Vecchio Samperi Ventennale, De Bartoli

Il classico adagio recita che non ci può essere un due senza il tre, e allora dopo i Grappoli del Grillo e il Terzavia, come esimersi dal metter mano (pardon, labbra e lingua e palato) ad uno dei pezzi forti della azienda De Bartoli, il Vecchio Samperi Ventennale, che ancora una volta onora alla grandissima l’uva Grillo.

Dopo una magnifica interpretazione in bianco e una altrettanto valida spumantizzazione, è la volta quindi di un vino ossidativo secco: il Marsala di tipologia Vergine (ma non si può dire, visto che non rientra nella DOC a causa della mancata addizione alcolica, e difatti raggiunge in splendida autonomia i suoi 17,5 gradi alcolici).

Il nome è mutuato dalla zona di coltivazione dell’uva, appunto la contrada Samperi nell’entroterra di Marsala, e i dati tecnici parlano di Grillo al 100%, con resa di 20hl per ettaro, di selezione e raccolta manuale e poi di fermentazione in fusti di rovere e castagno a temperatura non controllata.
Il lungo affinamento (una media di venti anni, da qui parte del nome in etichetta) viene poi svolto sempre in legno, in maniera analoga al Soleras utilizzato ad esempio per lo Sherry: dalle botti si preleva una piccola quantità di vino poi sostituita con altrettanto più giovane. L’operazione viene svolta periodicamente, in modo da creare un amalgama tra millesimi e invecchiamenti differenti.

samperi ventennaleDenominazione: Vino liquoroso secco
Vino: Vecchio Samperi Ventennale
Azienda: De Bartoli
Anno: –
Prezzo: 35 euro

Premesso che non amo i vini ossidativi, non posso comunque non ammirare il risultato: bel colore ambrato, carico e lucente che introduce richiami olfattivi legati al salmastro, allo iodato, alla terra e al fungo, con una punta di vernice in lontananza.

L’ingresso in bocca è sorprendentemente scorrevole nonostante gradazione e intensità, e la bevibilità si giova della netta impressione di secchezza.
Il corpo presente ma agile accompagna un finale decisamente molto persistente: un vino che nella mia immaginazione vedevo bene servito piuttosto fresco e abbinato a formaggi robusti, magari erborinati, ma che sorprendentemente si è trovato più a suo agio in abbinamento a pasticceria secca e ad una temperatura quasi ambiente.

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Grappoli del Grillo 2012, De Bartoli

Bisogna essere sinceri, sennò che stiamo a fare qui?

Frequento colpevolmente poco il sud Italia enoico, forse per lontananza geografica, forse per reperibilità dei vini, forse per affinità di tipologie, e della azienda De Bartoli so giusto quel che sanno tutti: al tempo della sua scomparsa ho letto della passione di Marco De Bartoli, delle sue battaglie per il Marsala, del suo recupero del Grillo… ma alle spalle ho pochi assaggi.

La sostanza è comunque che il vino di oggi è uno di quelli che mi convince di quanto errata sia la mia consuetudine: questa è una di quelle bottiglie che ti fanno sbattono in faccia quel che ti stai perdendo.

Grappoli del grilloDenominazione: Grillo Sicilia DOC
Vino: Grappoli del grillo
Azienda: Marco De Bartoli
Anno: 2012
Prezzo: 23 euro

Marco De Bartoli ha deciso di produrre il suo primo vino bianco nel 1990, usando un uva bistrattata e fino ad allora impiegata quasi solo per il Marsala, quindi Grillo in purezza raccolto nella Contrada Sampieri, a Marsala, con basse rese e severa selezione manuale. Fermentazione realizzata con lieviti autoctoni e temperatura controllata, inizialmente in acciaio e poi in rovere francese (del tutto inavvertibile sia olfattivamente che all’assaggio) per dodici mesi, usando la tecnica del bâtonnage.

Lo vedi di un bel giallo paglierino-dorato, di buona consistenza, e ti aspetti sentori caldi, magari mielati, ma appena metti le narici sopra al bicchiere ecco che si materializza lo spettro della tanto abusata mineralità di cui tutti straparlano… Arriva diretto un vagone di gesso (lo so che il gesso non ha odore, ma per qualche motivo il cervello accende questa immagine), condito con un filo di cera d’api, a sovrastare una struttura aggrumata (pompelmo?) decisa e fresca, condita da sensazioni di fiori di campo.
Non solleveresti più il nasone dal vetro, tanto è sfaccettato e piacevole.

Poi in bocca: riempie rapido il cavo orale: c’è acidità e torna nettissimo il pompelmo “mineralizzato”, ma è la sapidità a spiccare, tanto che brucia quasi le mucose.  Non puoi definirlo equilibrato, ma come fai a non riempire (e a non svuotare) nuovamente il bicchiere?

Difficilmente spendo il termine “territoriale”, che per me vuol dire davvero poco (magari una volta ne parleremo), ma un sorso così salino non può non rimandare la mente a località marine; oltretutto la lunga chiusura, dopo il bel ritorno del frutto, palesa un accenno di macchia mediterranea, in cui una volta tanto un filo di amaro (ma è davvero un flash) ha un senso piacevole, evitando di diventare appendice fastidiosa.

Territoriale, dicevamo, ma felicemente bifronte: certo, non c’è quella carica alcolica, e glicerica che ti aspetti da un vino siciliano (poi però vai a controllare in etichetta e scopri che sono 13,5 gradi, e ti chiedi come diavolo facciano ad essere così ben mascherati!), ma la luminosità e la sapidità teletrasportano su coste soleggiate e sferzate dal vento che solleva schizzi di salmastro.

Il bello: bevibilità pazzesca, ottenuta senza sacrificare l’importanza del vino.

Il meno bello: per quanto la bevuta sia stata ottima, il millesimo era recentissimo: sono certo valga la pena provare qualche bottiglia decennale.

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