Timorasso il Montino 2013, La Colombera

Alla cieca è un riesling, di quelli buoni. E non suoni come una diminutio nei confronti di quel gran vitigno che è il Timorasso, è solo che il nobile cugino teutonico gode di maggiori notorietà e fama.

Dal principio: arrivo in cantina all’ora di chiusura del sabato prima di Pasqua, ci sono ancora altri clienti da servire e da quanto capisco la signora Elisa ha un parente in ospedale da andare a trovare. Nonostante la situazione, la titolare mi accoglie con grande cortesia e molti sorrisi: fanno sempre piacere e in questo caso sono ancora più apprezzati.


montino
Denominazione
: Colli Tortonesi DOC
Vino: Il Montino
Azienda: La Colombera
Anno: 2013
Prezzo: 15 euro

Parliamo di vino: il dettaglio meno interessante è quello visivo: perfettamente limpido, paglierino tenue e riflessi verdolini, risulta perfettino e un po’ anonimo. Poi però lo metti sotto al naso e inizia a sfoderare una gran finezza floreale ed erbacea; sopratutto, si intravede una bella nota minerale, il prodromo del mitologico idrocarburo.

La prima cosa che colpisce all’assaggio è la sapidità formidabile, la seconda è che questa caratteristica così decisa è comunque perfettamente integrata nel complesso del sorso, che si delinea preciso e dai contorni perfettamente armonici, senza elementi goffamente preponderanti.
L’ottimo equilibrio permette anche di mascherare bene i 13,5 gradi, integrandoli con una buona freschezza garantendo così una bevuta agevole. Si chiude con corpo adeguato e persistenza non comune.
Vino godibilissimo ma ancora decisamente giovane: immagino possa dire la sua per molti anni e offrire il suo meglio forse tra due o tre anni, ma bisognerebbe chiedere in azienda.

Insomma un vino ottimo, in particolare in ragione del prezzo-cantina decisamente corretto.
Abbinamento regionale con tutti gli antipasti e molti primi piemontesi: peperoni sottolio, taglieri di salumi, formaggi non eccessivamente stagionati, taglierini eccetera.

Il bello: complessità, facilità di bevuta e prezzo abbordabilissimo

Il meno bello: nulla da segnalare

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Freisa Kyé 2011, Vajra

Questo post, riesumato per una felice coincidenza, era rimasto in attesa da mesi, sepolto nel casino del quotidiano, ed è una omissione colpevole: come faccio a dimenticare che quando ero ancora più novizio di quanto lo sia adesso e mi muovevo con elefantiaca (dis)grazia nelle varie manifestazioni enoiche, la signora Milena mi ha accolto con sorriso e pazienza, senza mettermi in imbarazzo come accaduto con altri produttori; e come posso non ricordare che alla mia prima visita in azienda venni ricevuto da una giovane responsabile dell’accoglienza che, a me turista del vino squattrinato, dedicò più di un’ora, accordandomi la stessa attenzione riservata ad un paio di tedeschi che comperarono più o meno per il valore del PIL di una nazione africana di media grandezza…

Non lo so se la famiglia Vajra sia davvero quella sorta di mulino bianco che pare essere: tutti (marito, moglie, figli, collaboratori) nelle poche occasioni in cui mi è capitato di incrociarli, si sono rivelati gentilissimi e soprattutto capaci di emanare una sorta di fluido magico della tranquillità; non bastasse, abbinano questa sorta di pace interiore ad una laboriosità seria ma non ossessiva. Insomma, diciamola tutta: ti fanno quasi invidia per come sembrano perfetti.
Avranno anche loro le giornate no? Comunque sia, al consumatore non lo danno a vedere: insomma, sono una sicurezza come i loro vini, che tutte le volte che li bevi danno l’idea di essere un prodotto altamente professionale, in cui nulla è lasciato al caso, ma comunque dotato di un’anima fortemente emozionale.

Sarebbe facile parlare dei Baroli di famiglia, ma a me piace spendere qualche riga per una delle loro bottiglie di nicchia, la Freisa, che completa una gamma di vini che ormai spazia a tutto campo dai classici piemontesi fino al riesling e al metodo classico.

freisa-ky_-vajraDenominazione: Langhe rosso DOC
Vino: Kyé
Azienda: Vajra
Anno: 2011
Prezzo: 24 euro

Vigneti a 400 metri di altitudine e affinamento di oltre un anno in legno per una bottiglia cui deve stare alla larga chi, leggendo il nome del vitigno, pensa ad un liquido abboccato e lievemente frizzante. Qui siamo agli antipodi, e sfacciatamente territoriali per giunta: se non è radicato nella sua zona questo vino, allora possiamo chiudere baracca. Questa è una freisa che barolegga nettamente (la diciamo una frase alla moda? Il terroir vince sul vitigno) e al naso racconta di viole, di frutta rossa matura e persino di etereo, mentre in bocca è ricca, potente, tannica (ma di un bel tannino deciso e non verde), calda, e di gran corpo, con ricordi di frutta rossa persino arricchiti da china e liquirizia.
Semmai è all’esame visivo che tradisce i suoi natali, mostrando profondità di colore e nessun accenno granato o aranciato tipico del nebbiolo; la vendemmia è 2011 ma il vino è ancora giovane, sostenuto da una acidità sferzante che rende la bevuta irresistibile.
Vino da pasto, da formaggi, da pane e salame: fatene quel che volete e cascate sempre in piedi.

Il bello: aromi netti, ricchi, pieni

Il meno bello: nulla da registrare

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Confini 2010, Lis Neris

A volte (forse sempre) si sceglie di comperare un vino anche per suggestione, e a me questa bottiglia intrigava già sullo scaffale: un nome, Confini, evocativo tanto più se accostato ad un prodotto che viene da quella terra di grandi bianchi che è il Friuli e che del limite di territorio è quasi epitome.

confiniDenominazione: Venezia Giulia Bianco IGT
Vino: Confini
Azienda: Lis Neris
Anno: 2010
Prezzo:25 euro

E allora parliamone della bottiglia, prodotta in provincia di Gorizia, nella Valle dell’Isonzo dalla azienda Lis Neris, 70 ettari declinati soprattutto in bianco ma non solo, in questo caso in particolare assemblando uve Gewürztraminer, Pinot Grigio e Riesling ottenendo un liquido giallo dorato, caldo, compatto, di decisa matericità già dalla roteazione.
Un vino “grosso” che si conferma tale anche negli aspetti olfattivi, dove è ovviamente l’aromatico a farla da padrone con i suoi aromi di rosa, litchi e altri frutti tropicali surmaturi. Certo, il fatto che il Gewürzt non sia l’unico vitigno in gioco contribuisce a scongiurare il pericolo di eccessiva sfacciataggine e di stucchevolezza.

In bocca è decisamente di corpo, caldo, secco ma di quella secchezza un po’ morbida che contraddistingue il Gewürztraminer; si avverte il Pinot Grigio, con le sue striature sapide e non si palesa il temibile effetto mappazza grazie ad una buona spalla acida, probabilmente apportata dalla quota di Riesling. Finale abbastanza lungo ma con un eccesso di amarognolo.

Vino particolare, decisamente da abbinamento: cucina fusion, con influssi orientali e speziature importanti.

Il bello: gran corpo e aromaticità ben gestita

Il meno bello: finale non del tutto a registro

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Perlé 2008, Ferrari

E allora diciamolo, che noi enofili da computer siamo degli snob mica da poco. Scrivo queste righe dopo aver provato a dare una occhiata a cosa dice “la rete” su un prodotto magari non di massa ma certo molto noto come il Ferrari Perlé (2008, nell’occasione).
Bene, un mezzo deserto: praticamente nessuno di noi bloggaroli e maniaci che si degni di perdere due minuti a vergare un parere, quando invece è facile leggere opinioni praticamente su tutto, dal vino macerato della Georgia ai Retzina dalla Grecia.

Ed è un peccato, perché per il mio modestissimo parere questa bottiglia, a questo prezzo, regge tranquillamente il confronto con molti metodo classico blasonati, d’oltralpe e non; semmai sconta il delitto di essere marchiata dallo stesso produttore che inonda la GDO con altri spumanti  (dignitosissimi, peraltro).

perleDenominazione: Trento DOC
Vino: Perlé
Azienda: Ferrari
Anno: 2008
Prezzo: 25 euro

Quindi come lo descriviamo questo vino?
E’ metodo classico importante, giallo paglierino carico, ricco di sfumature tostate in primis, ma anche di agrume e di panificazione.
La bolla è giustamente nervosa e decisa, e l’assaggio è ricchissimo ma ben bilanciato: fresco, sapido, gustoso, persistente.
Unico difetto: le note tostate tornano anche al palato e sono un poco eccessive se non si pasteggia, rendendo il sorso non del tutto compulsivo, ma basta saperlo e destinare il vino al suo uso d’elezione, la tavola imbandita, per ovviare ad ogni problema.

Il bello: la ricchezza gustativa

Il meno bello: piccolo eccesso di note tostate

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