Vorberg 2011, Cantina Terlano

Da tempo non lo ribevevo, ed era quindi il momento di un gusto ripasso per quello che (secondo me) è uno dei grandi vini bianchi d’Italia, oltretutto proposto ancora ad un prezzo abbordabile. Riecco quindi nel bicchiere il Vorberg di Cantina Terlano.
In una precedente degustazione l’annata 2010 mi aveva lasciato qualche dubbio, ed è proprio a quella scheda che rimando per alcuni accenni più generali sul produttore.

vorbergDenominazione: Alto Adige Terlano DOC
Vino: Vorberg
Azienda: Cantina Terlano
Anno: 2011
Prezzo: 20 euro

Molto bello a vedersi, paglierino luminosissimo con alcuni accenni dorati, anche olfattivamente non tradisce: finissimo e complesso, con un arcobaleno che parte dal melone, attraversando poi i classici sentori aggrumati, virare sul vegetale erbaceo e per il floreale fino a chiudere su una decisa nota minerale. Lasciandolo nel bicchiere arriva persino l’eco di caramella charms. Difficile far di meglio.

In bocca è accompagnato da freschezza netta senza essere tagliente, buoni calore e sapidità ed estremamente ampio ed intenso; ottimo equilibrio e lunghezza rimarchevole. C’è un lontano e appena accennato punto di amaro che pulisce e invoglia il sorso, ma non è il solito amaricante di mandorla a termine bicchiere, bensì curiosamente si presenta a metà bocca per poi lascia spazio (tenendolo a bada) al finale giustamente aromatico: sorso largo senza tema di opulenza.

Vino di grande versatilità: dal ricco aperitivo fino all’acompagnamento di formaggi di media struttura e all’abbinamento a piatti di buona complessità e millesimo capace ancora di grandi soddisfazioni in futuro.

Il bello: elegantissimo e complesso olfattivamente,

Il meno bello:  forse un pizzico di acidità in più…

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Emiliana 2013, Lusenti

L’azienda Lusenti possiede 17 ettari di terreno a conduzione biologica in Val Tidone, nel Piacentino, e produce vino utilizzando principalmente uve tipiche della zona: la Malvasia di Candia, l’Ortrugo, la Bonarda.
La cantina offre una serie piacevolissima di rifermentati in bottiglia che rientrano perfettamente in quella categoria che qualcuno giustamente chiama “vini glu-glu”, per dire di bottiglie magari semplici, non particolarmente sofisticate o complesse ma tremendamente facili da seccare.

L’esempio principe di questi vini frizzanti è l’Emiliana, da malvasia aromatica di Candia al 100%, che oltretutto è stata una delle prime folgorazioni che ho avuto quando ho iniziato ad occuparmi con più attenzione all’argomento vino: torbido, con una DOC sfigata sul groppone, eppure così gradevole…

emilianaDenominazione: Colli Piacentini DOC
Vino: Emiliana
Azienda: Lusenti
Anno: 2013
Prezzo: 12 euro

Paglierino con evidente velatura e perlage (ma quale perlage… qui siamo rustici: diciamo pizzicore) fine e, come ovvio, di numero e persistenza limitati.
Bella e semplice aromaticità olfattiva, di fiori freschi e frutta (pera in particolare, e un leggero agrume).
In bocca si conferma semplice e piacevole, con una struttura leggera come si conviene alla tipologia e una apprezzabile traccia sapida che bilancia bene la chiara aromaticità del sorso.
Finale senza accenni amari, bevibilità alle stelle e bottiglia terminata in un amen, anche grazie al lieve grado alcolico (11,5 gradi).

Da mettere a tavola con un bel tagliere di salumi e formaggi delicati, magari anche con verdure pastellate e fritte, senza dimenticare di agitare prima di stappare e di servire fresco ma non troppo: per me è ok sui 10-12 per poi salire pian piano durante la bevuta, esaltando la aromaticità.

Il bello: gradevolezza, bevibilità

Il meno bello:  l’aspetto molto rustico

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La Voglia Matta, Genova

A volte sospendi il giudizio, perché è chiaro che non sarebbe corretto: è quello che mi è successo la prima volta che ho mangiato a La Voglia Matta, a Genova Voltri.
Era lo scorso anno, a pranzo, ed è stato chiaro fin da subito che si trattava della classica giornata storta, partita male fin da subito con il calice offerto che aveva qualche difetto e poi proseguita sulla falsariga di una medietà poco rilevante.

logoCi sono tornato, e posso dire di essere contento di essermi astenuto, ché la cena non è stata affatto disprezzabile.
Andiamo per ordine: sul posto (la famigerata “location”) c’è poco da dire, è un vicolo ben poco significativo di una zona di Genova un tempo sicuramente meravigliosa ma adesso massacrata dal porto, dall’incuria, dai cavalcavia della autostrada… Per fortuna è meglio l’interno, piuttosto curato, con qualche spunto di colorata fantasia mai troppo sopra le righe. Unici difetti: le luci poco calibrate e l’acustica: quando il locale (comunque diviso in due sale non enormi) si riempie, il rumore è fastidioso.

La proposta culinaria (che presenta chiaramente qualche velleità di innovazione) si basa principalmente sul pesce e si articola in maniera interessante in una bella selezione alla carta e in diversi menu degustazione, che a me piacciono perché permettono di assaggiare più piatti seguendo un percorso coerente deciso dallo chef.
Bella la carta dei vini, che evita di affogare in un mare di referenze e di annoiare con le solite etichette ben note, esibendo un ricarico corretto.
Proprio sui vini ho un appunto: ho scelto uno Chenin Blanc della Loira che non conoscevo. Ora, lo so che lo chenin blanc è versatile e si può trovare fermo, spumantizzato, dolce eccetera, ma se in carta non c’è  nessuna indicazione al riguardo, e la persona cui lo ordino non dice nulla, e io sto scegliendo un vino a tutto pasto, mi aspetto si tratti di un vino secco. Non è stato così, e ho ricevuto un (ottimo) vino dolce… Bastava una domanda: “E’ un vino dolce, è sicuro di quello che ha scelto?”.

Decido per un menu basato sul pesce povero e inizia la cena: buoni il pane e i grissini preparati sul posto e ottimo il prosecco colfondo offerto (chi ha versato ha omesso il nome del produttore, purtroppo).
Non mi dilungo sui singoli piatti, trovo non abbia molto senso. Di certo si avverte la volontà di proporre qualcosa di diverso, di rispettare la materia prima (che mi è sembrata di livello) e di lavorare con passione; altrettanto certamente si avverte in maniera trasversale a quasi tutte le portate la mancanza di un piccolo spunto in più, sia esso un pizzico di sale, un giro di pepe, un giro d’olio, una grattata di zenzero… insomma, di un piccolo spunto a completare un piatto comunque ben fatto, tanto più se la base è appunto “povera” e, immagino per questioni di pescato, sei costretto ad usare lo sgombro in più di un piatto.
Unica preparazione completamente sbilanciata è stato lo sgombro marinato nell’aceto: l’aceto copriva in maniera assoluta il pesce, annullandone ogni aromaticità; notevoli invece il carpaccio e il tataki. Non amo particolarmente i dolci, ma ho trovato gradevolissimi sia il biancomangiare alle mandorle che il millefoglie, nessuno dei due stucchevole.

Il servizio è stato cortese e professionale, e il conto sicuramente correttissimo. Da rivedere i tempi di preparazione: sono entrato alle 20 in punto e sono uscito dopo altre due ore e mezza, decisamente troppo.
Trovo qualche analogia con uno dei miei ristoranti preferiti a Genova, Voltalacarta: stessa volontà di ricerca, stessi mezzi un po’ risicati e medesima attenzione al prezzo finale. In questo caso decisamente meglio la carta dei vini, ma un punticino in meno alle portate, proprio a causa di quella mancanza di spunto di cui ho scritto più sopra.

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Metodo Interrotto, Furlani

Non avevo neppure mai sentito parlare della Cantina Furlani, ma il consiglio di un amico unito al mio apprezzamento per le bolle trentine hanno fatto breccia e ho provveduto all’acquisto.

Cerco qualche informazione sulla bottiglia appena portata a casa e sul produttore ma trovo davvero poche note: un sito di questo tenore nel 2015 è quantomeno indice di poca lungimiranza…

Da quanto capisco, la Cantina dispone di sei ettari di terreno vicino Trento, coltivati con varietà autoctone ed internazionali, ed appartiene al “giro” dei produttori “naturali”, con conduzione biodinamica, rifiuto dei prodotti di sintesi in vigna, affidamento ai lieviti autoctoni, nessun controllo della temperatura in vinificazione, nessuna aggiunta di solforosa e nessuna filtrazione.

furlaniDenominazione: VSdQ
Vino: Metodo Interrotto
Azienda: Furlani
Anno: –
Prezzo: 16 euro

La bottiglia in questione è composta per l’80% da chardonnay e il rimanente da pinot nero, con due anni di riposo sui lieviti.
Un accenno al tappo a corona: non mi scandalizzo, anzi per certi versi è meglio, eliminando alla radice i problemi di sentori di TCA, ma da un vino di una certa importanza con un prezzo di gamma medio bassa ma comunque non regalato, mi aspetto qualcosa di più professionale.

Il ciclo di produzione è quasi quello di un “normale” Metodo Classico, non fosse che viene omessa la fase di sboccatura, quindi non c’è aggiunta di liquore di dosaggio e solforosa: questo ovviamente rende il bicchiere opalescente, lattiginoso, con un aspetto tipicamente da metodo ancestrale o da rifermentato sur lie. Oggettivamente bruttino a vedersi.

La bolla non è da manuale, mantiene una buona finezza ma è ma un po scarsa e l’olfattivo è sempliciotto: floreale e accenni aggrumati, nulla di più.
Il sorso non è male: abbastanza pieno e di discreta lunghezza, ma manca un po’ di acidità, di tensione: si sente qualche accenno dolcino eccessivo, ed è abbastanza sorprendente data la assenza di dosaggio. Per fortuna in chiusura non fa capolino alcun richiamo amaro.

Spumante semplice, di non troppe pretese, non troppo rustico e con una sua dignità; direi una valida alternativa al prosecco per un antipasto disimpegnato.

Il bello: semplice ma gradevole

Il meno bello:  manca la spinta acida acida

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Pas Dosé 2009, Rizzi

Gli spumanti prodotti in Piemonte, siano o meno sotto denominazione Alta Langa, sono una tipologia su cui a  mio avviso si tende troppo spesso a sorvolare con una alzata di spalle: nel mio piccolo mondo di assaggi ho spesso incontrato bottiglie di buon livello vendute a prezzi corretti.
Non fa difetto neppure questo Pas Dosé, messo a punto da un importante produttore di Treiso, ovviamente noto per i suoi Barbaresco: Rizzi.

Denominazione: VSDQ
Vino: Pas Dosé
Azienda: Rizzi
Anno: 2009
Prezzo: 20 euro

Il vino è a base chardonnay con apporto di nebbiolo e pinot nero e viene prodotto ovviamente con il Metodo Classico, facendo uso di lieviti selezionati su cui riposa per ben 56 mesi.
Nella stessa giornata lo ho assaggiato dapprima nel pomeriggio, durante una degustazione di Barbaresco, versato da una magnum sboccata da circa tre mesi, ed era sicuramente un bel bere, poi la sera: convinto della validità del prodotto ne ho portato a casa una bottiglia di formato standard con sboccatura di circa un mese, forse troppo recente (a proposito, complimenti per la precisa indicazione in controetichetta, con data completa di giorno, mese e anno).

I miei appunti parlano di giallo verdolino con bolla copiosissima e piacevolmente esuberante che solletica senza essere fastidiosamente dura, di uno spettro olfattivo abbastanza classico (fiori e frutta tropicale, comunque molto fresco) e di un sorso piacevolmente teso ma equilibrato, senza le acidità stellari, strappagengive di certi non dosati, con un finale senza traccia di fastidiose scie amare.

Segnalo che il vino della magnum aveva una compiutezza maggiore, in particolare a livello olfattivo; ad ogni modo: ottima bevuta a prezzo tutto sommato corretto.

Il bello: bella spinta acida ma ottimo equilibrio del sorso

Il meno bello: in questo caso, bottiglia forse troppo giovane

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