Tornasole 2004, Tenuta Grillo

Avevo assaggiato qualcosa di Tenuta Grillo in varie manifestazione ma non avevo mai approfondito granché, così, visto che ero in zona, il mese scorso ho visitato la cantina in modo da avere una panoramica più completa dei vini proposti.

Prima di descrivere il Tornasole, qualche accenno sulla azienda. Dopo qualche difficoltà di orientamento (ragazzi, inserite un Google Maps sul sito, please…), sono stato ricevuto dalla gentilissima Igea, torinese, co-titolare della azienda e moglie di Guido Zampaglione, campano emigrato al nord per cercare un territorio adatto alla sua idea di vino, territorio finalmente trovato in 32 ettari (di cui 17 vitati) a Gamalero, vicino ad Alessandria.

La filosofia aziendale, chiaramente influenzata dal maestro di Guido, quel Giulio Armani direttore di produzione de La Stoppa e lui stesso vigneron (Denavolo), è improntata al movimento dei cosiddetti “vini naturali” (minimo interventismo in vigna e in cantina, macerazioni, lunghi invecchiamenti, no alla solforosa eccetera), e lavora un territorio pianeggiante e sabbioso, situato a circa 200 metri di altitudine.

Tornasole

Denominazione: Vino da Tavola
Vino: Tornasole
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2004
Prezzo: ? (comperato in azienda assieme ad altre bottiglie, dovrebbe essere sui 15 euro ma potrei sbagliare)

Abbastanza curiosa la scelta di coltivare e vinificare il Merlot, visto che normalmente i pasdaran del naturalismo rifuggono i vitigni internazionali come la peste, ma a me la scelta mette simpatia per il suo andare controcorrente.

Colore rubino ben vivo e concentrato, con l’unghia che vira addirittura ad accenni porpora: grande dimostrazione di giovinezza per un 2004. Accenno di riduzione all’apertura, che fortunatamente svanisce dopo qualche minuto, lasciando spazio ad un olfattivo intensamente dominato da una volatile francamente al limite (e lo dice uno a cui solitamente non disturba…), tanto da coprire i più canonici descrittori di frutta rossa matura e sotto spirito. Un naso che da principio sembra vivace, ma poi non evolve e resta abbastanza monocorde.

In bocca è secco, caldo e morbido, con una buona spinta acida e un tannino leggermente sfocato. C’è corpo, e il vino risulta decisamente pieno e polposo, intenso e anche equilibrato; chiusura non troppo lunga e con un accenno amaro, che mi ricorda il caffè, un po’ fuori posto. Sicuramente meglio in bocca che al naso, dà l’idea di poter migliorare con ulteriore invecchiamento.

Quanto sopra è il resoconto del giorno in cui è stato stappato; a sorpresa, ma forse neppure troppo, il giorno seguente si la nota volatile sembra meno invadente, cresce il frutto e fa capolino qualche accenno di speziatura. In parole povere, migliora nettamente.

Degno di elogio l’uscire sul mercato oggi con un 2004 ad un prezzo decisamente abbordabile, considerato il lungo affinamento.

Il mio giudizio personale è quello di una discreta bottiglia, che vorrebbe essere estremamente personale (come si usa dire oggi con una frase che odio cordialmente, “interpretando il terroir”), ma manca proprio proprio nell’intento della unicità, a causa del relativo appiattimento dell’olfattivo.

Questa perplessità su una relativa mancanza di identità dei vini la riscontrerò più o meno anche nelle altre tipologie prodotte e di cui conto di scrivere in seguito, mano a mano che berrò quanto comperato: in generale, stappi e pensi che si tratta di un vino naturale ed è molto riconoscibile la mano di Armani (intesa come scuola); il mio timore è che la metodologia produttiva utilizzata per sfuggire alla omologazione dei tanti vini “perfetti” e “comuni”, risulti in questo caso estremamente (troppo?) caratterizzante.

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