La relatività dei giudizi

Solo un accenno, poiché ho intenzione di parlare dell’argomento in maniera più estesa e razionale in qualche altro post: in questi mesi estivi ho avuto ulteriore conferma della mia teoria sulla bassissima affidabilità relativa a qualsiasi giudizio sui vini basato sulla semplice bevuta di una bottiglia.

lenza_doquetIn sostanza, ho assaggiato due bottiglie e poi le ho ri-bevute nel giro di tre settimane o un mese circa. Stessi lotti di produzione, stessi rivenditori (quindi eguali condizioni di conservazione).

Il risultato è sorprendente: in entrambi i casi al primo giro ho trovato vini notevolissimi, eleganti, pieni, complessi, di buona lunghezza, mentre al secondo test ho invece rilevato alcune disarmonie e finali amari.

Che dovrei fare? Acquistare un terzo campione? Francamente per chi, come me, non assaggia per professione, i due passaggi (perdipiù trattandosi di prodotti non proprio economici) sono abbondantemente sufficienti.
Certo, mi piacerebbe capire se sono stato fortunato nel primo caso o sfortunato nel secondo.

Per la cronaca, i vini erano:

Denominazione: Champagne
Vino: Premier Cru Blanc de Blancs
Azienda: Pascal Doquet
Anno: –
Prezzo: 38 euro
Denominazione: Franciacorta
Vino: Cremant
Azienda: Lenza
Anno: –
Prezzo: 25 euro

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Champagne Grand Cru Cuvée Marie Catherine Extra Brut, Francois Billion

Ancora uno champagne Grand Cru (qui e qui i precedenti), sempre pescato dalla cassa acquistata recentemente da L’Etiquette: è la volta di Francois Billion e anche in questo caso le aspettative sono quelle di un vino di grande interesse, visto che la piccola maison (circa due ettari, con vigneti di almeno 40 anni) opera a Le Mesnil s/Oger, mitico comune della Cote des Blancs, patria di alcune tra le più prestigiose bollicine transalpine.
L’azienda è così piccola da non avere un sito internet e da potersi permettere ancora sboccatura a la volèe ed etichettatura manuale.

billion-extra-brutDenominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Cuvée Marie Catherine Extra Brut
Azienda: Francois Billion
Anno: –
Prezzo: 27 euro

Data la provenienza, parliamo come ovvio di un prodotto 100% chardonnay. Il vino non ha svolto malolattica, ha fatto affinamento in acciaio, ha riposato per 48 mesi sui lieviti e non ha dosaggio (da qualche parte leggo 0,5 grammi/litro). Viene prodotto in sole 5000 unità.

Il colore è tra paglierino e dorato, con bolle finissime, intensamente copiose e continue, da manuale. Il naso riporta evidenti note di lievito, declinate sul versante della pasticceria, poi agrume e gesso.
L’assaggio è sicuramente molto fresco e appagante, però un po’ semplice e corto: manca la profondità, la materia e la struttura del grande vino che mi sarei aspettato. Ne risulta una bottiglia piacevole, interessante per un buon aperitivo ma che non mantiene le premesse (altissime, forse troppo?).

Il bello: piacevole, fresco
Il meno bello: mancano struttura e soprattutto complessità

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Champagne Grand Cru Carte d’Or, Camille Saves

Ancora una bottiglia proveniente dalla cassa acquistata presso L’Etiquette, l’azienda è quella di Camille Saves.
Rubo anche questa volta le note relative al produttore dalla scheda sul sito dell’importatore: “il domaine si estende su circa dieci ettari, impiantati a Pinot Noir nei territori Grand Cru di Bouzy, Ambonnay e Tours-sur-Marne ed a Chardonnay nei territori Grand Cru di Bouzy e 1er Cru di Tauxieres. L’età media delle vigne è di 40 anni” … “la fermentazione si fa in vasche di acciaio termoregolato, non viene svolta la fermentazione malolattica per garantire la freschezza e la ricchezza aromatica dei vini di base, l’affinamento, che tradizionalmente si faceva solo in vasche di acciaio, negli ultimi anni, per le cuvée pregiate, si fa anche in botti di legno”

carte-orAncora una volta si tratta di un Grand Cru, ma stavolta non di uno Chardonnay al 100%, bensì di un blend 75% Pinot Noir e 25% Chardonnay, fermentato ed affinato in acciaio, con malolattica non svolta, 57 mesi sui lieviti e disaggio di 9 grammi/litro.

Denominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Carte d’Or
Azienda: Camille Saves
Anno: –
Prezzo: 23 euro

Il bicchiere è paglierino, con bolle copiosissime e sottili e aromi freschi e semplici, fragranti, di crema pasticcera, con un bel contrappunto minerale

L’assaggio è aggrumato, minerale, gessoso, molto intenso, ricco, estremamente fresco nonostante il dosaggio (non certo risicato ma per nulla fastidioso).
In bocca è pieno, di ottimo equilibrio e con una lunghezza degna di nota.

Il bello: ottimo prezzo in relazione alla qualità. Fresco e minerale
Il meno bello: poco reperibile

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Champagne Grand Cru Cuvée 555, Voirin-Jumel

Ho comperato una cassa di Champagne prodotti da piccoli recoltant manipulant dei quali so poco o nulla, giusto di qualcuno avevo letto la ragione sociale chissà dove. Per sceglierli mi sono fidato di qualche descrizione letta sul sito dell’importatore (L’Etiquette: lo consiglio perché è stato puntualissimo nella consegna ed estremamente cortese) e soprattutto dalla provenienza da qualche villaggio particolarmente vocato, magari battezzato Grand Cru o 1Er Cru.
So bene che si tratta di criteri aleatori, ma volendo assaggiare qualcosa di nuovo a prezzi umani è sempre meglio che tirare a caso, no?

Uno dei primi vini che ho tolto dalla cassa è prodotto dalla azienda  Voirin-Jumel, la cui scheda pubblicata sul sito de L’Etiquette parla di “vigneti che si estendono su dodici ettari, frazionati in ben 11 villaggi, tutti in aree Gran Cru o 1er Cru, della Cote des Blancs, tranne una parcella a Mareuil su Ay” … “La vinificazione è fatta in vasche di acciaio termoregolate ed anche l’affinamento, con eccezione di quanto riguarda la Cuvée 555 che viene affinata in 11 barriques di parecchi passaggi. La pressatura è fatta con una pressa orizzontale pneumatica a plateau inclinato. Gli champagne subiscono una filtrazione leggera”.

cuvee-555E’ proprio la Cuvée 555 che ho stappato: i dati tecnici parlano di Chardonnay da vigneti Grand Cru al 100%, con malolattica non svolta, affinamento in legno, 72 mesi sui lieviti e 8 grammi/litro di dosaggio.
Bottiglia elegante e caratteristiche interessanti mi predispongono ad aspettative altrettanto importanti: vediamo.

Denominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Cuvée 555
Azienda: Voirin-Jumel
Anno: –
Prezzo: 26 euro

Nel bicchiere è giallo quasi dorato, con perlage finissimo alla vista ma soprattutto in bocca.
Gli servono dei minuti: il tappo non è bello e appena stappato è gnucco, muto e pesante. Temo il peggio. Con i giri di orologio si ingentilisce; il naso si arricchisce di note gessose minerali e aggrumate, espressive ed eleganti

L’assaggio è molto fresco, ampio, largo non nel senso della robustezza ma di una persistenza inusuale in tutta la capienza della bocca. Fresco per acidità ma anche oltre, grazie ad agilità e dinamicità.

Un finale leggermente amaro e una bevibilità non record lo azzoppano lggermente, ma devo dire che il tappo non era meraviglioso… vorrei provarne una seconda bottiglia in modo da avere un riscontro.

Il bello: dinamico, fresco, buon prezzo
Il meno bello: occorre tempo, finale leggermente amaro

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Bianc ‘d Bianc Alta Langa 2008, Cocchi

Dopo più di un anno torna l’assaggio di questo prodotto di Cocchi: rimando dunque al post precedente per qualche considerazione più generale.

Devo dire che se il millesimo 2007 lo ricordavo di ottimo livello, questo 2008 (sboccatura 2014), pur ben fatto, mi ha appagato meno.

Denominazione: Alta Langa DOCG
Vino: Bianc ‘d Bianc
Azienda: Cocchi
Anno: 2008
Prezzo: 24 euro

Visivamente paglierino, al palato rivela una bella bolla, finissima, mentre l’olfatto riporta una accenno vegetale un po’ fuori registro, condito da lieviti e da un lontano ricordo di tabacco e caramello.

Il vino è molto delicato, si beve con facilità ed è dotato di grande equilibrio; purtroppo non è particolarmente lungo, e sento un dosaggio in leggero eccesso. Nel complesso è una bevuta facile, piacevole, disimpegnata: nulla di male, anzi, ma da una bottiglia di lungo affinamento ci si aspetta qualcosa in più a livello di complessità.

Il bello: buon equilibrio, bevuta facile
Il meno bello: dosaggio avvertibile, complessità limitata

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Zero Infinito Pojer e Sandri

Il faccione baffuto di Mario Pojer l’ho sbirciato molte volte in varie manifestazioni vinicole, dove era presente come espositore ma spesso anche come visitatore: segno che l’uomo ama capire, assaggiare, confrontarsi.
Dal 1975 a Faedo, lui e il socio Fiorentino Sandri, anno dopo anno sono riusciti ad ingrandirsi e ad introdurre innovazioni tecnologiche, fino costruire una ampia e solida gamma di vini tipici del territorio (e in verità anche di distillati e aceti) che tra gli appassionati gode di ottima reputazione.

zeroIl risultato di una di queste ricette che miscelano tecnologia, creatività e ricerca è lo Zero Infinito, un vino bianco biologico, rifermentato in bottiglia, che deve il suo nome al felice slogan: “ZERO impatto chimico: ZERO in campagna e ZERO in cantina”.
Il vino è prodotto da uva Solaris, un incrocio ottenuto in Germania proprio nel 1975 (l’anno di fondazione di Pojer e Sandri) coltivata a circa 800 metri di altitudine. La varietà ha la caratteristica di essere resistente a molte malattie, consentendo quindi l’eliminazione dei trattamenti in vigna.

Denominazione: IGT Vigneti delle Dolomiti
Vino: Zero Infinito
Azienda: Pojer e Sandri
Anno: 2014
Prezzo: 15 euro

Bello e interessante il progetto, ma i risultati?
Il vino è proposto con tappo a corona, in bottiglia trasparente che lascia vedere il deposito di lieviti sul fondo: come sempre in questi casi l’assaggio può dunque essere effettuato in duplice maniera: decantando oppure “mescolando” i residui.

Nel bicchiere troviamo un liquido paglierino torbido,  lattiginoso, e i primi richiami olfattivi sono nettamente aromatici, tanto che alla cieca mi sentirei certo di azzeccare un sauvignon. Quindi ovviamente erbaceo in primo piano, poi mela verde e pera acerba, forse pure anche menta e zenzero.

In bocca c’è coerenza con quanto annusato, quindi è subito evidente l’acidità, decisa, che aggredisce con un sorso sicuramente verticale, persino quasi astringente.
E proprio l’assaggio è un po’ anche il limite del vino: si esaurisce tutto in questa sensazione, oltretutto abbastanza corta, senza riuscire ad integrarsi con altre caratteristiche: aromaticità e acidità così intense e poco bilanciate paradossalmente frenano la bevibilità che risulta lievemente compromessa. Nulla di grave, ma ritengo ci sia ancora da lavorare per “dare ciccia” attorno alle sensazioni che per ora prevalgono.

Il bello: grande freschezza

Il meno bello: mancano complessità e lunghezza

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Tenuta Il Falchetto Brut

La scorsa settimana ad Acqui Terme ho gironzolato qualche minuto nella bella Enoteca Regionale per scampare al caldo formidabile del pomeriggio, e mi è stato proposto il Brut della Tenuta Il Falchetto, una azienda di Santo Stefano Belbo che, a giudicare da quanto leggo sul sito, gestisce un bel po’ di ettari e si dedica alla produzione di una vasta gamma di bottiglie, tutte comunque legate a vitigni del territorio, a parte Chardonnay e Pinot Nero.

Denominazione: VSQ
Vino: Brut
Azienda: Tenuta il Falchetto
Anno: –
Prezzo:18 euro

La scheda tecnica dice solo che si tratta di Chardonnay e Pinot Nero con almeno tre anni sui lieviti, nulla di più…
Purtroppo il vino, pur senza difetti e gradevole, non mi ha lasciato grandissime impressioni; sicuramente positiva la parte visiva, con un bel paglierino illuminato da catenelle fitte e sottili, ma già portando il calice al naso emergono note di panificazione troppo predominanti che sotterrano il resto dello spettro, lasciando una impressione un po’ monocorde.

L’assaggio poi conferma le perplessità a causa di una bolla un po’ grossolana e di una acidità che, seppure ben presente, resta relativamente slegata dal resto del sorso, che in definitiva risulta poco dinamico e interessante.
Anche il dosaggio mi ha dato idea di essere leggermente troppo invadente.

Quindi nessun difetto, ma neppure elementi particolari di distinzione, e soprattutto la bevuta è leggermente faticosa.

Il bello: nessun difetto, prezzo corretto per un metodo classico con almeno tre anni sui lieviti

Il meno bello: dosaggio un po’ invadente, bevuta leggermente faticosa

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Emiliana 2013, Lusenti

L’azienda Lusenti possiede 17 ettari di terreno a conduzione biologica in Val Tidone, nel Piacentino, e produce vino utilizzando principalmente uve tipiche della zona: la Malvasia di Candia, l’Ortrugo, la Bonarda.
La cantina offre una serie piacevolissima di rifermentati in bottiglia che rientrano perfettamente in quella categoria che qualcuno giustamente chiama “vini glu-glu”, per dire di bottiglie magari semplici, non particolarmente sofisticate o complesse ma tremendamente facili da seccare.

L’esempio principe di questi vini frizzanti è l’Emiliana, da malvasia aromatica di Candia al 100%, che oltretutto è stata una delle prime folgorazioni che ho avuto quando ho iniziato ad occuparmi con più attenzione all’argomento vino: torbido, con una DOC sfigata sul groppone, eppure così gradevole…

emilianaDenominazione: Colli Piacentini DOC
Vino: Emiliana
Azienda: Lusenti
Anno: 2013
Prezzo: 12 euro

Paglierino con evidente velatura e perlage (ma quale perlage… qui siamo rustici: diciamo pizzicore) fine e, come ovvio, di numero e persistenza limitati.
Bella e semplice aromaticità olfattiva, di fiori freschi e frutta (pera in particolare, e un leggero agrume).
In bocca si conferma semplice e piacevole, con una struttura leggera come si conviene alla tipologia e una apprezzabile traccia sapida che bilancia bene la chiara aromaticità del sorso.
Finale senza accenni amari, bevibilità alle stelle e bottiglia terminata in un amen, anche grazie al lieve grado alcolico (11,5 gradi).

Da mettere a tavola con un bel tagliere di salumi e formaggi delicati, magari anche con verdure pastellate e fritte, senza dimenticare di agitare prima di stappare e di servire fresco ma non troppo: per me è ok sui 10-12 per poi salire pian piano durante la bevuta, esaltando la aromaticità.

Il bello: gradevolezza, bevibilità

Il meno bello:  l’aspetto molto rustico

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Metodo Interrotto, Furlani

Non avevo neppure mai sentito parlare della Cantina Furlani, ma il consiglio di un amico unito al mio apprezzamento per le bolle trentine hanno fatto breccia e ho provveduto all’acquisto.

Cerco qualche informazione sulla bottiglia appena portata a casa e sul produttore ma trovo davvero poche note: un sito di questo tenore nel 2015 è quantomeno indice di poca lungimiranza…

Da quanto capisco, la Cantina dispone di sei ettari di terreno vicino Trento, coltivati con varietà autoctone ed internazionali, ed appartiene al “giro” dei produttori “naturali”, con conduzione biodinamica, rifiuto dei prodotti di sintesi in vigna, affidamento ai lieviti autoctoni, nessun controllo della temperatura in vinificazione, nessuna aggiunta di solforosa e nessuna filtrazione.

furlaniDenominazione: VSdQ
Vino: Metodo Interrotto
Azienda: Furlani
Anno: –
Prezzo: 16 euro

La bottiglia in questione è composta per l’80% da chardonnay e il rimanente da pinot nero, con due anni di riposo sui lieviti.
Un accenno al tappo a corona: non mi scandalizzo, anzi per certi versi è meglio, eliminando alla radice i problemi di sentori di TCA, ma da un vino di una certa importanza con un prezzo di gamma medio bassa ma comunque non regalato, mi aspetto qualcosa di più professionale.

Il ciclo di produzione è quasi quello di un “normale” Metodo Classico, non fosse che viene omessa la fase di sboccatura, quindi non c’è aggiunta di liquore di dosaggio e solforosa: questo ovviamente rende il bicchiere opalescente, lattiginoso, con un aspetto tipicamente da metodo ancestrale o da rifermentato sur lie. Oggettivamente bruttino a vedersi.

La bolla non è da manuale, mantiene una buona finezza ma è ma un po scarsa e l’olfattivo è sempliciotto: floreale e accenni aggrumati, nulla di più.
Il sorso non è male: abbastanza pieno e di discreta lunghezza, ma manca un po’ di acidità, di tensione: si sente qualche accenno dolcino eccessivo, ed è abbastanza sorprendente data la assenza di dosaggio. Per fortuna in chiusura non fa capolino alcun richiamo amaro.

Spumante semplice, di non troppe pretese, non troppo rustico e con una sua dignità; direi una valida alternativa al prosecco per un antipasto disimpegnato.

Il bello: semplice ma gradevole

Il meno bello:  manca la spinta acida acida

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Pas Dosé 2009, Rizzi

Gli spumanti prodotti in Piemonte, siano o meno sotto denominazione Alta Langa, sono una tipologia su cui a  mio avviso si tende troppo spesso a sorvolare con una alzata di spalle: nel mio piccolo mondo di assaggi ho spesso incontrato bottiglie di buon livello vendute a prezzi corretti.
Non fa difetto neppure questo Pas Dosé, messo a punto da un importante produttore di Treiso, ovviamente noto per i suoi Barbaresco: Rizzi.

Denominazione: VSDQ
Vino: Pas Dosé
Azienda: Rizzi
Anno: 2009
Prezzo: 20 euro

Il vino è a base chardonnay con apporto di nebbiolo e pinot nero e viene prodotto ovviamente con il Metodo Classico, facendo uso di lieviti selezionati su cui riposa per ben 56 mesi.
Nella stessa giornata lo ho assaggiato dapprima nel pomeriggio, durante una degustazione di Barbaresco, versato da una magnum sboccata da circa tre mesi, ed era sicuramente un bel bere, poi la sera: convinto della validità del prodotto ne ho portato a casa una bottiglia di formato standard con sboccatura di circa un mese, forse troppo recente (a proposito, complimenti per la precisa indicazione in controetichetta, con data completa di giorno, mese e anno).

I miei appunti parlano di giallo verdolino con bolla copiosissima e piacevolmente esuberante che solletica senza essere fastidiosamente dura, di uno spettro olfattivo abbastanza classico (fiori e frutta tropicale, comunque molto fresco) e di un sorso piacevolmente teso ma equilibrato, senza le acidità stellari, strappagengive di certi non dosati, con un finale senza traccia di fastidiose scie amare.

Segnalo che il vino della magnum aveva una compiutezza maggiore, in particolare a livello olfattivo; ad ogni modo: ottima bevuta a prezzo tutto sommato corretto.

Il bello: bella spinta acida ma ottimo equilibrio del sorso

Il meno bello: in questo caso, bottiglia forse troppo giovane

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