessioni della guida dell’AIS), ma piuttosto una carrellata di assaggi più edonistica che tecnica; la prima cosa che ho notato è che fortunatamente non mi sono capitati casi di prodotti portati in assaggio palesemente troppo giovani come in passato, la seconda è che i nomi che più restano in mente sono sempre quelli dei “pesi massimi” regionali: i Cinque Terre di Cappellini con il loro afflato marino, le sperimentazioni di De Battè, sulla carta estreme ma poi in bocca godibilissime, la precisione millimetrica di Santa Caterina (che portava per la prima volta una lunga macerazione di vermentino: straordinario come Andrea Kilgren sia riuscito a mantenerlo fresco e bevibile), l’eleganza assoluta dei Rossese di Giovanna Maccario, l’ampiezza dei Pigato di Bruna.
E poi, come perdersi l’ennesimo show dell’anarchico scienziato pazzo Fausto de Andreis (Le Rocche del Gatto), che ogni anno porta in degustazione non due o tre annate, ma cinque o sei o persino di più, sia di Vermentino che di Pigato e anche dello Spigau (la selezione di Pigato)) e te le fa assaggiare tutte e si offende pure se cerchi di saltare qualcosa.

20160509_144237 (Medium)La delusione è venuta dal Soave: la Garganega è un uva dalle potenzialità straordinarie (e pure la Durella), soprattutto in invecchiamento, ma il Consorzio ha deciso di farsi rappresentare da molti vini giovanissimi e spesso banali, caratterizzati da spettri olfattivi imbalsamati sui canonici e impersonali frutti tropicali e banane, e da una serie di spumanti poco incisivi e molli.
Tra questo panorama poco interessante mi piace segnalare due metodo classico che spiccavano nettamente sugli altri, Il Lessini-Durello Marcato 36 mesi e 60 mesi: complimenti erano buonissimi, peccato che come accadeva con altri colleghi, al banchetto non fosse presente il produttore…

Articoli correlati:

Terre sospese

La minuscola cantina Terre Sospese di Andrea Pecunia a Riomaggore è uno dei segreti della straordinaria viticultura delle Cinque Terre, fatta di piccoli produttori che si impegnano a mantenere (e manutenere) un territorio che definire impervio è ovvio eufemismo. Per chi non avesse idea dell’ambiente meraviglioso e durissimo con cui i vignaioli si confrontano, credo sia sufficiente sbirciare le foto sul sito…
Siamo nell’ambito dei cosiddetti vini naturali, quindi niente di niente viene aggiunto: no a lieviti selezionati, solfiti, filtrazioni e chiarifiche; largo spazio invece alla macerazione sulle bucce, e fermentazione e affinamento sono svolti in anfore di terracotta.

terreSospeseDenominazione: Vino bianco
Vino: Terre Sospese
Azienda: Terre Sospese
Anno: 2013
Prezzo: 20 euro

Al sodo: il bicchiere (un blend di Vermentino, Bosco e Bianchetta) è paglierino lattiginoso, torbido, con una decisa puzzetta di zolfo e chiuso che comprime il fruttato di uva matura.
Il sorso è molto sapido e semplice, con poco corpo e poco calore (anche se l’alcol in etichetta c’è, eccome), accompagnato da una certa morbidezza che ricorda ancora il succo dell’uva da tavola. Mi ricorda chissà perché le bollicine di Solouva.
E’ una bevuta veloce, dissetante, tutto sommato piacevole nella sua imperfezione, da servire sicuramente sui 15 gradi.

Da riprovare una seconda bottiglia per confermare le caratteristiche errabonde e randomiche da “super naturale” oppure per essere smentiti (per capirci, me ne avevano parlato in termini molto più lusinghieri)…

Il bello: molto godibile, nonostante le imperfezioni

Il meno bello: puzzette e rusticità in eccesso, prezzo troppo alto

Articoli correlati: