Bolle dal paradiso: Haderburg

HaderburgD’accordo, non conta nulla e importa a pochi, ma se potessi assegnare il premio per l’azienda agricola (intesa come vigneti, posizione, panorama e tutto quel che ne consegue) più bella e coreografica mai visitata, il titolo verrebbe assegnato alla Azienda Agricola Haderburg. No contest, vittoria per ko tecnico.

Certo, immagino che la vittoria sia stata favorita dall’aver raggiunto le alture circostanti Salorno (più precisamente: Località Pochi) in questo mese di Aprile cui la primavera un po’ strampalata regala montagne con neve in gran quantità fino ancora a 1300 metri, bianchissimi meli in fiore in tutta la Piana Rotaliana, erba dal verde abbacinante e 26 gradi di temperatura, ma effettivamente la location (come dicono quelli moderni) ha pochi rivali.

HaderburgPochi concorrenti ha anche l’accoglienza della famiglia Ochsenreiter: con il Vinitaly in pieno svolgimento abbiamo comunque tentato il colpaccio chiamando il mattino per prenotare una visita di lì a pochi minuti. Pensavo ad una pernacchia, invece ci è stato risposto che qualcuno (nella fattispecie il gentile figlio del titolare Alois) è sempre presente in azienda e ci avrebbe accolto volentieri.

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Haderburg Detto fatto, in pochi minuti si sale in auto da Salorno fino alla collina che ospita il podere Haderburg, abbarbicato a circa 400 metri di altitudine sul confine meridionale dell’Alto Adige, a dominare l’immensa distesa di vigneti e alberi da frutta che circonda il corso dell’Adige, con le Alpi in secondo piano che incorniciano il tutto.
In una tersa e fiorita giornata primaverile come quella in cui sono incappato il panorama è difficilmente eguagliabile.

L’azienda, i cui prodotti più noti sono indubbiamente i metodo classico, vinifica dal 1977 e ormai da molti anni si è convertita a regime biodinamico; i cinque ettari e mezzo di vigneti a pergola modificata del maso Hausmannhoff, piantati su terreno fangoso e argilloso rivolto a Sud-Ovest, sono quelli da più tempo di proprietà della famiglia e servono a produrre le bottiglie più prestigiose; ci sono poi altri tre ettari in Valle Isarco, dedicati a Müller-Thurgau, Pinot grigio, Riesling, Sylvaner, Gewürztraminer e Kerner.

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La gamma dei vini spumanti mi era già ben nota (ne ho parlato ad esempio qui e qui), ma un ripasso non fa mai male: il Brut base (85% chardonnay, 15% pinot nero, 24 mesi di affinamento sui lieviti, no malolattica) è un prodotto sincero, che non tradisce mai e dal prezzo sicuramente corretto; il Pas Dosé (85% chardonnay, 15% pinot nero, 36 mesi sui lieviti, no malolattica) secchissimo e nervoso, aggiunge sapidità e pienezza; il Rosè (60% pinot nero, 40% chardonnay, 24 mesi sui lieviti) gode di uno straordinario colore e presenta piacevoli e intensi richiami ai piccoli frutti di bosco.

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Il top di gamma è l’Hausmannhof 2004 (100% chardonnay, affinamento di un anno in piccole botti di legno, non svolge la malolattica e poi 8 anni sui lieviti; in precedenza erano 10, se non vado errato), per il quale vale la pena spendere qualche parola in più: bel giallo dorato, luminoso, con bollicine sottili (forse non numerosissime) che in bocca si rivelano sorprendentemente morbide, per nulla graffianti e persino troppo addomesticate.
Olfattivo di buona intensità, ricco di pasticceria e fiori maturi.
Il primo sorso è leggero e poi cresce di intensità nella parte centrale e finale dell’assaggio.
Estremamente scorrevole: l’acidità c’è ma è ben mascherata e in generale è difficile discernere la varie componenti: tutto concorre ad una sicura rotondità, mai piaciona o noisamente morbida, ma sempre elegante e composta.
Bella chiusura, senza amarezze e con discreta lunghezza: resta un piacevole ricordo sapido.
Ottimo vino, dal prezzo comunque importante, al quale (se mi è consentito muovere un appunto), chiederei un po’ di spunto brioso in più.

Non avevo mai assaggiato i vini fermi, e l’impressione generale è sicuramente di prodotti di buon livello, con una punta di eccellenza per il Pinot Nero Riserva Hausmannhof (affinamento per 12 mesi in barriques nuove e altrettanto tempo in legno già usato): la sera precedente al ristorante avevamo bevuto questo stesso vino nel millesimo 2004 restandone fortemente colpiti per rotondità e freschezza ma anche finezza del tannino e per la buona persistenza. Il 2010 (al momento molto giovane) promette altrettanto: ne ho prese un paio di bottiglie da lasciare in cantina qualche anno.
Convincente il Pinot Nero: più semplice e immediato rispetto alla Riserva, dimostra comunque grande freschezza e facilità di bevuta.9 Molto interessante il passito Perkeo (Gewürztraminer e Petit Manseng): acidità notevole, gradazione non eccessiva e corpo piacevolmente scorrevole lo rendono per nulla stucchevole nonostante la dolcezza e l’aromaticità spiccata.
Il vino che ho trovato meno convincente è il Riesling: poca personalità, corpo sfuggente, olfattivo un po’ banale.

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Bianc ‘d Bianc Alta Langa 2007, Cocchi

Le Langhe, territorio benedetto per il vino, non godono di gran reputazione per quel che riguarda le bollicine, siano esse da metodo classico o da charmat. 

Il concetto a dire il vero si può estendere a tutta la regione: gli unici vini spumanti piemontesi noti e diffusi sono l’Asti e il Brachetto; poi, a parte piccole eccezioni (penso ad esempio a Gavi e Caluso) c’è  ben poco di noto.

Eppure la zona offre persino una DOCG, l’Alta Langa, di cui si parla ben poco e di cui si trovano ancora meno vini in circolazione.
Non potevo quindi farmi sfuggire l’occasione di assaggiare uno dei prodotti di punta di una azienda astigiana, Cocchi, che sul metodo classico punta molto.
Il vino è un millesimato, ottenuto da Chardonnay al 100% (biotipo “precoce di Borgogna”, specifica il sito) coltivato a 320 metri di altitudine; poi vinificazione in acciaio, lungo riposo sui lieviti (circa 50 mesi!) e infine un leggero dosaggio.

AltaLanga_BiancDBiancDenominazione: Alta Langa DOCG
Vino: Bianc ‘d Bianc
Azienda: Cocchi
Anno: 2007
Prezzo: 21 euro

Il vino è giallo dorato, luminoso, con bolle piccole e fitte. Appena si avvicina il calice, si avverte netta la crosta di pane, poi un leggero floreale fresco e un tocco di agrumi: olfattivo poco intenso ma piacevole.

L’assaggio è molto migliore: deciso, prorompente, secco con sapiente uso del dosaggio (attorno agli 8 grammi litro), non cede a nessuna stucchevolezza e neppure ad alcun finale amaro; le bolle massaggiano il palato senza essere fastidiose e la freschezza è in ottimo spolvero.

Equilibrio millimetrico e bella persistenza sono le doti migliori di un vino che mi è piaciuto molto e ha fatto ottima figura su un risotto al limone con gamberi e scampi.
Sboccatura indicata in retroetichetta: 2013.

Il bello: ottimo equilibrio e bella persistenza
Il meno bello: olfattivo un po’ risicato

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Letrari brut rose 2010

L’azienda Letrari è una storica e bella realtà Trentina che ho potuto conoscere e apprezzare durante lo scorso Terroir Vino; da quella volta ho avuto modo di bere più volte tutta la gamma degli spumanti, restandone sempre favorevolmente impressionato.

Uno dei vini che preferisco, anche e soprattutto in ragione del rapporto qualità/prezzo è il Brut Rosè: vinificato con pinot nero e chardonnay, riposo sui lieviti di almeno 24 mesi, millesimato e in questo caso con sboccatura effettuata nel settembre 2013.

LetrariDenominazione: Trento DOC
Vino: Brut Rosè
Azienda: Letrari
Anno: 2010
Prezzo: 19 euro

Visivamente rosa antico, luminoso, elegante, con bolle fini, numerose.
L’olfattivo è di discreta intensità e combina minerale e fruttato di sottobosco, fragole e lamponi.

L’ingresso è secco, deciso, asciutto. Ottime freschezza e sapidità, un minimo accenno di tannino e dosaggio ben poco avvertibile.

Bel vino da pasto, di struttura ma agile.

Il bello: grande equilibrio, anche tra qualità e prezzo
Il meno bello: struttura importante, meglio berlo pasteggiando

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Champagne Sublime Brut Grand Cru 2002, Le Mesnil

Sarò breve: non ho praticamente alcuna notizia riguardo questo blanc de blancs e il relativo produttore: mi pare di aver capito si tratti di una sorta di cantina cooperativa di Le Mesnil (quindi operante in territorio Grand Cru), che sforna circa 100.000 bottiglie  l’anno.

Il vino in questione, sempre al netto di miei errori, non fa malolattica e sosta almeno 72 mesi sui lieviti.

Denominazione: Champagne
Vino: Sublime Grand Cru Blanc de Blancs
Azienda: Coop. Le Mesnil
Anno: 2002
Prezzo: 45 euro

Giallo paglierino pieno, brillante, con bolle fitte, numerose, e catenelle continue che si riveleranno poi delicate sul palato.
L’olfattivo è intenso, ricco, sfaccettato: dal floreale bianco e fresco, alla intensa panificazione, passando per anice e cera. Potente ed elegante.

L’assaggio è sapido e freschissimo, perfettamente equilibrato da un dosaggio discreto, ottimamente gestito. L’ingresso è pieno e vigoroso ma scattante, con finale caldo e lungo senza alcun accenno di amarezza.

Ovviamente maturo, ma capace ancora di lunghe attese; l’unico timore è la bolla: non vorrei che col tempo diventasse troppo esile.
Grande vino, universalmente adeguato ad ogni occasione, che sia aperitivo o tutto pasto poco importa.

Il bello: ricco, complesso ma gradevolissimo da bere
Il meno bello: praticamente irreperibile

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La Bolla Rosa, Giusti

Ancora bollicine italiane, ma stavolta la tipologia è davvero particolare: uno charmat di Lacrima di Morro.

Vitigno quantomai poco conosciuto (io stesso credo di averlo bevuto solo un paio di volte in qualche manifestazione), il Lacrima di Morro trova la sua collocazione naturale nella provincia di Ancona (originariamente appunto presso Morro d’Alba), producendo vini da consumare generalmente giovani e freschi, con colore e odore intensi, dal ricordo di violetta.

In questo caso l’azienda Giusti (che coltiva 12 ettari di Lacrima di Morro, vinificandolo in varie versioni) ha deciso di declinare il vitigno nella tipologia spumantizzata brut.
La vinificazione prevede pressatura soffice, fermentazione in acciaio a temperatura controllata e quindi presa di spuma secondo il metodo charmat lungo (4 mesi a contatto sui lieviti).  La produzione è limitata a sole 4000 bottiglie per anno.

bolla-rosaDenominazione: Spumante Rosato Brut
Vino: Bolla Rosa
Azienda: Luigi Giusti
Anno: 2013
Prezzo: 11 euro

Alla vista è di un bel rosa antico, con bolle fini, copiose e continue; olfattivamente interessante con ricordi di piccoli frutti di bosco, di bitter e un lontano accenno affumicato.

L’assaggio è piacevole: richiama quanto avvertito al naso e si dimostra di sufficiente corposità, sicuramente secco e avvolgente. Non mancano freschezza, sapidità e discreta persistenza.
In conclusione siamo ben lontani dallo stereotipo dello charmat dolce, facilone e per nulla originale: questo è un vino gradevole da bere che fa di una certa semplicità la sua forza, senza rinunciare a caratteristiche necessarie ad uno spumante come la acidità e la pienezza del sorso.

Si è comportato ottimamente con una bella porzione di carne battuta al coltello.

Il bello: vino semplice ma interessante, con la giusta personalità
Il meno bello: scarsa reperibilità

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Pignoletto frizzante sui lieviti, Orsi Vigneto San Vito

Prosegue la mia sperimentazione di prodotti rifermentati in bottiglia: è la volta del Pignoletto (con leggero saldo di riesling) di Vigneto San Vito.

Due note sulla azienda (i cui vigneti sembrano davvero belli, vedendo le foto sul sito): Vigneto San Vito è situato sulle colline bolognesi, a circa 200 metri sul livello del mare, opera in conduzione biodinamica, con fermentazioni spontanee e senza l’uso di chiarifiche e filtrazioni.

orsi-vigneto-san-vito-pignolettoDenominazione: Emilia IGT
Vino: Pignoletto frizzante sui lieviti
Azienda: Vigneto San Vito
Anno: 2012
Prezzo: 10 euro

Visivamente rustico: tappo a corona (e va benissimo), aspetto paglierino-verdolino opalescente (io l’ho bevuto con tutti i suoi lieviti in sospensione, scuotendolo leggermente prima di stappare) che introduce a note olfattive leggerissime, esili, floreali e lievemente aggrumate.

Il sorso ha ingresso delicato, con carbonica ai minimi (forse troppo spenta anche per la tipologia?) e poi non c’è molto se non sapidità più che freschezza, appunto una certa rusticheria e soprattutto una sensazione calorica un po’ fuori posto per un prodotto di questo tipo.
Chiusura amara, non fastidiosa e rinfrescante, ma monocorde.
Lo vedo meglio in accompagnamento a fritture che sui primi o come aperitivo.

Certo, è un vino semplice che vuole mantenere questa caratteristica, ma anche cercando di giudicarlo come tale non è del tutto convincente: troppo esile al naso, un po’ vuoto in bocca, alcolicità eccessiva.
Ma giudizio non del tutto positivo deriva particolarmente in ragione del prezzo: se vino semplice e quotidiano deve essere, vorrei che anche il prezzo rimanesse tale…

Il bello: tradizionalmente semplice
Il meno bello: eccessivamente semplice, prezzo

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Franciacorta Dosaggio Zero, Faccoli

La famiglia Faccoli di Coccaglio è un produttore molto noto e celebrato tra le realtà di Franciacorta, che, come sempre più spesso capita in questi ultimi nella denominazione, ha deciso di mettere in commercio accanto al tradizionale Brut  anche un Dosaggio Zero.

Una piccola introduzione al Dosaggio Zero: fate riferimento a questo post per qualche dato un po’ più tecnico sulla categorizzazione in base al residuo zuccherino, ma parlando più in generale possiamo raccontare di una tipologia relativamente poco praticata, considerata (a torto o a ragione) esclusivamente gradita agli esperti a causa del suo profilo gustativo senza compromessi, affilato, perfino spigoloso a volte. Per amanti delle acidità estreme, insomma…
Ciò nonostante, sempre più aziende franciacortine mettono a catalogo una referenza di questo tipo, e normalmente si tratta del prodotto di punta della gamma: è solo il riflesso commerciale che accondiscende all’ennesima nicchia modaiola degli eno-fanatici o c’è altro?
Da amante delle bolle, con gusti decisamente orientati verso le durezze piuttosto estreme, ritengo il dosaggio zero un prodotto molto complicato: è facile farsi prendere la mano e sfornare l’ennesimo metodo classico sbilanciatissimo, che magari farà gridare al miracolo il piccolo manipolo degli hardcore fan, ma che poi sarà ben difficile da bere in scioltezza, e farà  altrettanta fatica a livello commerciale.

Credo esista anche un motivo più tecnico che spinge l’adozione della tipologia: l’ambiente pedoclimatico della Franciacorta nel suo complesso non è perfettamente ideale per il metodo classico, e non è un mistero che spesso si facciano vendemmie anticipate per preservare il giusto grado di acidità e per contenere la gradazione (ricordo che in Champagne la rifermentazione in bottiglia è necessaria, oltre che per la presa di spuma, anche per dare un piccolo spunto alcolico ad un vino base davvero povero di gradi).
In questo contesto, credo che portare le uve ad una maturazione più “normale”, procedendo con una lavorazione che preveda un dosaggio nettamente minore (in quanto non c’è necessità di mitigare un profilo gustativo tremendamente tagliente), possa essere una scelta oculata.
Certo, si tratta di un procedimento “senza rete”: il dosaggio zero lascia poco appello alle imperfezioni, che di sicuro possono essere mascherate da qualche goccia di liqueur d’expedition un po’ ruffiano…

dosaggio-zeroFaccoliDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Dosaggio Zero
Azienda: Faccoli
Anno: –
Prezzo: 30 euro

I dati tecnici riportati sul sito parlano di una composizione di 70% chardonnay, 25% pinot bianco e 5% pinot nero e di 48 mesi sui lieviti. Non è specificato, ma non ho alcuna evidenza di passaggio in legno.

Lo dico subito: la bottiglia non mi ha convinto fino in fondo, anche in ragione del prezzo non propriamente abbordabile… (edit: vedo online prezzi di 2-4 euro inferiori a quanto ho sborsato io, sappiatevi regolare).

Il visivo è da manuale per un metodo classico: giallo paglierino con accenni verdolini, bolle fini, regolari, copiose.
Poi un olfattivo di buona intensità, ricco, piuttosto orientato verso le opulenze. Il frutto è maturo e lo sfondo è molto ricco di lieviti, forse anche troppo: i 48 mesi di affinamento sui lieviti mi pare lo marchino in maniera eccessiva, facendo perdere eleganza.

L’ingresso è robusto, netto, di grande intensità e calore. Le durezze ci sono, sapidità in particolare, ma sono fin troppo equilibrate dal senso generale di opulenza e di alcolicità. Alla cieca avrei battezzato una percentuale ben superiore di pinot nero.

Il dosaggio è effettivamente inavvertibile, e la lunghezza è buona.
Berrei ora senza attendere oltre: non ho l’impressione di future grandi evoluzioni in meglio…  Vino sicuramente da pasto, troppo robusto per aperitivi, ben fatto, ma non facile da bere, trovo che manchi della agilità che caratterizza elegantemente un metodo classico.

La sboccatura indicata è quella del secondo semestre 2013.

p.s.: Dopo alcune ore si è piuttosto ingentilito, mitigando la botta dei lieviti e avanzando qualche accento floreale assieme a richiami varietali del pinot bianco.
A questo punto ho azzardato lasciandone un po’ per il giorno seguente, ma il risultato non è stato esaltante, con una netta una nota vegetale ad appiattire la complessità aromatica

Il bello: dosaggio inavvertibile, buona lunghezza
Il meno bello: opulenza e pseudocalore avvertibili in modo robusto

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Brut Blanc de Blancs, Cavalleri

Abito in provincia e ho praticamente sottocasa un’enoteca ottimamente fornita, che scandaglio periodicamente alla scoperta di nuove bolle a prezzi umani (il mio concetto di “umano” è il non superamento della soglia dei 30-35 euro).

Potrei farla breve: sicuramente dopo l’assaggio di questa bottiglia proverò ad annoiare il titolare del suddetto esercizio affinché si doti del Blanc de Blancs di Cavalleri…

Cavalleri

Denominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Brut Blanc de Blancs
Azienda: Cavalleri
Anno: –
Prezzo: 25 euro

I dati tecnici (riportati esaustivamente in maniera esemplare sul sito): ovviamente chardonnay 100%, assemblato principalmente da uve vendemmiate nel 2010 e in piccola parte nel 2009.

La fermentazione avviene quasi totalmente in acciaio, con un 10% in botte grande e un minimo saldo in barrique, poi 2 anni sui lieviti.
Tecnicamente siamo in zona dosaggio zero, anche se la dicitura è brut.

Paglierino estremamente intenso; olfattivo finissimo e ricco, dalla netta fragranza e con sfumature tostate, passando per agrumi e classici fiori bianchi. Molto elegante.
Ingresso in bocca deciso, vivace, bolla suadente; freschezza netta che riempie il palato e lo sollecita vigorosamente senza eccessive affilature.
Piacevolissimo, ricco, pieno, polposo; si beve facilmente senza stancare, riproponendo la medesima eleganza trovata al naso.
Prima di leggere i dati tecnici sul sito, avrei immaginato un uso un po’ più deciso del legno.

Nessuna stucchevolezza, nessun amaro finale, bella lunghezza che ripropone tutta la gamma aromatica.
Ottimo vino universale, per uso da aperitivo o a tutto pasto.

Il bello: grandi eleganza ed equilibrio. Ricchezza aromatica
Il meno bello: difficile reperibilità (perlomeno dalle mie parti)

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Tridentvum Riserva Extra Brut 2005, Cesarini Sforza

Le premesse per un bel metodo classico ci sono tutte quando parli di un Trento DOC di un produttore illustre, fatto con uva chardonnay al 100% ottenuta da vigneti tra i 500 e i 700 metri e affinato a lungo sui lieviti (4-5 anni).

Invece al di là di un colore invitante e particolare (giallo paglierino-dorato intenso ma che mantiene curiosamente qualche riflesso verdolino), non c’è molto altro da ricordare.

Tridentvm-RiservaDenominazione: Trento DOC
Vino: Tridentvum Riserva Extra Brut
Azienda: Cesarini Sforza
Anno: 2005
Prezzo: 19 euro

La bolla è fine, certo, ma invece di accarezzare il palato risulta un po’ debole; l’olfattivo è abbastanza intenso: si riconoscono i canonici floreale e frutta matura, mentre stranamente, nonostante il lungo riposo sui lieviti, c’è poca traccia di fragranza. In compenso si avverte qualcosa di fuori posto, appena accennata ma leggermente fastidiosa e difficile da identificare, sembrerebbe una terziarizzazione poco riuscita che rimanda alla plastica.
Insomma, mancano la finezza e anche il guizzo.

L’assaggio è secco, ma alla cieca non lo direi un extra brut. La freschezza c’è, ma il vino risulta mollo: d’accordo non aggredire il palato come a volte capita con certe bolle beniamine dei passaparola tra enofanatici del non dosaggio, della mineralità spinta e delle acidità selvagge, ma l’immagine è quella di un prodotto seduto, senza slancio.
La chiusura ha un finale leggermente amarognolo e non risulta una gran lunghezza.

Insomma è tutto corretto (a parte la sbavatura olfattiva), ma non c’è neppure uno spunto, qualcosa per farsi ricordare. Lascia del tutto indifferente e non è un gran pregio per un metodo classico da zona vocata, che ha certe ambizioni e viene via e 19 euro.

Come si dice in questi casi: bottiglia sfortunata?

Il bello: prodotto molto classico, senza spunti strani
Il meno bello: olfattivo poco fine, una certa mollezza generale

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Roncaie sui lieviti 2012, Menti

Preso dalla scimmia dei rifermentati in bottiglia (vini che nei casi fortunati trovo essere goduriosi e gustosamente semplici quanto economicamente abbordabili e persino, nelle migliori occasioni, un po’ eccentricamente originali), mi sono accostato a questa Garganega sui lieviti di Giovanni Menti con un discreto carico di aspettative.
Non è andata benissimo.

Roncaie sui lievitiDenominazione: Vino Frizzante
Vino: Roncaie sui lieviti
Azienda: Menti
Anno: 2012
Prezzo: 8 euro

I dati tecnici in pillole: Garganega 100% da vigneti in pianura con conduzione biodinamica, lieviti non selezionati, controllo della temperatura e nessuna aggiunta di solfiti all’imbottigliamento. La rifermentazione in bottiglia viene attivata aggiungendo mosto di Garganega passita.

Colore giallo paglierino opalescente con riflessi dorati, non spiacevole alla vista (come invece accade ad altri rifermentati). La bolla è per forza di cose poco netta, ma almeno continua e microscocopica.
Olfattivamente è molto lieve, appena un accenno di prugna gialla acerba, di fiori freschi su uno sfondo di un minerale poco definito (gesso?).

Entra in bocca ben secco, sapido, leggero quasi esile, e il finale è aggrumato, lievemente amarognolo e corto.
C’è una buona freschezza, c’è drittezza, ma è davvero molto semplice, sia all’olfattivo, che risulta appena accennato, che all’assaggio, molto fluido.

Ovvio che non è da disprezzare, e a dirla tutta presenta anche una certa gradevolezza, ma anche tenendo presente prezzo e uso di rifermento (rinfrescante fuoripasto, accompagnamento a semplici stuzzichini e similari) scivola via un po’ anonimo.
Giudizio: rivedibile.

Il bello: freschezza, prezzo
Il meno bello: semplicità eccessiva, persistenza limitatissima

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