Mare e Mosto 2016

Sulla carta è solo il secondo passaggio per Mare e Mosto, la rassegna dei vini liguri, ma in realtà l’organizzazione viene da lontano, da quando la manifestazione si chiamava in altro modo e si svolgeva in altra città, ed è proprio questa genealogia a spiegare il motivo per cui, nonostante la gioventù, il tutto sia gestito a puntino: dalla sede molto bella, comoda da raggiungere e con adeguati spazi all’aperto per favorire i momenti di riposo, alle sputacchiere che sono molte e costantemente svuotate, da acqua e pane abbondanti alla consegna all’ingresso di matita e libricino con gli spazi per annotazioni (a proposito: a quando la prima fiera con app dedicata allo scopo,  con mappa dei produttori presenti, elenco dei vini di ciascuno e possibilità di commento, magari poi inviato in diretta “social”?).

Ci sono poi tanti incontri collaterali: degustazioni, dibattiti, la finale per il titolo del migliore sommelier di Liguria e la costante supervisione dei tanti membri AIS coinvolti. Insomma, una manifestazione riuscita che ha il suo punto focale nella possibilità di “fare il punto” sulla gran parte dei vini liguri, con il bonus della presenza di un consorzio ospite (lo scorso anno era il Trento DOC, stavolta il Soave) e un piccolo minus: gli stand del cibo decisamente non all’altezza.

20160509_162042Subito al punto: non ho fatto una degustazione approfondita dei vini regionali (a quella mi dedicherò partecipando alle sessioni della guida dell’AIS), ma piuttosto una carrellata di assaggi più edonistica che tecnica; la prima cosa che ho notato è che fortunatamente non mi sono capitati casi di prodotti portati in assaggio palesemente troppo giovani come in passato, la seconda è che i nomi che più restano in mente sono sempre quelli dei “pesi massimi” regionali: i Cinque Terre di Cappellini con il loro afflato marino, le sperimentazioni di De Battè, sulla carta estreme ma poi in bocca godibilissime, la precisione millimetrica di Santa Caterina (che portava per la prima volta una lunga macerazione di vermentino: straordinario come Andrea Kilgren sia riuscito a mantenerlo fresco e bevibile), l’eleganza assoluta dei Rossese di Giovanna Maccario, l’ampiezza dei Pigato di Bruna.
E poi, come perdersi l’ennesimo show dell’anarchico scienziato pazzo Fausto de Andreis (Le Rocche del Gatto), che ogni anno porta in degustazione non due o tre annate, ma cinque o sei o persino di più, sia di Vermentino che di Pigato e anche dello Spigau (la selezione di Pigato)) e te le fa assaggiare tutte e si offende pure se cerchi di saltare qualcosa.

20160509_144237 (Medium)La delusione è venuta dal Soave: la Garganega è un uva dalle potenzialità straordinarie (e pure la Durella), soprattutto in invecchiamento, ma il Consorzio ha deciso di farsi rappresentare da molti vini giovanissimi e spesso banali, caratterizzati da spettri olfattivi imbalsamati sui canonici e impersonali frutti tropicali e banane, e da una serie di spumanti poco incisivi e molli.
Tra questo panorama poco interessante mi piace segnalare due metodo classico che spiccavano nettamente sugli altri, Il Lessini-Durello Marcato 36 mesi e 60 mesi: complimenti erano buonissimi, peccato che come accadeva con altri colleghi, al banchetto non fosse presente il produttore…

Articoli correlati:

Arione 2013, Piccinin

Oggi si parla di un metodo classico diverso: diverso per la provenienza, estranea ai soliti circuiti francesi (Champagne) o italiani (Franciacorta, Trento, Alta Langa ecc.), per il vitigno utilizzato (la Durella, che viene partecipa con successo a tante spumantizzazioni ma insomma, non è certo Chardonnay o Pinot Nero…), e per quanto posso intuire mi pare diverso anche il metodo produttivo. Ma andiamo con ordine.

La piccola cantina nella provincia di Verona (circa 15000 bottiglie) è quella di Daniele Piccinin, folgorato sulla via di Angiolino Maule, tanto da diventare vicepresidente di Vinnatur con tutto quel che ne consegue: vigne in cui viene limitato l’intervento dell’uomo e quindi ricche di piante spontanee, uso esclusivo di preparati vegetali e rame e zolfo, nessun intervento in cantina eccetera.

In passato ho assaggiato qualcuno dei suoi vini in vari banchi di assaggio, e li ho trovato piacevoli ma oggettivamente “derivativi”, nel senso che ho riscontrato più una somiglianza con i prodotti di Maule, ma stavolta Piccinin si è avventurato in un territorio nuovo, la spumantizzazione, realizzando il metodo classico Arione di cui tira circa 4500 bottiglie.

Avvertenza, questa è una degustazione senza rete: di solito scrivo quel che penso, ma poi butto un occhio al sito per produttore per verificare di non avventurarmi in idiozie sesquipedali sulla metodologia di produzione, ma stavolta non trovo alcuna informazione, quindi sappiatevi regolare…

Arione-MC-Daniele-Piccinin-20160428114356764Denominazione: VSQ
Vino: Arione
Azienda: Daniele Piccinin
Anno: 2013
Prezzo: 20 euro

Il colore dorato intenso lascia pensare al legno o piuttosto ad una breve macerazione, e il naso sembra confermare questa seconda impressione: i profumi sono molto intensi di frutta quasi surmatura.

La carbonica è piuttosto delicata sul palato e il è calore moderato; a spiccare più che la freschezza (che comunque non manca) è la grande sapidità, che resta a lungo in bocca anche a sorso completato e mi pare di avvertire anche un filo di astringenza da tannino, ulteriore conferma della avvenuta macerazione; si chiude con un corpo agile, sottile ma non magro e un finale di discreta lunghezza.

Sicuramente una bevuta diversa dal solito, magari non elegantissima come si è abituati a pensare quando si tratta un metodo classico con lunghi mesi di affinamento, però comunque piacevole e interessante.

Vino da provare in abbinamento a crostacei e frutti di mare: la contrapposizione tra la sapidità spiccata del vino e la tendenza dolce del del cibo promette interessanti sinergie.

Il bello: personalità, sapidità

Il meno bello: complessità e finezza un po’ limitate

Articoli correlati:

Sestri Les Vins 2014

Seconda edizione per la manifestazione targata Vinnatur, e stavolta il tempo ha assistito: niente diluvio e gelo come lo scorso anno. Di questi tempi è già una notizia…

Subito le note spiacevoli: ad occhio direi meno espositori ed anche meno pubblico (ma sono andato in un orario mirato, quindi può essere una impressione sbagliata), non c’è più lo sconto per i tesserati AIS, non c’è all’ingresso il libricino con l’elenco dei produttori e neppure una mappa per evitare di bighellonare a caso.
Ancora: pur essendo presente una ricca partecipazione di banchi gastronomici (molti dei quali nettamente troppo cari) e conseguente ricca dotazione di piatti e posate usa e getta, ci sono ben pochi bidoni dei rifiuti, tanto che nell’area esterna qualcuno provvede pietosamente a legare dei sacchi della spazzatura a dei sostegni.

I lati buoni: non c’è troppa calca e l’atmosfera è rilassata, il prezzo di ingresso è corretto, c’è il guardaroba, le sputacchiere vengono svuotate con solerzia, c’è buona dotazione di pane ai banchi di assaggio, soprattutto la selezione dei vini era di buona qualità media.

Qualche nota veloce e sparsa sugli assaggi: sontuoso, anche se davvero troppo giovane, il Taurasi 2008 del Cancelliere, assaggio sfortunato con la Malvasia di Donati (puzzette, un po’ troppo intense, ed è un peccato, visto quanto mi sto appassionando al produttore), bella macerazione, decisa ma non estrema, per il vermentino di Legnani.
Parlando di bolle:  mi hanno convinto più del solito i Franciacorta di Cà del Vent (ma che prezzi! 25 euro in fiera direttamente dal produttore, dai…), e ho trovato molto piacevole un prodotto che non conoscevo, il rosè Metodo Classico Oltrepo Pavese “Ancestrale” di Castello di Stefanago: succoso, ricco, morbido ma non piacione. Bello anche il riassaggio del Mira di Porta del Vento: semplice ma con gusto e personalità.

Una piccola scoperta i vini di Daniele Piccinin, bene i rossi, forse non troppo personale il pinot nero, ma a mio parere spiccano i bianchi: freschissima, bella dritta ma bevibilissima la Durella in purezza, un pochino più rotonda e complessa la versione in uvaggio con lo chardonnay. Da riprovare volentieri appena possibile.

Non posso dimenticare Casale, di cui ho trascurato i rossi (che lo scorso anno mi erano piaciuti molto): molto buono il Trebbiano leggermente macerato, ma sontuoso il Vin Santo: degna conclusione della giornata, di intensità e complessità non misurabili, profumi di salamoia, datteri, miele, cantina e mille altri… si appiccica infinitamente al bicchiere che quando ormai ero a casa, un’ora abbondante dopo l’assaggio, continuava a riproporre tutto lo spettro aromatico completo. Capolavoro.

Articoli correlati: