Cheap Thrills n.2: Frappato 2011, COS

Secondo incontro con le recensioni di vini al tempo della crisi e dall’Alsazia del primo appuntamento ci spostiamo in Italia, nella Sicilia sud-orientale, con un salto ideale di oltre 1800 chilometri,
Il produttore è la Azienda Agricola COS (dalle iniziali dei tre soci fondatori), esistente dal 1980, condotta con un certo piglio contemporaneo (ad esempio regime biodinamico, uso di anfore e coltivazione di vitigni autoctoni con concessioni agli internazionali in una sola referenza) e il cui vino simbolo è sicuramente il Cerasuolo di Vittoria.

frappato COSIl vino che abbiamo scelto di assaggiare è un nome magari meno importante del Cerasuolo (unica DOCG regionale), ma molto celebrato sulle varie guide e nel passaparola degli appassionati: il Frappato, millesimo 2011.

I dati tecnici: uva Frappato al 100% coltivata a circa 250 metri sul livello del mare con ridotta resa per ettaro (circa 50 quintali), fermentazione in vasche di vetrocemento e affinamento in cantina di 12 mesi.

Denominazione: Sicilia IGT
Vino: Frappato
Azienda: COS
Anno: 2011
Prezzo: 12 euro

Francesca

Marco

Eccoci al nostro secondo appuntamento, ammetto che questo vino è stato un po’ un rompicapo.

Il mio assaggio è iniziato saltando una fase importante, che in gergo tecnico viene chiamato esame visivo, e che a volte per la curiosità decido di mettere in secondo piano rispetto all’esame olfattivo.
Sono rimasta sorpresa e un po’ spiazzata, perché effettivamente la nota che mi è saltata al naso era balsamica e di spezie, profumi che fanno pensare a un vino evoluto. Ho riletto l’etichetta credendo di essermi sbagliata ma effettivamente l’anno riportato è il 2011.

Provo a ricominciare, e questa volta non tralascio l’esame visivo, quello che è nel bicchiere è un bel rosso rubino che effettivamente conferma la giovane età. Prima annusata (olfazione sarebbe il termine tecnico) e sento che la nota balsamica è andata via lasciando il posto a una spezia che stento un po’ a riconoscere.
Pensa, annusa, pensa, annusa, ecco si accende la lampadina giusta: è senape, un buonissimo profumo di senape, che a me solitamente non piace ma che ho apprezzato molto in questo vino perché non è esasperata. In un secondo tempo arriva anche una nota di frutta rossa sotto spirito.

All’assaggio ritornano tutti i profumi e con piacere dico che il vino ha davvero un ottimo equilibrio, la speziatura non è troppo invadente ed è supportata da una buona struttura.
A chiudere l’ultimo sorso è un tannino appena accennato che accarezza il palato lasciandolo pulito. Capita spesso di bere vini buoni e fatti bene, ma che non sono proprio immediati, per quello che mi riguarda posso dire che questo sia uno di quelli che lascia un impronta facilmente riconoscibile.

Complimenti all’azienda agricola Cos.

Non mi piace parlare male di un vino, in particolare se è il prodotto di un artigiano o comunque di una piccola azienda: in ogni caso in una bottiglia ci sono un anno o più di lavoro e di fatica e ci sono gli investimenti in denaro e in emozione di persone che fanno un lavoro che ha la caratteristica di una aleatorietà estremamente elevata: basta una grandinata al momento sbagliato per gettare al vento un intero raccolto.

Detto questo, io sono un consumatore e come tale sento il diritto di esprimere una opinione non positiva, ovviamente motivandola; in più la formula delle recensioni doppie mi consente di mitigare il timore di affossare un prodotto solo sulla base della classica “bottiglia sbagliata”.

Al dunque: nel bicchiere è rosso rubino con accenni porpora, segno di  bella giovinezza e vitalità, ed molto fluido. Fino a qui tutto bene: corrisponde al vino che avevo immaginato.

I problemi iniziano all’olfattivo: c’è una nota dominante di rosmarino decisamente  troppo invadente e del tutto monocorde, se non fosse per un accenno di ferrosità e persino di medicinale. Insomma, un naso del tutto sgraziato.
Provo ad assaggiarlo, ma le sensazioni dominanti sono esattamente le stesse: davvero difficile proseguire, per questo decido di lasciarlo riposare  aperto e rimando il tutto al giorno successivo.

Secondo tentativo: la situazione è migliorata, nel senso che la sgradevolezza olfattiva è quasi del tutto scomparsa, ma resta sempre solo il rosmarino troppo carico e poco altro, se non un ribes grossolano.

L’assaggio scivola via molto semplice, senza particolari rivelazioni se non gli echi di quanto avvertito con il naso. C’è freschezza, un tannino lievissimo, poca sensazione alcolica e persistenza corta.

Davvero, non mi sento di scrivere granché altro: non posso credere che questo sia il “vero” Frappato, mi pare evidente di essermi imbattuto in una bottiglia poco felice, e me lo conferma la lettura di quanto scritto qui accanto da Francesca.

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La giungla dei solfiti

I solfiti sono spesso al centro di scambi di idee abbastanza contrastanti, mi è capitato da poco di leggere un articolo che trattava quest argomento, e che mi ha fatto pensare che effettivamente è facile fare un pò di confusione tra solfiti aggiunti e solfiti naturalmente presenti nel vino.

Cercherò di fare, per quello che mi è possibile, un quadro più chiaro della situazione sperando che vi sia utile.

Inizialmente l’ anidride solforosa veniva utilizzata unicamente per i processi di sanificazione dei tini, come prodotto della combustione di zolfo. Solo in seguito si è iniziato ad utilizzarla come adittivo chimico per le sue molteplici funzioni nel processo di vinificazione come: antisettico, estrattore di colore, miglioratore organolettico, antiossidante. Bisogna fare subito una precisazione: i solfiti sono presenti naturalmente nel vino spetta poi al produttore decidere se aggiungerne o meno ulteriori quantità.

All’ anidride solforosa vengono imputati diversi effetti collaterali come la sensazione di pesantezza e il famigerato cerchio alla testa, ricordiamoci però che é presente oltre che nel vino in moltissimi alimenti conservati (riscontrabile in etichetta tra gli ingredienti come antiossidante E220, E223, E224).

Anche nei vini biologici sono presenti solfiti e, secondo un disciplinare che ho  trovato sul sito del Fondo Europeo Agricolo, al produttore é data la possibilità di intervenire aggiungendone una quantità che dovrà comunque essere inferiore a quella consentita nei vini non biologici, e che varia in base alla tipologia di vino.

Limiti del contenuto di solforosa totale definiti dal regolamento europeo di vinificazione biologica: nei vini rossi (convenzionali) il limite é di 150 mg/l in quelli biologici é di 100mg/l questa proporzione si mantiene per tutte le diverse tipologie di vino prodotto.

Alla luce di questo credo sia importante seguire i propri gusti senza farsi influenzare da questa spasmodica ricerca del biologico e del naturale a tutti i costi, anche perchè come dice il mio amico Marco in una bottiglia di vino ci sono altre cose potenzialmente più “dannose”per la nostra salute come l’ alcool.

Detto questo il mio consiglio è quello di bere ciò che ci piace di più.

 

 

 

 

 

 

 

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MUNJEBEL BIANCO

Questo è uno di quei vini che io classifico nella categoria “per appassionati del genere” già nel versare il primo bicchiere si torna un po’ indietro nel tempo. Il colore mi ha ricordato il vino che faceva mio nonno, che non vuol dire vecchio ma tradizionale e naturale.

Munjebel Negli anni e con il perfezionarsi delle tecniche della vinificazione si è arrivati ad avere prodotti perfetti per quello che riguarda la limpidezza il colore e i profumi, forse rendendo un po’ pigro il nostro palato. Assaggiandolo mi sono resa conto che gli stessi parametri che si usano per classificare i vini “tradizionali” non rendono merito a questo tipo di vino. Non vi nascondo che non è stato facile.
Mi ha colpito subito la presenza di un po’ di fondo già al terzo bicchiere, i colori vanno dal giallo carico all aranciato pur essendo del 2010 per quello che riguarda i profumi si riconosce subito una nota di frutta matura ( non faccio elenchi noiosi e bizzarri) e poco dopo arriva una nota che io definisco vinosa.

In bocca il vino si apre e da il meglio di se: si aggiungono ai profumi una nota minerale e una spiccata sapidità che contrasta una buona morbidezza, mi sembra che sia ossidato.
Nel cercare di capire qualche cosa di più del vino che ho nel bicchiere mi sono informata; il produttore  si chiama Frank Cornelissen coltiva 8,5 ettari di terreno vitato  in modo del tutto naturale, ne biologico o biodinamico con una resa di 300g per pianta. La vendemmia viene fatta tra metà ottobre e metà novembre le uve vengono poi lasciate fermentare in giare di terracotta da 150-400 litri.
La macerazione sulle bucce dura da 4 a 7 mesi prima di essere imbottigliato. Lo stesso procedimento viene usato sia per la vinificazione in bianco che quella in rosso.

Leggendo queste tecniche adottate da questo viticoltore davvero ci si rende conto che i termini codificati non sono un vestito su misura per questo tipo di vino. Ultime note tecniche: il vino è un assemblaggio di Grecanico dorato Coda di volpe Caricante e Cataratto, dall az agricola di Frank Cornelissen ai piedi dell Etna.

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Pouilly Fumé Domaine du Bouchot

Ho assaggiato questo Sauvignon in purezza, annata riportata in etichetta 2010, prodotto a Saint Adelain sulla Loira, zona vocata per la produzione del Poully Fumé. Il produttore Pascal si impegna nella coltivazione biologica di dieci ettari di terreno vitato nel quale produce anche Cuvée Regain (da uve leggermente sur mature) e Cuvée Prestige (macerazione sulle bucce). Sicuramente la composizione del terreno calcareo-argilloso delinea in modo marcato la struttura del vino. Al naso si sentono piacevoli sentori fruttati e floreali, ma è all’assaggio che si può apprezzare la nota minerale supportata da un ottima sapidità, caratteristiche queste due che lasciano pensare ad un equilibrio buono e duraturo, sicuramente un assaggio da ripetere tra un po’ di tempo.

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