Nosiola 2009, Cantina Rauten

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo si aggira attorno ai 16 Euro]


Nosiola RautenIl Trentino Alto Adige è la terra di molti dei vini italiani che preferisco: vini del nord, quindi freschi, facilmente bevibili senza essere banali e, vivaddio, spesso acquistabili ad un prezzo umanamente sostenibile.

Il paesaggio spazia dalla Piana Rotaliana, immensa pianura coltivata a pergola trentina che si estende a perdita d’occhio fino alle alture che la proteggono, per arrivare a zone più impervie nelle quali la coltivazione dell’uva diventa un fatto eroico.
Le numerose vallate, il gran numero di corsi d’acqua e di laghi, la forte escursione termica giorno-notte, l’azione mitigatrice dei venti (l’“ora del Garda”) e in generale la ricchezza della natura, oltre e favorire la aromaticità del frutto, suggeriscono un preconcetto favorevole nei moderni amanti del vino, che cercano non solo un prodotto piacevole ma anche contatto con il territorio e rispetto dell’ambiente.

In questo scenario ideale, costellato da un numero considerevole di produttori di notevole diversità (da colossi come Ferrari alle cantine sociali, passando per numerosi piccoli produttori, quasi tutti accomunati da grande rigore nella ricerca della qualità), nella tradizionalmente vocata valle del Sarca cresce la Nosiola della azienda Rauten: un vino prodotto in pochissime bottiglie da agricoltura biologica.

Alla vista si presenta di colore paglierino caldo, mentre l’olfattivo è delicato di floreale e di fieno, con un tocco minerale.
Secco, fresco e lievemente sapido, ha struttura e complessità notevoli, immagino dovute alla macerazione di una settimana sulle bucce, alla lunga permanenza sui lieviti in botte di acacia e all’anno e mezzo di affinamento in bottiglia.
Estremamente bevibile nonostante i 13 grandi, chiude con un finale gentile di nocciola, coerentemente alla denominazione del vitigno.

Un vino elegante, di buona complessità e piacevolezza, che io ho accompagnato con successo ad una torta di verdura, ma che ritengo adatto anche a carni bianche, primi piatti leggeri, pesce.

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Retsina Ritinitis Nobilis

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo si aggira attorno ai 15 Euro]

Parli di Retsina e a molti viene in mente un bianco greco poco importante che deve la sua particolare fama ad un esagerato aroma di resina; in realtà si parla di storia dell’enologia: 2000 anni fa ad Atene la resina di “Pinus Halepensis” veniva usata come sigillo per preservare dall’ossigeno il vino nelle anfore, caratterizzando di conseguenza l’aromaticità del prodotto. Passati i secoli, la resina viene semplicemente aggiunta al mosto d’uva durante la fermentazione.

retsinaLa commercializzazione di un vino dozzinale è proprio il contrario di quello che si prefigge il produttore di questo “ritinitis nobilis“, che già dalla bottiglia elegante palesa l’ambizione di riposizionare la tipologia in ambito qualitativo più elevato.
La chiusura a vite garantisce l’assenza di aromi indesiderati, e l’etichetta dichiara l’utilizzo di uve selezionate (varietà Roditis, raccolta a Corinto), di processi produttivi allo stato dell’arte e di una aggiunta di resina attentamente bilanciata.

Il vino si presenta cristallino, giallo paglierino-verdolino e abbastanza consistente; il naso è intenso, dominato dalla resina e dal suo distintivo sentore mentolato-balsamco, quasi di eucalypto.
In bocca la sensazione resinosa è ancora sensibile ma fortunatamente meno marcata; il calore risulta poco percettibile (12 gradi supportati da un corpo discretamente presente); queste caratteristiche, unite alla particolare aromaticità e ad una acidità spiccata, quasi citrina, donano estrema freschezza all’assaggio.
Al retro-olfattivo torna la resina, con una chiusura leggermente mandorlata non particolarmente lunga.

In conclusione, un vino che suscita curiosità sia per l’afflato storico che per la provenienza e la metodologia produttiva inusuale. Sicuramente non un vino quotidiano o un Grande Vino, ma un prodotto di personalità, diverso da quanto siamo soliti assaggiare e nel quale può essere divertente immergersi per una piccola esplorazione storico-sensoriale, magari accompagnati da fritture o da piatti con una buona speziatura, o persino da portate di pesce arricchito di erbe aromatiche.

 

 

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Varie espressioni del Sangiovese

Conosco poco di ONAV ma sono iscritto alla newsletter della delegazione di Genova, che mi pare organizzi con discreta frequenza degli eventi interessanti; l’ultima mail proponeva un incontro a tema “Il San Giovese in varie sue espressioni” e il 3 Ottobre ho deciso di andare a vedere di cosa si trattava.

Intanto complimenti per l’organizzazione: l’evento si è tenuto in un salone in peno centro città, facilmente accessibile sia con l’auto che con il treno, spazioso e comodo nonostante la nutrita presenza di appassionati e con un sistema video e audio dignitosi. Sembra poco ma non è così scontato.
Non ultimo, il prezzo abbordabile (15 euro i non soci, 10 i soci).

L’incontro era in realtà una passerella di alcuni prodotti della azienda Tenimenti Angelini, produttore di dimensioni ragguardevoli, con tenute che si estendono in varie parti d’Italia; la conduzione è stata affidata ad un responsabile commerciale (Dino Torrione), oltre che ad un enologo “super partes” (Marco Quaini, che, per la cronaca, a suo tempo fu il mio docente alle prime due lezioni del corso AIS).

Abbiamo dapprima ascoltato una breve presentazione della azienda (che dichiara di affidare la fermentazione ai soli lieviti autoctoni, di controllare le temperature, di ricorrere a botti di media dimensione, riservando le barrique solo a certi cru, e di evitare la filtrazione), poi l’introduzione ad alcune declinazioni del sangiovese a seconda del differente territorio (Siena, Montalcino e Montepulciano), e infine la degustazione guidata.

Un breve riepilogo delle principali denominazioni provenienti dai terroir in questione

DOC
DOCG
Siena
 
Chianti Classico (80% sangiovese)
Montalcino
Rosso (100% sangiovese grosso) Sant Antimo
Brunello (100% sangiovese grosso. Invecchiamento 5 anni – 6 per la riserva)
Montepulciano
Rosso (70% sangiovese prugnolo gentile)
Nobile (70% sangiovese prugnolo gentile)

Le impressioni di assaggio:

1- Rosso di Montalcino Val di Suga 2010 (il prezzo in enoteca dovrebbe aggirarsi attorno ai 10/12 euro)
Rubino limpido, scarico con qualche riflesso granata, buona consistenza.
Al naso frutta rossa matura e spirito (ciliege, amarene, prugne) e leggera speziatura.
All’assaggio è decisamente caldo e materico; discrete acidità e tannicità; sicuramente morbido e con una certa persistenza.
Piacevole, ma senza nulla di particolare per farsi ricordare.

2- Nobile di Montepulciano Tre rose 2009 (prezzo sui 12-15 euro)
Rubino limpido, scarico con accenno granata; più vivo al colore e forse meno consistente rispetto al vino precedente.
Secondo me l’olfattivo è lievemente meno intenso e più fine del precedente, più votato al floreale, mentre opinione esattamente opposta è stata espressa  da chi conduceva la degustazione.
In bocca è caldo, morbido, abbastanza tannico, intenso e abbastanza persistente. Mi è parso meno fresco del precedente.

3- Chianti Classico San Leonino 2008 (prezzo sui 12-15 euro)
Rubino carico, più denso e consistente dei precedenti.
Olfattivo abbastanza intenso, non particolarmente complesso: frutta rossa non troppo matura, e un curioso tocco aranciato.
Al gusto mi è parso leggermente meno caldo e morbido rispetto agli altri vini, e con una acidità lievemente più presente. Il tannino è sempre dolce, rotondo.

4- Chianti Classico Riserva Mosenese 2007 (prezzo sui 20-25 euro)
Rubino vivace e quasi impenetrabile, consistente.
Naso intenso e di una certa complessità: si iniziano a sentire accenni di tabacco e spezie.
In bocca è potente, di gran corpo e di buona lunghezza. Tannino morbido.

5- Brunello di Montalcino Val di Suga 2007 (prezzo sui 20-25 euro)
Rubino non troppo carico, riflessi aranciati. Abbastanza consistente.
Olfatto floreale (viola) e di frutta rossa matura ma non troppo. Spezie dolci.
Al gusto è caldo, morbido, rotondo, con un tannino dolce. Non troppo fresco.

La mia personalissima conclusione è che si tratta di vini ben fatti, corretti, senza sbavature, con prezzi corretti e pronti da bere fin da subito anche nelle denominazioni che teoricamente necessiterebbero di maggiore attesa.
Di contro ho riscontrato un costante calore e lieve mancanza di acidità: insomma, in generale si tratta di “vinoni”, piacevoli all’assaggio, ma temo poi difficili da bere in quantità, se non in accompagnamento a robusti piatti di cucina non certo quotidiana.

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Kerpen Wehlener Sonnenuhr Riesling Spatlese 2007 Trocken

Andiamo per ordine, che con i vini stranieri non sempre è tutto facile, e in Germania il casino si moltiplica.
Dunque, il vitigno è riesling e il produttore è Kerpen. Siamo a Wehlen, nella regione tedesca della Mosella, una delle più vocate per questa tipologia di vini. Fino qui è tutto facile.
Wehlener Sonnenuhr è il vigneto, classificato Erste Lage (che sarebbe a dire di prima categoria), comunque per questi termini e per quanto riguarda Spatlese e Trocken vi rimando ad un altro post informativo che conto di scrivere a breve.


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KerpenL’annata assaggiata è il 2007, dunque, parlando di riesling, si tratta di un prodotto ancora giovane: si dice che questi vini partano semplici e fruttati in gioventù per dare il massimo dopo un paio di lustri, arricchendosi di complessità (il mitico sentore di idrocarburo).
Il tappo è in vetro e ne sono contento: inizio a nutrire molte riserve sull’uso del sughero a tutti i costo;conto di scrivere qualcosa a proposito.
La bottiglia in questione si è rivelata leggermente spiazzante.
Vino limpido, di colore giallo paglierino molto vivo con riflessi dorati, abbastanza consistente. Il naso è abbastanza intenso e complesso, di discreta finezza e rivela miele, fiori bianchi, pesca bianca, agrumi, the, gesso, un timido accenno di idrocarburo.
Buone freschezza e sapidità, persistenza non banale.
In bocca entra leggermente dolce, con accenno di succo di mela, poi è subito secco.
Peccato il finale leggermente amaro, di mandorla, che ne sciupa lievemente la pulizia e la finezza.
In generale il vino è un pochino troppo grasso, e, stranamente, non sembra avere grande potenziale evolutivo. La sensazione di squilibrio forse deriva anche dal alcol, fuori scala per un tedesco (di solito tra 7 e 11), e i 13 gradi si sentono troppo.

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Myrtus 2009, Domaine Saint Armettu

[Disclaimer: bottiglia regalata. Il prezzo dovrebbe aggirarsi sui 20 Euro]

I pochi vini Corsi che ho avuto occasione di assaggiare non mi hanno mai troppo soddisfatto: li ho trovati spesso troppo grassi, direi quasi grevi, sono quindi rimasto piacevolmente sorpreso da questo Myrtus del Domaine Sant Armettu, che ho trovato meno alcolico, pesante, materico.

Il vino, una AOC Sarténe, è un blend di uve piuttosto classiche per i prodotti Corsi (Sciacarellu, Niellucciu, Syrah e Grenache), coltivate sulla costa sud-occidentale dell’isola, sulle colline sovrastanti il golfo di Propriano e la baia di Tizzano.

Domaine Saint ArmettuLa cosa migliore è forse il naso: di buona intensità, con frutta rossa non troppo macerata, leggera speziatura e un filo di etereo, smaltato, magari non elegantissimo, ma che si concede una discreta personalità.

L’alcolicità non particolarmente alta riesce a mascherare la non eccellente carica di durezze (acidità e tannino) , facendolo restare comunque discretamente bevibile.
Il finale leggermente amaro che lo penalizza, pur essendo abbastanza consistente in bocca scivola via un pochino irrisolto, svanendo con troppa destrezza.

Vino che forse avrebbe certe ambizioni, e che non riesce a raggiungere, ma che comunque cade in piedi, senza farsi male, in una dimensione di piacevole vino quotidiano.

L’abbinamento più ovvio è quello con carni, magari in umido, o con primi piatti di una certa struttura (ad esempio paste con sughi di carne).

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Terroir Vino 2012

Pur patendo ancora i postumi di Pasturana ho inforcato gli occhiali da sole per occultare almeno parte dei disastri alcolici del sabato e, dirigendomi ai Magazzini del Cotone di Genova per Terroir Vino (TV, d’ora in poi), ho detto quello che si dicono quelle signore perennemente a dieta: “vabbè dai, ormai che ho spazzolato tutto il cabaret delle paste è inutile rifiutare anche la meringata. Da domani basta”.

Era la mia terza presenza a TV, finalmente con in tasca il certificato da pinguino. Ricordo che la prima volta entrai con tante belle idee sul mondo del vino, in particolare su come finalmente potevo mascherare da seduta didattica la preoccupante attitudine a dedicare una giornata all’etilismo. Ricordo anche che TV, a noi neofiti, desse l’impressione di una manifestazione più accessibile delle altre, meno rivolta agli addetti ai lavori o agli appassionati so-tutto-io. La prima volta non si scorda mai: l’esordio fu infatti molto istruttivo. Mi approcciai al tavolo di un produttore di grido della Franciacorta, chiesi di assaggiare un vino, e poi un secondo; a questo punto venni gelidamente cazziato dall’espositore per aver sbagliato l’ordine di servizio della degustazione. Ecco, quel momento di pubblico imbarazzo mi aprì definitivamente le porte della percezione su molti dei riti e delle gerarchie consolidate dell’enomondo.

La cronaca. Il posto (mi rifiuto di scrivere “location”) è meraviglioso, e la bella giornata di sole esalta ancora di più la clamorosa vista sul porto; c’è spazio a sufficienza, il condizionamento funziona e in un salone attiguo ci sono i divanetti  per poter fare “decompressione” di tanto in tanto. L’organizzazione è teutonica: all’ingresso, oltre a bicchiere e portabicchiere di ordinanza, ti danno un libricino con la mappa degli espositori e i relativi vini, passano di continuo camerieri con vassoi di torte di verdure e panini per asciugare lo stomaco e le sputacchiere non sono mai traboccanti. Su tutto aleggia la presenza del moghul Filippo Ronco, che, incravattato e agghindato in completo blu da bancario (dress code curioso per un alfiere dell’informalità e del duepuntozero), si aggira ubiquo a sovrintendere.

Pubblico misto: accanto a carneadi come me con zaino e blocchetto in mano, molti volti noti. Avvistata anche coppia marito-moglie, ciascuno prendere appunti sul proprio iPad: o tempora o mores! Per fortuna pochi gli esemplari di eno-fenomeni, ma qualche genio che cercava lui stesso di spiegare al produttore il suo (del produttore) vino l’ho trovato: temo sia impossibile selezionarli e abbatterli all’ingresso. Notevole la totale assenza di membri di spicco di AIS.

Ho avuto l’impressione ci fosse meno gente rispetto alle precedenti visite e mi pare ci fosse anche una presenza più sobria degli espositori (per capirci, meno ragazze-immagine ai tavoli). Sicuramente ho notato meno sbandamenti alcolici e meno bicchieri rotti a fine pomeriggio. Vi risparmio la litania dei meglio e dei peggio assaggi, appunto alla rinfusa solo qualche nome: la perfetta eleganza e finezza del Bricco delle Viole dei Vajra, la fresca sapidità del Colfondo di Bele Casel, la composta aromaticità del moscato giallo di Lageder, il gioioso fruttato dello Zero di Pojer&Sandri, la concentrata potenza dei Taurasi del Cancelliere, la bella storia del Ciso, sorprendentemente balsamico.

Punto interrogativo della giornata, la Degustazione dal Basso (d’ora in poi DdB) cui ho partecipato: devo ancora decidere se sia trattato di una minchiata (scusate l’eufemismo) o di un evento quasi riuscito. Vado a spiegare: le DdB sono, per come le definisce l’ideatore, “vini e territori raccontati in modo conviviale e comprensibile, da persone comuni ma competenti e soprattutto “vicine”, per nascita o scelte di vita, al luogo che scelgono di raccontare”. Bello. Ho pagato i 20 sacchi necessari (che davano diritto anche all’ingresso a TV) e ho prenotato questa: “I principali Terroir Champenois raccontati da Mike Tommasi attraverso una degustazione orizzontale di bollicine francesi di grande interesse: Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Montagne de Reims, Côte des Bar”. Sono stati serviti cinque champagne: P.Agrapart-Minéral 2005, B.Lahaye-Rosé de Macération, O.Horiot-Sève Rosé de Saignée en Barmont 2007, B.Tarlant-Cuvée Louis, F.Boulard-Petraea XCVII-MMVII, F.Pouillon-2XOZ. Molto buono il primo, fine e minerale, così così i due rosè (il primo dei due parte male, poi, lasciandolo nel bicchiere, si riprende e guadagna un lieve tocco di arancia. Il secondo, che avrebbe un piacevole accenno di bitter, resta incagliato in qualcosa di non compiuto al naso). Terzo e quarto vino mi sono sembrati immensi. Entrambi lunghissimi e cremosi, il Tarlant, oltre a un lieve affumicato, finalmente mi permette di capire il significato delle lisergiche “note di pasticceria”, mentre il Boulard (vinificato in solera) offre grande complessità senza sacrificare la piacevolezza. Meravigliosi. Difficile da giudicare il Pouillon: ha un bel naso di chinotto ma con 32 g/l di dosaggio ricade in una tipologia forse difficile da capire a noi comuni mortali. Purtroppo durante non si è parlato delle varie zone di produzione, da quanto ho capito i vini non erano tipici rappresentanti dei rispettivi terroir, la degustazione non è stata minimamente guidata e la carta geografica fornita ai partecipanti era francamente risibile.

Aggiungerei, ma è una nota di colore, che le ragazze al servizio si sono esibite in una serie di aperture delle bottiglie col bottoche neppure a Piedigrotta la notte di Capodanno. Dopo la terza o quarta esplosione con fontana a corollario, il Ronco con decisione ha preso in mano la situazione ponendo fine all’imbarazzante episodio. C’era un relatore ma la degustazione si è retta sulle osservazioni dei partecipanti stessi. Il fatto che tutto sommato la cosa abbia in qualche modo funzionato credo sia incidentalmente dovuto alla presenza tra gli astanti di tecnici e addetti ai lavori come Mario Pojer, Luca  Ferraro, Dan Lerner (e altri che non ho riconosciuto, ma che sicuramente erano dei tecnici del settore). Francamente, per chi non fosse già esperto, la divulgazione è risultata quantomeno estemporanea e frammentaria. Non ho idea se questa sia la formula di tutte le DdB, credo e spero di no. Nel caso, forse, sarebbe meglio selezionare il pubblico, richiedendo diploma in enologia o titolo di studio equivalente.

Per chiudere, la camminata per recarsi al treno che mi riporterà a casa si snoda in parte in una zona molto popolare (eufemismo); direi che forse è una delle poche volte in cui presentarsi in pubblico con passo malfermo e bicchiere al collo non faccia sentire troppo fuoriluogo. Bello, ma da domani basta.

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Pasturana 2012

Sulla via per Terroir Vino ho tenuto il fegato in allenamento portandolo al più classico dei raduni birrari italiani, la tre giorni di Pasturana, una tranquilla e ordinata cittadina di mille abitanti (siamo nell’alessandrino, zona di Gavi), nella quale, grazie uno di quei fenomenali paradossi spazio-temporali che talvolta animano la profonda provincia italiana, da dieci anni si organizza uno dei più rinomati e divertenti festival dedicati alla birra di qualità italiana.

Piccola digressione, ci tengo a far notare che ho scritto di qualità per evitare l’uso del termine artigianale: birrariamente abusato e poco ricco di significato. Un tempo, agli albori della scena dei microbirrifici italiani, si parlava di birra non filtrata e non pastorizzata, ma ultimamente, caduto il dogma della non filtrazione, si punta di più su altri aspetti: non è la stessa identica bevanda delle multinazionali, è prodotta con cura, passione e ingredienti di qualità, è prodotta in quantitativi limitati e via emozionando ma non specificando.
In definitiva, visto che è difficile spendere il termine “artigianale” sulla base dei volumi prodotti (ci sono esempi di birrifici statunitensi che sfornano gazillioni di ottima craft beer, degli ingredienti usati (proprio noi italiani siamo maestri nel impreziosire il mashing con pepe rosa, zenzero, zafferano e mille altri stranofacendoli) e dei processi di produzione, preferisco basarmi solo sul risultato organolettico del prodotto finito: “birra di qualità”.

Tornando a noi: Pasturana è uno strano ibrido mutante, a metà tra la strapaesana sagra della salsiccia e la ricercatezza di Slow Food: per dire, ci sono le tavolate comuni con le panche e i piatti di carta e accanto i laboratori del gusto proprio di Slow Food condotti dal maestro Kuaska, il concerto rock della cover-band i turno e molti birrai che passano a farsi un bicchiere.

Il top dello svacco è che la manifestazione si svolge accanto a un bel campo da calcio (di quelli di una volta, con l’erba vera e non sintetica) sul quale è possibile campeggiare liberamente. E la gente, per sfuggire al sacrosanto etilometro, campeggia: famiglie con i bambini che giocano a pallone e biker che tra due ore vomiteranno l’anima, camper e tendine lillipuziane di quelle che si montano da sole lanciandole in aria… insomma l’atmosfera è rilassata, senza incravattati e senza pregiudizi.

Tra tanti pregi, i difetti son sempre quelli da che io ho memoria: il cibo un po’ così, i bicchieri di plastica, la temperatura di servizio uniformemente glaciale, le code per il cibo e per i bagni, la spillatura non sempre perfetta… ma, diamine, siamo qui per divertirci in primis, e solo poi per le pippe sulla esegesi organolettica del fermentato di malto.

Il pubblico presente è pure lui un Giano bifronte, coprendo tutta la gamma zenith-nadir del caso: dai super-appassionati che si sono fatti ore di auto per esserci, si conoscono tutti fra loro, forgiati da anni di cameratesca carboneria birraria, si portano da casa il bicchiere di vetro per godere meglio e smanettano sullo smartphone per aggiornare i loro beer ratings, ai ragazzotti che si affollano per prendere una ciocca colossale (sicuro) e per quagliare con qualcuna delle giovani addette alle spine (magari).

In mezzo a questo magnifico calderone ci sono le protagoniste, le birre.
In cartellone una quindicina di birrifici per trenta birre, a rappresentare, tra gli altri, storici quarti di nobiltà della scena brassicola italiana (Baladin,Montegioco), solide certezze (Maltus FaberToccalmatto) e giovani rampanti (ExtraomnesBrewfist).

Dichiaro subito inadeguatezza e rozzeria: in cuor mio credo che solo la visione coatta di una settimana di Porta e Porta possa essere più noiosa e inutile dei punteggi (82 questo, 83 quello: dai, fammi ridere) e della psichedelica giungla dei descrittori, per questo mi limiterò a qualche accenno.
Disclaimer: ai festival birrari non si sputa, vivaddio, si manda giù tutto di buon grado. Questo piccolo ma significativo aspetto, se certo contribuisce al gioioso clima raccontato poco sopra, immagino non sia un buon viatico per la completezza e la lucidità della descrizione delle bevande.

In generale, per quanto ho potuto provare (non si sputa, ricordate?) qualità discreta: nessun grosso difetto ma anche nulla che abbia fatto gridare al miracolo e molte produzioni penalizzate dalla serata fredda e ventosissima che osteggiava il raggiungimento della temperatura corretta delle birre.
Le note di quello che più ho apprezzato: la mia bevuta della serata è stata la T.I.P.A. di Pausa Caffè (birrificio torinese forse poco sugli scudi e non troppo assiduo nei commenti degli aficionados): una bella e classica IPA da 6,7 gradi, dal colore carico e corpo medio a sostenere un luppolo importante ma non sfacciato, semmai elegante (leggo sul sito: East Kent Golding, quindi un nobile europeo).

La piacevolezza della semplicità è ben rappresentata dalla Blond di Extraomnes (microbirrificio di Marnate, capeggiato dal ben noto Luigi “Schigi” d’Amelio): chiara come lascia intuire il nome, 4,4 gradi, corpo leggero ma non acquosa, secchissima, fresca di un agrumato dissetante, con una leggera speziatura e un amaro ben presente ma che non supera i livelli di guardia. Come si dice in questi casi: da berne a secchi; sicuramente ideale per l’estate.

Per coloro cui piacciono i cazzotti amari, i pesi massimi delle IBU, c’era la Spaceman di Brewfist, giovane ma affermato birrificio lodigiano, creatore di questo instant classic della scena brassicola italiana: si tratta ancora di una IPA (tra gli stili più modaioli del momento) da 7 gradi, densa, volutamente esagerata, resinosamente amarissima ma non monocorde.

Sempre da Brewfist, professionisti dell’estremo ma non solo, ancora una mazzata: la Imperial porter X-ray. Nera impenetrabile, appena un filo di abboccatura e poi tonnellate di tostature (cioccolato, caffè, orzo) e anche una bella manciata di luppoli a bilanciare. Detta così sembra una mappazza, e forse lo è, ma lasciata scaldare si beve bene.

Curiosamente interessante la Due Mondi del Croce di Malto di Trecate, una collaboration beer (altro trend attuale) realizzata con lo storico Birrificio Italiano. Due Mondi di nome e di fatto: lo stile di partenza dichiarato è quello tedesco delle doppelbock, quindi gradazione rilevante (siamo a 7,7 dichiarati) e corpo ben presente, maltosità pronunciata e un certo grado di tostatura. Fin qui siamo nei canoni, ma la Due Mondi a tutto questo aggiunge una buona dose di luppolo americano, aromatico e amaricante e notevole secchezza a rendere il tutto più facilmente bevibile. Da provare il prossimo inverno.

Nota finale di merito per l’organizzazione di Pasturana: al mattino prima delle 8, per coloro che si risvegliavano e dovevano riprendersi dall’hangover, magari per mettersi in auto e far ritorno a casa, c’era il servizio bar aperto con caffè e cappuccino. Ringraziamo sentitamente.

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Capirne di vino, o del sesto mistero glorioso

Gentile Intravino, in preda ad una crisi di identità mi rivolgo a te sperando che da qualcuno arrivi una bussola, un filo di Arianna che mi aiuti a ritrovare equilibro, serenità e saggezza. Andiamo per ordine. Fino a circa tre anni fa ero un tranquillo, quadrato e grigio uomo della strada, con salde convinzioni basate su buonsenso e studi scientifici: gli UFO non esistono, il mondo non sarebbe finito nel 2012, checché ne dica Cracco la reazione di Maillard non serve a sigillare i succhi. Poi è successo che ho deciso di provare a capire qualcosa di vino in questo modo: se altri esseri umani di sesso maschile, giunti attorno ai fatidici *.anta, tentano di risolvere la crisi di mezza età comperandosi la Harley o facendosi l’amante ventenne, io potevo risparmiare qualche spicciolo e/o un divorzio iscrivendomi ad un corso AIS. Oltretutto, messa la faccenda in questo modo, la assurda follia di spendere oltre 1500 euro per ascoltare dei tizi vestiti da pinguino che parlano di vino risultava un filo più vendibile alla gentile consorte.

In due anni circa ho terminato i tre livelli e ho preso il diploma. Si potrebbe discutere lungamente della didattica, della varia umanità di relatori e corsisti (quorum ego), delle lunghe, adunche mani dell’AIS che ti costringono a sborsare i soldi persino per la cravatta griffata da indossare in occasione della cerimonia di diploma, ma sarà per la prossima volta. Arrivo quindi nel mondo del Vino nel momento in cui le guide sono date per morte dai blog che ruleggiano, gli enologi sono tutti orchi barbuti dalla risata perfida come il mefistofelico Rolland, la barrique è lo strumento del demonio, impera la litania: “mineralità, acidità, sapidità, bevibilità”, e Nossiter ci libera tutti. Mi pare di capire che dieci anni fa il mondo girava esattamente al contrario e già per questo motivo inizio a sentire una strana vocina in testa. Ma ho finalmente il diploma dell’AIS e relativo padellino, conosco a menadito tutta la filastrocca degli “abbastanza questo, poco quello, molto quell’altro”, sono in grado di recitare speditamente la liturgia dei descrittori (ah, la salvia sclarea…), ho memorizzato le fondamentali classificazioni dell’Armagnac eccetera (non è vero: ho colpevolmente rimosso il 50% di questo overload informativo 15 giorni circa dopo l’esame); ora dovrei essere in grado di aggiungere il vino alla lista delle mie certezze granitico-illuministe, giusto? Invece, la tragedia: il mondo mi crolla addosso un pezzo alla volta.

Le schede descrittive del vino, a distanza di qualche mese, mi sembrano tutte ugualmente incapaci di svolgere il loro mestiere: descrivere appunto un vino, permettermi di ricordarlo o raccontarlo. I pinguineschi relatori si contraddicono l’uno con l’altro, ad esempio si dividono in matematici (il vino è complesso quando si usano almeno tre famiglie di descrittori) e sentimentali (ci son solo fiori e frutta, ma quanti tipi diversi… Complesso!). Vado in visita da un noto produttore bio-tutto. Vini buonissimi, grande cortesia, bellissima cantina. Quando però mi conduce nella barricaia con la musica per cullare i vini e mi illustra l’impianto elettrico con il cablaggio annegato in tubi riempiti di gas inerte per meglio isolare l’ambiente e vedo a pochi centimetri un ripetitore per cordless DECT, la mia vocina non parla più: urla. Vado alla presentazione della guida di Slow Wine per poter fagocitare a semi-scrocco Grandi Vini e Chiocciole; mi catapulto ad assaggiare un noto bianco che difficilmente le mie tasche potrebbero permettersi; roteo il bicchiere con polso fermo (1500 euro ben spesi) e di colpo sono nei Campi Flegrei. Zolfo puro. Ammaestrato da due anni di “floreale, fruttato, erbaceo eccetera”, timidamente accenno una riserva al pinguino che presidia il banco. Macché, tutto a posto (ma del resto…).

Mi rifugio nell’unico grande dogma del vino odierno: la territorialità. Quante volte ho letto frasi come “leggere il territorio”, e via filosofeggiando? Purtroppo anche qui, lo sconcerto. In una dei libri di Scanzi avevo trovato cenno ad un ricerca universitaria sul Barolo che dimostrerebbe come poco attendibili le giaculatorie tipo “Monforte potente, La Morra elegante”. Avevo quasi rimosso, ma poi in Langa ho partecipato ad una roba pomposamente chiamata “Wine Tasting Experience: I cru dei re“. In pratica per 40 sacchi ti fanno assaggiare 5 Barolo e un enologo dovrebbe spiegarti le differenze dei vari cru. Il suddetto, persona semplice e gentile, mi ha confermato che la ricerca in questione esiste e che ha dato l’esito suggerito dallo Scanzi: dall’esame chimico e organolettico delle vinificazioni prodotte in fase di test non è stato possibile rilevare alcuna costante riconducibile al territorio. Contano molto di più la “mano” del produttore e l’annata, ad esempio.

Ma del resto, caro Intravino, se persino uno bravo come il tuo Morichetti, ammette che è possibile confondere un ottimo vino a base nebbiolo con uno altrettanto importante a base sangiovese, forse la vocina ha ragione di lamentarsi. Dice: lo Champagne è Champagne, il Franciacorta è Franciacorta, il Trento Doc è… beh, abbiamo capito. E’ sbagliato chiamarli genericamente “spumanti” perché hanno caratteristiche peculiari (e soprattutto Maurizio Zanella si arrabbia). Il problema è che poi pure un altro tizio bravo (per giunta Ambassadeur du Champagne e curatore di uno dei libroni di testo che i colleghi pinguini AIS mi hanno venduto ad immodica cifra) alla cieca ingarbuglia Champagne con Cava, Franciacorta e Sekt. La vocina ormai mi ossessiona: cosa è il territorio? Perché la scoperta del territorio con relativo vitigno autoctono è cosa buona e giusta, e l’esaltazione del vitigno tout-court è cattiva? Perché non si valorizza il territorio realizzando un grande vino da vitigno alloctono? In fondo un merlot veneto sarà diverso da uno di Bordeaux. O no?

Insomma Intravino, non capisco più granché. Sarà mica che molte certezze di cui è ricco il mondo del vino spesso sono solo narrazione drammaturgo-mitologica o persino moda? Cosa è reale e cosa è immaginazione (o, peggio, marketing)? Chi siamo, dove andiamo? Cosa beviamo stasera? Non sarà che sulle liquida fondamenta del vino abbiamo poggiato concetti troppo pesanti per non vederli affondare? Forse abbiamo perso il senso della misura: in fondo parliamo di una roba diventata famosa nei secoli perché faceva girare la testa e dimenticare il mal di denti e la morte, e può darsi che tutta la poesia ce la abbiamo appiccicata dopo, a mo’ di sovrastruttura, e serva a giustificare l’attenzione, il tempo e i soldi che spendiamo in una faccenda dai confini poco riconoscibili. Oh, Intravino, io mi limito a chiedere, non ho certezze. In attesa di maggiori certezze, vado a stappare un Pico di Maule.

P.S. al netto di quanto sopra, se non si fosse capito:
a) sono consapevole di saperne ben poco di vino
b) ho varie riserve e distinguo su AIS, ma il corso mi è servito
c) giù il cappello dinanzi ai Morichetti e ai Gori, tra i pochi a non fare i guru del calice

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AIS: esame di terzo livello

Come il post precedente (e come immagino di fare anche in seguito), rendo disponibili alcune risorse per la preparazione all’esame di terzo livello del corso AIS.

I soliti disclaimer del caso:
– le domande che trovate qui sotto sono quelle che ricordo dopo che sono passati molti giorni, quindi prendetele con il beneficio di inventario: qualcosa ho rimosso e qualcosa lo ricordo male
– i questionari dello scritto sono molti (credo sei), quindi potrebbero capitarvi argomenti diversi
– le domande dell’orale variano ovviamente da commissario a commissario e sono legate allo sviluppo del colloquio con il candidato
– usate quanto segue come una traccia per studiare o come guida per testare la preparazione, non prendetelo come un sostitutivo dello studio: è evidente che non sarebbe sufficiente

Per la mia esperienza l’esame è abbastanza complesso, ma non certo impossibile se si studia. Bisogna partire per tempo e investire la propria disponibilità con una buona costanza per alcuni mesi, magari (molto meglio) trovandosi una volta la settimana con uno o due compagni di studio per verificare la propria preparazione.

Gli argomenti da studiare, è semplice, sono tutti.

Il primo libro, “Il mondo del sommelier” è quello che viene più battuto, sia nell’esame scritto che in quello orale, quindi è da sapere senza esitazione in tutte le sue parti, compresi birre, distillati, vini liquorosi. Date anche una letta alla parte finale che tutti trascurano, quella che parla degli attrezzi del sommelier, della cantina ecc. Forse l’unico argomento che viene trascurato è quello della legislazione, ma immagino sia una contingenza dovuto al fatto che (al momento del mio esame) il libro non era aggiornato.

La tecnica di degustazione è richiesta non solo per l’esecuzione della degustazione (che, lo ricordo, è presente sia allo scritto che all’orale), ma anche come teoria in domande specifiche. Lo stesso accade per la degustazione del cibo e per l’abbinamento cibo-vino e per tutte le schede di valutazione.
Non ci sono scuse, la terminologia della scehda descrittiva del vino deve essere padroneggiata perfettamente, così come il bersaglio di abbinamento cibo-vino: consiglio di fare molte prove con schede “mute” contenenti solo la grafica.

Per quanto riguarda DOC e DOCG, che tipicamente sono lo spauracchio di tutti i corsisti: sì, le domande ci sono, anche se secondo me bastano tutte le DOCG e qualche DOC particolarmente rilevante. Occorre anche sapere i vitigni più importanti di ogni regione. Non è impossibile, se si usa la testa per ragionare oltre che per memorizzare.

Paesi esteri: lasciando da parte la Francia, che ovviamente è da trattare in maniera più approfondita, in generale sono da sapere almeno le zone e i vitigni più importanti di Spagna, Portogallo, Germania, Austria, Stati Uniti, Argentina, Cile, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica.
Oltre a questo, sono da sapere bene Sherry, Porto, Tokaij, Cava, Madeira.

Il libro sul cibo del terzo livello a mio modo di vedere è fatto mailissimo: ci sono tonnellate di nozioni poco strutturate, a volte anche confusionarie e non sempre rilevanti allo scopo (che, ricordiamolo, è quello di riuscire a fornire un corretto abbinamento con il vino). Il consiglio è quello di focalizzarsi proprio su questo punto: cercare di capire per ogni cibo quali siano le caratteristiche organolettiche principali in modo da associargli un vino in un accoppiamento sensato. Sicuramente ci sono molte domande sui formaggi.

Consigli finali: per lo scritto avete poco tempo. Le cose che veramente contano come punteggio sono la degustazione di vino e cibo e le domande a risposta libera, quindi cercate di padroneggiare le schede descrittive e di abbinamento e buttatevi subito sulle domande aperte, lasciando quelle a risposta chiusa per gli ultimi 10 minuti. Rispondete in maniera completa ma estremamente sintetica (per risparmiare tempo ma anche per evitare di inserire imprecisioni inutili).
Da ultimo: leggete bene le domande! Soprattutto quelle a risposta chiusa nascondono a volte qualche trabocchetto (es. “la distillazione è un processo chimico bla bla ” dove il bla bla è tutto giusto, ma è sbagliata la premessa: si tratta di un processo fisico).

Le domande dell’esame scritto (mie e di qualche compagno) che ricordo:
– formaggi erborinati, alcuni esempi, analisi sensoriale e abbinamenti con vini, motivandoli
– influenza della barrique sui vini bianchi
– 10 vitigni della Puglia
– 10 elementi che influenzano la qualità della vigna
– 5 vini liquorosi di stati diversi con relative zone di produzione
– processo di fermentazione
– temperature di servizio dei vini
– classificazione degli spumanti in base al residuo zuccherino
– tipologie del Madeira
– descrizione della aromaticità del cibo e due esempi di abbinamento cibo / vino motivati
– definizione di untuosità, esempi di cibi e abbinamenti motivati
– docg di veneto e friuli
– descrizione sensoriale del cioccolato con abbinamenti motivati
– formaggi erborniati, cosa sono, caratteristiche, alcuni esempi e abbinamenti motivati
– i puttonyos sono la misura del grado zuccherino del tokaji?
– birre ad alta e bassa fermentazione, differenze ed alcuni esempi
– effetti della anidride carbonica nella degustazione
– terpeni, cosa sono ecc.
– cosa è il pisco
– temperatura ideale della cantina
– temperatura fermentazione vino bianco

Le domande dell’esame orale (mie e di qualche compagno) che ricordo:
– distinguere le varie forme di bottiglia
– distinguere il ruolo di varie forme di bicchiere
– descrizione e funzione del tastevin
– temperature di servizio
– fermentazione (lieviti, acidi ecc.)
– whisky single malt, pure malt ecc.
– descrizione grassezza
– docg delle marche
– processo produzione metodo classico

 

Integrazione del 09/05/2013: per chi deve prepararsi all’esame, segnalo che nel corso dei mesi ho scritto alcuni piccoli “Bignami” su argomenti specifici:

Articoli correlati:

“Il mondo del sommelier”, riassunto e integrazioni

Quanto segue è il riassunto del libro “Il mondo del sommelier”, che viene dato in dotazione ai corsisti del primo livello del corso AIS.
Ho fatto il riassunto del libro, integrandolo con qualche appunto del corso e con varie fonti prese dalla rete, per preparare l’esame di terzo livello.

Rendo disponibile il materiale con tutti i disclaimer del caso:
– la proprietà intellettuale del materiale originale è degli autori del libro (e dei docenti del corso e di coloro che hanno scritto valanghe di roba sul vino in internet)
– è solo un riassunto! Può essere comodo per ripassare e per trovare velocemente una risposta, ma per passare l’esame dovete studiare il libro vero
– la parte sulla legislazione è vecchia
– potrei aver scritto delle castronerie: ho cercato di metterci cuara, ma lo scritto non ha subito alcuna revisione

La vite

Nasce la vitis silvestris, poi si sviluppa la vitis vinifera

Riproduzione per:

  • talea (pezzo di tralcio di un anno con almeno due gemme)
  • innesto (unione di due pezzi di tralcio, uno con almeno una gemma)

Cicli della vite:

Ciclo vitale:

  • improduttiva fino a 2 anni
  • produttvità abbondante fino a 25 anni
  • vecchiaia, che dura fino a 30 – 40 anni

Sottociclo vegetativo:

  • a marzo il terreno si scalda e la linfa torna a salire il tronco. Potatura con pianto
  • ad aprile germogliamento
  • agostamento maturazione del tralcio
  • novembre inizio della fase di riposo e defogliazione

Sottociclo produttivo:

  • aprile e maggio formazione primi grappolini
  • maggio e giugno fioritura: fecondazione -> allegagione (sviluppo acini). Se la fecondazione è imperfetta si sviluppano acini senza vinaccioli che non si sviluppano e provocano l’acinellatura del grappolo.
  • luglio e agosto: invaiatura -> cambio di colore da verde al definitivo, maturazine acini
  • agosto / ottobre: conclusione maturazione

Maturazione dell’uva:

il glucosio si trasforma in fruttosio, ma a differenza di altra frutta in parti uguali
Gli acidi diminuiscono, in particolare il malico. Importante che resti il tartarico

Maturazione tecnologica:

rapporto zuccheri / acidi

Maturazione fenolica:

massima concentrazione dei fenoli (presenti su buccia e vinaccioli). Prima della maturità fenolica hanno maggiore importanza i tannini dei vinaccioli, invece con più maturazione si ha maggiore estraibilità dalle bucce. La sovramaturazione quindi aumenta la componente fenolica che rende il vino più strutturato e ricco di tannini e diminuisce leggermente quella che rende il colore pieno e compatto.

Maturazione aromatica:

l’accumulo di sostanze aromatiche aumenta durante la maturazione, e poi diminuisce

Qualità della vigna:

fattori interni:

genetica del vitigno e del portainnesto

fattori esterni:

ambiente pedoclimatico:

·         zona (latitudine, altitudine, giacitura, esposizione)
·         clima (temperatura, illuminazione, ventilazione, precipitazioni, microclima)
·         terreno (composizione, struttura)

Tecniche colturali:

·         scelta vitigno e portainnesto
·         densità impianto e tipo di allevamento
·         potatura di produzione e verde
·         nutrizione minerale e idrica, concimazione
·         trattamenti diserbanti e antiparassitari
·         maturazione tecnologica, fenolica, aromatica
·         vendemmia

Terreni:

  • calcareo-marnosi: buona struttura, bassa acidità, molto alcol, qualità fine
  • marnoso-ferruginosi: ottima qualità
  • calcareo-argillosi: champagne, grande qualità
  • ciottolosi e ghiaiosi: nel medoc trattengono il calore e lo cedono la notte

La vigna:

Terroir: ambiente pedoclimatico (zona, clima, terreno) e microclima Varietalism: ci si concentra sul vitigno Il portainnesto è quasi sempre americano, a causa della fillossera (insetto nordamericano)
Emisfero boreale: tra 40 e 50 latitudine (emisfero sud 30-40) Temperatura migliore: 25-28, influenzata dalla altitudine
In caso di troppa umidità: muffe. Se troppo poca, le foglie trattengono troppa acqua. Migliori coltivazioni in zone fluviali, coste, laghi. Acqua funziona da volano termico
Vantaggi della collina: esposizione, temperature fresche, sbalzi termici, ventilazione, siccità durante la maturazione
Terreni migliori hanno varie componenti: sabbia, limo, argilla

Sistemi di allevamento:

tendone, alberello, pergola semplice e doppia, spalliera

 

L’uva

Il raspo contiene tannini (polifenoli), che danno forte astringenza, quindi è eliminato nelle fasi preliminari della vinificazione in rosso. L’acino è formato da buccia, polpa e vinaccioli. Anche i vinaccioli contengono i tannini, e per questo non sono usati nella vinificazione in bianco. Sulla buccia, la pruina trattiene i lieviti spontanei.

Nella buccia si trovano:

  • acqua
  • pectine e cellulosa
  • terpeni
  • polifenoli

I Polifenoli (molecole organiche antiossidanti), sono formati da:

pigmenti:

responsabili del colore della buccia. Gli antociani danno colore ai rossi, leucoantociani, flavoni e catechine ai bianchi

tannini:

formati da laucoantociani, catechine ecc. Fissano il colore
Con sovramaturazione più tannini e meno antociani: minore colore e più struttura. I polifenoli hanno anche funzione protettiva. La buccia contiene anche sostanze odorose (terpeni, che sono idrocarburi). Spesso la maturazione aromatica precede quella fenolica, che non coincide con quella tecnologica.

 I tannini:

sono contenuti nelle bucce, vinaccioli e raspo. Danno colore e sottraggono liquido in bocca legandosi alla mucina della saliva sono di due tipi:

catechici:

contenuti in bucce e vinaccioli, presenti nei vini da destinare ad invecchiamento, diminuiscono astringenza col tempo

gallici:

derivanti dal legno delle botti, hanno potere astringente minore

La polpa:

Ricca di acqua, acidi organici, zuccheri, minerali, vitamine.

Zuccheri:

glucosio e fruttosio e alcuni infermentiscibili (17% – 23% nei secchi. 25% – 30% – 40% nei dolci)

Calcolo alcol potenziale:

%zucchero nel peso del mosto * 0,6 (nel caso di zucchero trasformato completamente)

Se non tutti gli zuccheri sono trasformati:

si parla di alcol svolto + residuo zuccherino. Resta sempre un minimo di alcol potenziale anche in un vino secco.Quello indicato in bottiglia è alcol svolto

Acidità totale:

di solito 4-8 g/l. formata da acidi fissi e volatili:

acidi fissi:

dalle uve:

malico (sapore verde, frutta acerba. 0-5 g/l), tartarico (duro, aggressivo, nel vino 2-5 g/l), citrico (aspro. 0-0,5 g/l) 

dalla fermentazione:

lattico (inversamente proporzionale al malico. 1-3 g/l), succinico (0,1-1,5 g/l)

acidi volatili:

acetico (prodotto della fermentazione, pungente. 0,2-0,5 g/l)

Scala pH:

da 0 a 14: acido da 0 a 7, basico da 7 a 14. Il vino tra 3 e 3.7. Il Ph è detto acidità reale

Altre sostanze della polpa:

vitamine e minerali (Ceneri del mosto) che determinano la sapidità

uve aromatiche:

mavasie, brachetto, moscato, gewurtzraminer

uve parzialmente aromatiche:

chardonnay, kerner, prosecco, riesling, sauvingnon blanc, sylvaner, merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc

uve neutre:

cortese, vermentino, barbera, bonarda, nebbiolo…

 

Il vino

Bevanda alcolica prodotto della fermentazione dell’uva. Per legge in Italia solo dalla vitis vinifera

Microorganismi del mosto:  i lieviti. La loro attività è influenzata da ossigeno e sostanze azotate

  • lieviti apiculati
  • lieviti ellittici (veri responsabili della fermentazione)(saccaromyces cerevisae e aviformis)

I lieviti si riproducono per gemmazione e sono

  • selezionati
  • varietali

Composizione del mosto:

acqua, glucosio, fruttosio, acido tartarico, malico, citrico, alcol etilico, glicerina, sali minerali (componente anionica), sostanze coloranti, pectine, minerali, vitamine, tannini

batteri

I batteri sono pericolosi, ma i batteri lattici sono utili per la malolattica

muffe

da evitare tranne la botrytis cinerea

correzioni del mosto:

  • Chiarificazione del mosto, in particolare nei bianchi (tramite sostanze chiarificanti, basse temperature, enzimi, decantazione)
  • Aggiunta di anidiride solforosa: azione antiossidante e antiossidasica, favorisce la chiarificazione, inibisce i lieviti selvaggi, favorisce la solubilizzazione di sostanze delle bucce
  • Correzione del grado zuccherino: tramite taglio, mosto concentrato (rettificato o meno) (evaporazione acqua dal mosto), mosto muto, uve appassite, con temperatura bassa separando l’acqua
  • Correzione acidità (di solito si aumenta tramite acido tartarico, ma si può diminuire con carbonati)
  • Concentrazione o osmosi inversa: non altera caratteristiche ma concentra il liquido

Vinificazione in rosso

  • Si distingue da quella in bianco per il tempo di macerazione
  • uva -> diraspapigiatura -> mosto con vinacce
  • trattamenti / correzioni del mosto
  • addizione lieviti selezionati
  • fermentazione con macerazione (prima estratti antociani -colore- poi parzialmente riassorbiti / poi polifenoli totali -struttura, gusto-) (temperatura di fermentazione 25-30, più alta per vini da invecchiamento) (follatura o rimontaggio del cappello delle vinacce) (una parte del mosto viene pompata dal basso della vasca a sopra il cappello lo scopo è accelerare l’estrazione di tannino, colore e aromi dalle bucce) (azione dei lieviti inibita oltre 37 gradi) (alcol etilico oltre 17 inibisce fermentazione)
  • svinatura (separazione parte solida da liquida) -> vino fiore (eventuale torchiatura delicata)
  • eventuale malolattica
  • maturazione in acciaio o botte
  • travasi
  • correzioni e stabilizzazione
  • imbottigliamento
  • affinamento

Macerazione carbonica

                per i vini novelli: uva in vasche sature di anidiride carbonica per 5-10 gg a 30 gradi; si innesca fermentazione alcolica intracellulareSi formano sostanze profumate e glicerinaLieviti aggiunti solo dopo; segue una breve fermentazione tradizionale (2-4 gg)

Vini rosati

                breve macerazione, uve a bacca rossa poco pigmentate, uvaggio misto  bianco rosso

Vinificazione in bianco

  • (per i vini di qualità, prima della fermentazione si applica la criomacerazione: 12 ore bucce a contatto con il mosto a 5 gradi. Maggiore estrazione aromi, minore di polifenoli)
  • pigiadiraspatura e sgrondatura (eliminazione bucce e vinaccioli) / pressatura soffice -> mosto fiore  (la pressatura soffice non lacera bucce e raspi e permette di non estrarre sostanze fenoliche dalle bucce -tannini- presenti anche nella bacca bianca)
  • trattamenti ed eventuali correzioni del mosto
  • aggiunta lieviti
  • fermentazione
  • travaso -> vino fiore
  • eventuale malolattica (evento fermentativo, non vera fermentazione. Servono 18-20 gradi, non troppa acidità, non troppa solforosa, alcol < 15) Innescata dai batteri lattici a , primavera. L’acido malico si trasforma in lattico + anidiride carbonica)
  • maturazione in acciao o botte
  • travaso
  • correzioni e stabilizzazione
  • imbottigliamento
  • affinamento

Fermentazione alcolica:

prodotta dalla trasformazione dello zucchero da parte dei lieviti in alcol etilico, anidirde carbonica, energia termica e sostanze secondarie
Malolattica in primavera, in seguito al rialzo termico, se:
  • il ph non è troppo basso
  • l’alcol non supera i 15 gradi
  • non c’è troppa solforosa
  • Rende il vino meno acido, più corposo e persistente

Botte grande e barrique

la porosità del legno consente scambio di ossigeno, che causa variazione del colore, del profuno e del sapore Colore verso toni più aranciati (per i rossi) o ambrati (bianchi), profumi e gusti più evoluti
Il batonnage rimescola i lieviti nella botte, portandoli in superficie e protegge da ossidazione e arricchisce il profumo
Il legno cede tannini ellagici, eleganti. Il legno più pregiato è la quercia, con la tecnica dello spacco. Proviene dalla valle della loira, limusin, champagne, alsazia, lorena, slovenia, croazia, pennsylvania, minnesota.
Differenti risultati a seconda della dimensione della botte, del numero di passaggi, dal tipo di tostatura

colore del vino:

  • intensità (carico, scuro, cupo ecc. dovuta a ambiente, clima, terreno, piogge, lavorazione ecc.)
  • tonalità (stato evolutivo, pigmenti, acidità, ossidazione)
  • vivacità (colore acceso o spento. Dovuto a salute uve, tecniche di lavorazione, conservazione ecc.)

Pratiche di cantina:

  • colmature o scolmature (mantengono il volume del vino nella botte, assieme all’uso di tappi colmatori)
  • travasi

Il vino viene:

·         travasato
·         chiarificato
·         filtrato
·         pastorizzato
·         aumento alcolicità (refrigerazione, taglio)
·         aumento acidità (acido tartatico e cotrico)
·         intensificazione colore (tramite taglio)
·         A volte si usa rifermentare per correggere qualche piccolo difetto, aggiungendo mosto fresco.
·         Governo alla toscana: a dicembre si aggiungono uve appassite e pigiate; nel rigoverno, seconda aggiunta in primavera
·         aggiunta solforosa

Imbottigliamento:

Si usano riempitrici che soffiano gas inerte (azoto) nella bottiglia
Si usa la bottiglia dal 1700 circa
Si usa spesso il tappo in sughero per elasticità, leggerezza, impermeabilità, termostabilità

Composizione del vino

il colore dipende da: pigmenti dei vitigni, maturazione uva, pigiatura, tempo macerazione, contenitore, evoluzione

il profumo viene da:

  • sostanze profumate delle uve (aromi primari di fiori e frutta fresca)
  • aromi secondari che si formano in fermentazione (frutta, fiori, erbaceo, vinoso)
  • aromi terziari si formano in mesi o anni dopo la fermentazione (esteri, eteri ecc)

gli zuccheri residui:

sono generalmente impercettibili

alcol etilico:

 dona sensazione calorica e morbidezza (Assieme ai polialcoli come la glicerina)

acidità:

ravviva il colore e genera freschezza

tannini:

danno astringenza e leggero amarognolo

anioni, chetoni e minerali:

danno sapidità

anidride carbonica:

determina perlage, esalta profumi, attenua morbidezza, pseudocalore e dolcezza e accentua acidità, tannicità e sapidità

Residuo fisso:

quanto resta dopo aver portato ad evaporazione le sostanze volatili di un vino, esclusi gli zuccheri. Si misura in g/l (17-20 bianchi, 25-27 rossi)
Si tratta di glicerina, sali, pectine, acidi ecc. Si riflette sulla consistenza e sul corpo del vinof

Alterazioni e malattie:

Oggi poco probabili a causa delle buone condizioni igeniche

            Le alterazioni:

variazioni del colore e della limpidezza del vino (es. casse)

            Le malattie:

dovute a batteri lattici, acetici e da lieviti, sono più probabili in vini giovani poco alcolici e molto acidi (es. fioretta, spunto, filante)

            I difetti:

odori e sapori sgradevoli legati a fattori esterni (tappo, muffa, feccia, solforosa, svanito, maderizzato)

Profumi primari:

derivano direttamente dal vitigno, dai terpeni. Profumi di fiori e frutta. Più spiccati nelle uve aromatiche e semiaromatiche

Profumi secondari:

derivano da sostanze formate in fermentazione (enzimi, alcoli aldeidi). Fiori, frutta, vegetali, vinoso

Profumi terziari:

si formano durante la maturazione e affinamento. Incide molto la botte. Confettura, frutta secca, fiori appassiti, animale, etereo

Vini speciali:

vini che dopo la vinificazione sono sottoposti ad ulteriori interventi tecnici o aggiunta di componenti.
  • spumanti->anidride carbonica
  • liquorosi o fortificati->alcol, mosto concentrato, acquavite, mistella (cherry, porto, madera, marsala, banyuls)
  • aromatizzati->alcol, zucchero, estratti aromatizzanti (barolo chinato, vermouth)

Gli spumanti

nascono nel 1600 in francia. I prodotti di qualità sono spumanti naturali nei quali la co2 si forma per rifermentazione (metodo classico e charmat). Da 3 a 6,5 atm.
Negli spumanti artificiali la co2 per addizione di gas
Le uve aromatiche sono ideali per spumanti dolci (moscato, malvasia, brachetto). Spesso prodotti con metodo martinotti
Per il metodo martinotti le uve più usate sono il prosecco
Per il metodo classico: pinot meunier, pinot nero, chardonnay, pinto bianco, pinot grigio

Il metodo classico:

preparazione dei vini base:

  • raccolta a mano e pressatura soffice in poche ore
  • raffreddamento e raccolta in contenitori di acciaio dove viene decantato
  • solforosa
  • aggiunta lieviti (pied de cuve)
  • fermentazione in acciaio a temperatura controllata

            assemblaggio dei vini base:

  • la cuvee ans annèè o millesimato (85% stessa annata) – blanc de blanc – blanc de noir
  • addizione di liqueur de tirage (vino, zucchero, lieviti, sostanze minerali) 4 g/l=1 atm. Di solito 24 g/l=6atm. satin 18 g/l=4,5 atm
  • imbottigliamento con tappo a corona e bidule
  • fermentazione (lieviti trasformano lo zucchero in co2 e sostanze secondarie, poi muoiono e per autolisi cedono sapori al vino
  • affinamento sui lieviti
  • quando l’affinamento è concluso, si pratica il remuage sulle pupitres
  • sboccatura
  • eventuale aggiunta dello sciroppo di dosaggio (vino. zucchero, distillato) oppure pas dosè
  • tappatura e confezionamento e attesa di alcuni mesi
  • consumo raccomandato entro 6-12 mesi dalla sboccatura

            Residuo zuccherino:

  • pas dosè / brut nature < 3
  • extra brut < 6
  • brut < 12
  • extra dry 12-17
  • sec o dry 17-32
  • demi sec 32-50
  • doux > 50

Il metodo martinotti

usato spesso per vini dolci e/ con uve aromatiche.
Rispetto al metodo classico: coliri più tenuti, profumi più vivaci di frutta e fiori appena colti. Gusto meno strutturato. Perlage meno elegante
  • assemblaggio dei vini base
  • filtrazione
  • presa di spuma in autoclave con aggiunta di lieviti selezionati, zuccheri, sali minerali
  • rapida fermentazione (da 30 e 80 gg)
  • refrigerazione che causa precipitazione dei sali
  • travaso isobarico
  • filtrazione isobarica
  • imbottigliamento isobarico
  • tappatura isobarica
  • confezionamento
  • Non viene mai aggiunto sciroppo di dosaggio
  • Per produrre vini dolci si procede a filtrazione sterilizzante prima dell’imbottigliamento, in modo da bloccare l’azione dei lieviti anche in presenza di molto zucchero

Vini frizzanti:

VQPRD devono avere almeno 7 gradi e sovrapressione fra 1-2,5 atm
Possono essere naturali (metodo charmat, con rifermentazione più breve e pressione da 1 a 2.5 atm) o artificiali (addizionati di CO2)

I vini passiti:

vendemmia tardiva:

sovramaturazione di alcune settimane sulla pianta. Glucosio e in particolare fruttosio aumentano. Spesso usato con uve aromatiche. Caso particolare: picolit, acinellatura con aborto floreale spontaneo

appassimento:

evaporazione acqua superiore alla vendemmia tardiva, aumenta la concentrazione delle sostanze
  • appassimento naturale: l’uva viene fatta appassire in pianta, capita raramente es. aleatico di gradoli
  • appassimento forzato: aria riscaldata a 30 gradi, piuttosto secca. I grappoli possono essere stesi al sole (dove il clima lo consente) o su graticci in cassette aperte o appesi in locali areati (es. vin santo, sciacchetrà)

muffati:

la  muffa nobile botrytis cinerea non ama i climi caldi e predilige umidità. (sauternes, tokaji).
Necessarie: uva a buccia spessa e alternanza umidità e sole
Provoca l’appassimento per evaporazione e la concentrazione delle sostanze, aumentando il grado zuccherino
La vendemmia è dilazionata in modo da raccogliere solo i grappoli meglio attaccati

Zone:

francia:
attorno a bordeaux si ottiene il sauternes da uva semillon,
germania:
i trokenberenauslese da riesling o gewurztraminer
Ungheria:
il tokaj da furmint, harslevelu e muscat (vino base addizionato da mosto botritizzato, seconda fermentazione), riposo in botti scolme
Classificazione sulla base delle puttonyos (gerle di mosto da 20 kg) aggiunte, da 3 a 6. Da 60 a 250 g/l zucchero. Eszencia ottenuto con sole uve botritizzate

vini di ghiaccio:

canada, austria e germania. Uve aromatiche
uve raccolte solo a gennaio, vendemmia e pigiatura a -7 gradi, mosto povero di acqua e ricco di zuccheri e sostanze estrattive

Vini liquorosi o fortificati:

generalmente prodotti a partire da un vino base di 12% che subisce concentrazione o addizione di mistella, alcol etilico, acquavite o mosto concentrato
La mistella è un mosto con alcol non inferiore a 12% reso infermentiscibile con aggiunta di alcol etilico o acquavite e portato quindi tra 16 e 22% alcol
Il mosto concentrato è un mosto disidratato (non a fuoco diretto)

marsala:

doc provincia trapani. Si aggiunge  a seconda della tipologia mosto cotto, alcol etilico, acquavite o mistella
vino tenuto in botti scolme per favorire processi ossidativi. L’elevata gradazione impedisce alterazioni
Le tipologie vergine / soleras usano il metodo soleras

classificazione per colore:

  • Oro: Fortificato con acquavite di vino. Uva solo bianca: grillo, catarratto, inzolia, damaschino
  • Ambra: Fortificato con mosto cotto. Uva solo bianca: grillo, catarratto, inzolia, damaschino
  • Rubino: Fortificato con acquavite di vino. Uva pignatello, nero d’avola, nerello mascalese

classificazione per residuo zuccherino:

  • secco < 40 g/l
  • semisecco 40 – 100 g/l
  • dolce > 100 g/l

classificazione per invecchiamento:

  • fine 1 anno invecchiamento minimo
  • superiore 2 anni
  • superiore riserva 4 anni
  • vergine soleras 5 anni
  • vergine riserva soleras stravecchio soleras 10 anni

sherry:

spagna jerez de la frontera. Uve bianche: paolomino (forma il flor), pedro ximenez e moscadel. Terreno chiamato albariza
Vendemmia tardiva o leggero appassimento, fermentazione quasi sempre in acciaio. Vino base bianco secco sui 12%
Alcolizzazione (dopo la fermentazione) per raggiungere 15 – 18%, e messa in botte di rovere scolme, metodo soleras, da 7 a 20 criadera
Se l’alcol non supera i 17% si forma il flor, che impedisce l’azione dell’ossigeno (Fino e parzialmente Amontillado)
Fino, manzanilla, amontillado, palo cortado – Oloroso, cream, pedro ximenez

Porto:

zona oporto valle del douro. Uva nera bastardo, touriga, tinta.
Mosto fermentato a temperatura controllata di 30%, poi addizionato di brandy o alcol per bloccare la fermentazione alla dolcezza desiderata
Riposo di un paio di mesi nelle pipe, travaso ed eventuale seconda aggiunta di distillato
  • bianco: prodotto da uve bianche, invecchia brevemente in grandi botti di quercia o acciaio. Da dolce a secco
  • ruby: rosso, invecchia in acciaio o grandi botti, vino fresco e fruttato
  • tawny: rosso, in botte grande per due anni, poi botte piccola, quindi complessità aromatica superiore
  • tawny invecchiati: assemblaggio di vini invecchiati da 10 fino a 40 anni
  • lbv: vini di una stessa annata invecchiati in botte da 4 a 6 anni. Ulteriore affinamento in bottiglia
  • vintage: millesimati prodotti solo in annate eccezionali, due anni in botte, poi lungo affinamento in bottiglia

Madera:

Origine iberica, vigneti in terrazze vulcaniche sul mare.
il mosto fermenta fino a circa 6%, poi aggiunta brandy o alcol per bloccare la fermentazione ad un punto preciso
Riscaldamento per 3 mesi a 40 – 50 gradi nelle estufas
Commercializzazione con il nome dei vitigni impiegati
Può essere blended o vintage

Vini aromatizzati:

ottenuti con un vino base neutro con alcon min 10%, aggiunta di alcol etilico, zucchero, estratti (barolo chinato, vermouth)

 

Il vino e le sue leggi:

Regolamento comunitario 1493/99 oltre al resto identifica i VQPRD, il regolamento 753/02 disposizioni attuative
Leggi italiane: 116/1963 classifica, poi legge 164/1992
doc e docg sono VQPRD. Poi VFQPRD (frizzanti), VSQPRD (spumanti), VLQPRD (liquorosi)

classificazione

  • DOCG: disciplinare più rigoroso della doc, migliore qualità, analisi rinnovata all’imbottigliamento
  • DOC: diciplinare, prevista la sottozona (espressione di qualità), consentito identificare vitigno, metodo produzione e qualificazioni specifiche
  • IGT: esiste un disciplinare di produzione, indicano il territorio di produzione, possono indicare il vitigno
  • Vini da tavola non disciplinati (sola menzione del colore) (min 8,5%, max 15%)
  • (- VSQ: vino spumante di qualità, VDN: francia, vino dolce naturale, VDL: vin de liqueur)

classico:

vini non spumanti prodotti nella zona di origine più antica

riserva:

vini non spumanti sottoposti a invecchiamento superiore al normale. Previsto da disciplinare

superiore:

alcol superiore almeno 1% rispetto al normale. Previsto da discplinare (ed eventualmente migliori caratteristiche gustative)

novello:

deve rispettare metodologie produzione previste e non essere in consumo prima del 6/11 anno di produzione

etichetta:

Vini da tavola:

  • menzione vino da tavola
  • volume del contenuto
  • lettera E
  • dati imbottigliatore
  • vinificazione
  • alcol
  • lotto
  • eventuale gassificazione
  • facoltative

IGT:

  • stesse del vino da tavola
  • menzione igt

VQPRD:

  • stesse igt
  • menzione VQPRD; DOC; VLQPRD, VSQPRD, VFQPRD + nome regione

 

La birra:

1516 duca guglielmo IV di baviera promulga editto della purezza (orzo, luppolo, acqua).
1842 josef groll alla pilsner urquell crea le pilsner, birra chiara a bassa fermentazione
I cereali sono ricchi di amido (zucchero complesso infermentiscibile), che deve essere demolito dalla azione degli enzimi, liberando maltosio e destrine

materie prime:

  • Il cereale più usato è l’orzo, che viene maltato o torrefatto. Altre materie prime: frumento, mais, riso, miglio
  • zucchero
  • luppolo: resina antibatterica, stabilizza la schiuma, facilità chiarificazione. Amaricante, aroma
  • acqua, scelta in base alla durezza (birre chiare->acque tenere)
  • lievito

lievito:

  • bassa fermentazione (saccaromyces carlsbengensis – 5-10 gradi, sedimenta sul fondo)
  • alta fermentazione (saccaromycens cerevisiae, 15-25 gradi, sedimenta in alto)

produzione:

  • chicchi di orzo messi a bagno per 48 ore, assorbono acqua per innescare l’azione degli enzimi. In cassoni avviene la germinazione di 6 giorni
  • il malto viene essiccato o torrefatto per riscaldamento per circa 24 ore (la temperatura influenza il colore finale, da 85 a oltre 200 gradi)
  • ammostamento in sala cottura: i cereali macinati vengono impastati con acqua e teneuti per alcune ore a 35-75 gradi
  • la soluzione viene filtrata mantenendola a temperatura tramite un tino di filtrazione
  • nella caldaia di cottura si aggiunge il luppolo e si porta ad ebollizione
  • si filtra e si raffredda
  • si aggiunge il lievito e inizia la fermentazione tumultuosa a temperatura controllata
  • maturazione o fermentazione secondaria, in serbatoio chiuso o in bottiglia con aggiunta di fermentiscibile

La classificazione legale:

si basa sul titolo alcolometrico volumico e il grado saccarometrico
Il grado saccarometrico o di fabbricazione è la quantità di estratto fermentiscibile nel mosto in % di peso o gradi plato
il titolo alcolometrico volumico è la quantità di alcol in %. Si ottiene moltiplicando il grado di fabbricazione x 0,4
  • birra analcolica < 3-8 plato
  • birra leggera 5-10
  • birra > 10.5
  • birra speciale > 12.5
  • birra doppio malto > 14,5

 

Distillati:

distillati o acquaviti sono il prodotto della distillazione di un fermentato, spesso di origine vegetale (es eccezione il miele)
l’età dei distillati si calcola con i periodo passato in legno (la bottiglia non conta)
  • preparazione del mosto: l’amido dei cereali deve essere demolito da enzimi per diventare fermentescibile, quindi serve la maltazione
  • fermentazione: si inoculano lieviti selezionati
  • distillazione: continua o discontinua. processo fisico che separa i componenti volatili del fermentato in base al loro punto di ebollizione  (si separano alcol e elementi aromatici, lasciando l’acqua in alambicco). Il fermentato diventa vapore e poi torna liquido. Si concentra l’alcool e si selezionano le sostanze. Si separano le sostanze liquide da quelle solide, successivamente si separa l’alcol etilico dall’acqua, infine si eliminano teste e code
  • distillazione: si distilla fino al 65 – 72%, poi si diluisce fino al 40-45%
  • stabilizzazione: riduzione alcol, refrigerazione, filtrazione. A volte aggiunta zucchero o caramello
  • invecchiamento: in botti usate
  • A volte si usa la aromatizzazione

Distillazione:

discontinua:

la cotta viene scaricata una volta esaurita, poi la caldaia viene ricaricata. Alambicchi di rame

continua:

la colonna viene alimentata continuamente e il distillato continuamente estratto (vodka, grappa, gin, rum, tequila, whisky cereali)

whisky:

in scozia di malto, la maltazione avviene per essicazione tramite aria scaldata bruciando la torba. Mash, fermentazione, distillazione.
doppia distillazione in alambicchi di rame. Si ottiene whisky a 60 gradi, allungato con acqua per arrivare a 40.
invecchiamento almeno 3 anni in rovere

zone di produzione:

  • highlands
  • lowlands
  • islay
  • campbeltown

Classificazione:

  • single malt: se prodotto da solo malto d’orzo e da una sola distilleria
  • pure malt: se prodotto da solo malto d’orzo di più distillerie (vatted)
  • single grain: se prodotto da una sola distilleria con più cereale
  • blended: se con vari cereali da varie distillerie

irlanda:

whiskey, da orzo maltato e non maltato, non si usa la torba, tripla distillazione

usa:

a base di segale (rye), mais (corn).
burbon (51% mais, botti nuove carbonizzate)
tennessee (51% mais, poi segale, orzo, avena)

canada:

principalmente segale, addizione di alcol, distillazione a colonna

giappone:

impronta scozzese, con torbatura più sottile

wodka:

nata in russia (segae e frumento) o polonia (segale). Gusto quasi insapore, oltre 50 gradi
Ottenuta da materia prime ricche di amido come i cereali oppure dai tuberi

acquavite d’uva:

Rispetto alla grappa l’acquavite d’uva è prodotta con materia prima più ricca, non sfruttata per la produzione del vino.
Si cercano uve adatte alla produzione del distillato che giungono in distilleria immediatamente dopo la vendemmia
da uve ammostate e fermentate:
l’uva è portata in distilleria senza che si scaldi, diraspata e pigiata senza spappolare la buccia
fermentazione in cisterne di acciaio sottovuoto, con lieviti selezionati
distillazione in alambicco discontinuo a vapore o bagnomaria

grappa:

distillato italiano di vinacce, (acquavite di vinaccia)prodotta solo in italia e non deve obbligatoriamente invecchiare
le vinacce non fermentate sono separate dal mosto e messe in vasche di acciaio sottovuoto per la fermentazione controllata
alambicchi continui e discontinui

cognac:

distillato di vino, prodotto a nord di bordeaux (dipartimento charentes), tra le colline del limousin e del perigord
sei zone: petite e grande champagne, borderies, fin bois, bons bois, bois ordinaires
vitigni a bacca bianca: ugni banc, colombard e folle blanche da cui si ottiene un vino leggero da distillare con doppia distillazione
invecchiamento fino a max 60 anni, poi assemblaggio con almeno 40 gradi
la classificazione si basa sulla età, il distillato più giovane determina la classificazione
  • tres etoiles (2.5 – 4.5 anni)
  • very superior old pale (almeno 4.5 anni)
  • napoleon (oltre 6.5 anni)

armagnac:

più antico distillato di francia e forse del mondo, zona della guascogna (bas armagnac, haut armagnac, tenareze)
vitigni a bacca bianca: ugni blanc, colombard, folle blanche producono un vino base poco alcolico
tradizionalmente alambicco continuo a colonna e una sola distillazione. Recentemente anche alambicchi discontinui e doppia distillazione. invecchiamento e assembaggio
classificazione per invecchiamento:
  • tres etoiles (1 anni)
  • very superior old pale (almeno 4)
  • napoleon (almeno 5 anni)

calvados:

ottenuto in normandia da mele ammostate (a volte percentuale pere) e poi da una sola distillazione continua (solo in una zona distillazione a ripasso)
in alcuni casi doppia distillazione in alambicco discontinuo, in altri singola a colonna. Dipende dalla zona.
classificazione per invecchiamento
  • tres etoiles (2 anni)
  • vieux (almeno 3 anni)
  • very superior old pale (almeno 4)
  • napoleon (almeno 6 anni)

rum

prodotto in tutta la fascia equatoriale dove si coltiva la canna da zucchero. Area più pregiata: caraibi
rum: lingua inglese, ron spagnola, rhum francese
rum agricolo: il succo zuccherino viene fitrato, decantato e fermentato con lieviti spontanei detti caipiria, poi distillato con alambicchi discontinui
la maggior parte dei rum è invece ottenuta dalla melassa (sottoprodotto della lavorazione dello zucchero) distillata in modo continuo
Ci sono rum non invecchiati, chiari, altri con breve affinamento in legno e altri scuri per aggiunta di caramello       

tequila

Prodotta in messico e centro america. Cottura, macinatura e spremitura del frutto del agave; al succo ottenuto si aggiunge acqua e si fermenta e distilla

 

Il servizio

Presentazione a sinistra e contemporaneamente dire nome e annata del vino
apertura su tavolo di servizio, se nel secchiello prima occorre asciugarla
annusare il tappo e asciugare il collo
servizio a destra

temperature di servizio

  • spumanti secchi e dolci, vini frizzanti             6-8
  • bianchi giovani 8-10
  • bianchi secchi, abboccati  10-12
  • passiti, rosati, bianchi maturi 12-14
  • rossi delicati poco tannici14-16
  • passiti rossi, rossi media struttura 16-18
  • rossi tannici strutturati      18-20

Decantazione

  • per separare il deposito sul fondo che alcuni vini rossi possono aver subito a causa di lungo invecchiamento
  • per ossigenare vini che sono stati chiusi in bottiglia a lungo

Integrazione del 09/05/2013: per chi deve prepararsi all’esame, segnalo che nel corso dei mesi ho scritto alcuni piccoli “Bignami” su argomenti specifici:

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