Crémant de Loire Cuvee Jean & Jacques, Moulin de l’Horizon

Sono stato per la seconda volta al Salon des Vignerons a Cagnes -sur-Mer, forse non una delle fiere vinicole più note agli italiani, ed è un peccato: intanto si svolge in Costa Azzurra, che è sempre una bella destinazione per un fine settimana, specie in un periodo non vacanziero, quando non c’è grande affollamento, e poi perché certo è un salone dove ci sono i vini (tantissimi, francesi, ça va sans dire) ma c’è anche moltissima gastronomia.
Non essendo ancora riuscito a capire quale sia la logica della disposizione degli espositori, il risultato è che sono stato costretto a girare nei due padiglioni un po’ a casaccio, favorendo le scoperte interessanti.

Se lo scorso anno avevo fatto il pieno di Champagne, questa volta mi sono dedicato a vini a me meno noti, tra cui in particolare roba proveniente dalla zona del Rodano, visto che nei giorni successivi avevo in programma un viaggio da quelle parti. Ma di questo parlerò in un prossimo post.

Sorprendentemente, uno dei vini della giornata è stato questo Crémant de Loire: i Crémant sono denominazioni in Italia ben poco praticate, oscurate a destra dallo Champagne e a sinistra dagli spumanti autoctoni. Lungi da me conoscerne una quantità adeguata per poter tracciare un panorama sensato (oltretutto si spazia tra Alsazia, Loira, Borgogna, Limoux eccetera, persino fino al Lussemburgo, quindi con diversità enormi nelle varie tipologie), ma se la media fosse del livello di questa bottiglia ci sarebbe da gridare al miracolo, anche e soprattutto in relazione al prezzo.

Della azienda Moulin de l’Horizon, situata a Puy-Notre-Dame, con 30 ettari nel cuore della AOC Samour, so poco o nulla, avendo scambiato solo due parole al volo col produttore durante il salone.

Al sodo: si tratta di un assemblaggio per metà Chenin e per metà Chardonnay, che per quel che importa, ha vinto la medaglia di bronzo al Concours des Vins des Vignerons Independants del 2015.

Denominazione: AOC Crémant de Loire
Vino: Cuvée Jean & Jacques
Azienda: Moulin de l’Horizon
Anno: –
Prezzo: 9 euro

L’aspetto è un paglierino tenue, con una bollicina bella continua, fitta e sottilissima, che in bocca si rivelerà vivace ma non puntuta, mentre la fase olfattiva è decisamente intesa per un metodo classico, con molto floreale difficile da identificare, e una scia di anice.

La bevuta è di piacevole pienezza, vivacizzata appunto dalle bolle mai fastidiose e dalla acidità garbata. I toni aggrumati, di pompelmo in particolare, accompagnano il buon equilibrio generale: è un vino piuttosto semplice ma di grande piacevolezza, senza spunti di eccellenza (certo non c’è infinita lunghezza, e una certa morbidezza spunta ogni tanto) ma non posso non definirlo banalmente molto buono.

E’ l’ennesima conferma della grande qualità media dei vini francesi, che con un “semplice” cremant da 9 euro si permettono di tener testa a tanti metodo classico italiano di ben altro prezzo.

Il bello: ottimo aperitivo, prezzo imbattibile
Il meno bello: nulla da segnalare

Articoli correlati:

Viogner 2012, Château Beauchêne

La breaking news è che sono stato qualche giorno in Francia, per una visita veloce alla zona di produzione del Rodano di cui vi parlerò in seguito.

Durante il viaggio sono entrato un una piccola enoteca a Châteauneuf-du-Pape, avendo occhieggiato all’interno una degustazione; definire caratteristica l’ambientazione è riduttivo: siamo in ottobre inoltrato, è domenica mattina e il paesino (si contano circa 2600 abitanti) è piuttosto freddo e avvolto nella nebbia; più o meno tutti i negozi sono chiusi e in questo negozietto scorgo meno di una decina di francesi col bicchiere in mano davanti ad un bancone peno di bottiglie aperte.
A “condurre la degustazione”, come direbbero i colleghi sommelier, non c’è un tizio incravattato e con padellino al collo ma una vecchina piccola e storta, immagino la padrona del negozio, che con modi assai sbrigativi sbicchiera agli astanti. Accanto, su una vecchia botte, diversi piattini di salumi e formaggi… Come potevo perdermi l’assaggio?

E’ così che ho scoperto questo vino buonissimo, interamente a base Viognier, fermentato e affinato in barrique (ma non si sente), prodotto da una azienda per nulla blasonata e a me sconosciuta, ed è così che mi è stata ribadita per l’ennesima volta la grandezza della enologia Francese, che può vantare una qualità media (lasciamo perdere le vette di eccellenza) sicuramente invidiabili.

vin_81Denominazione: Côtes du Rhône
Vino: 100% Viognier
Azienda: Château Beauchêne
Anno: 2012
Prezzo: 12 euro

Il colore è compatto, giallo dorato, limpido, e gli aromi sono di frutta tropicale (mango, ananas), intensi ma non pesanti: ci sono sempre un accenno viola e una punta di minerale a pulire l’olfatto dalla stanchezza.
L’assaggio è molto sapido, caldo, di buon corpo e gran profondità; avvolge e riempie il cavo orale dove torna il tropicale che si annuncia come una vera spremuta: una roba che detta così è un mattone tremendo, ma invece i guizzi salini e alcolici riescono sempre ad equilibrare un vino che sulla carta sembra esagerato, e invece in bocca (pur molto pieno) resta godibile e tutto sommato persino agile e piuttosto lungo.

Dovessi definirlo parlerei di gusto mediterraneo, inteso non come accade ad esempio con i vini delle Cinque Terre che alimentano ricordi di macchia mediterranea e di mareggiata, ma come un liquido solare, luminoso e intenso come la luce del cielo della Provenza.

In quanto all’uso, mi viene da pensare ad un vino universale: persino da antipasto se ben rinfrescato, ma capace al meglio di reggere tranquillamente formaggi di media stagionatura e altre pietanze discretamente strutturate. L’aromaticità può far pensare anche ad abbinamenti con cibi speziati, orientali.

Il bello: la pienezza e l’intensità mai pesanti
Il meno bello: la scarsa reperibilità, perlomeno in Italia

Articoli correlati:

Le vieux clos 2009, Nicolas Joly

Nicolas Joly è ormai qualcosa di più di un (bravo) vignaiolo della Loira: su di lui tanto si è scritto e detto, anche perché in questi ultimi anni altrettanto si è parlato di biodinamica, pratica di cui Joly è considerato uno dei guru e di cui è da sempre carismatico divulgatore.
Da parte mia, ho esplicitato Il mio pensiero su questa metodologia in un vecchio post, quindi è inutile ripetermi, e d’altro canto a me poco importa se quel che bevo è stato ottenuto usando il cornoletame o la temperatura di fermentazione controllata, i lieviti selezionati o il diserbo meccanico… tutto molto interessante, eh, ma quel che conta davvero è poi il bicchiere…

Siamo dunque all’interno della denominazione Savennières, circa 150 ettari sul lato destro della Loira, dove domina lo chenin blanc, vitigno dalla rilevante acidità, tanto interessante quanto sottovalutato, forse anche perché usato in tutto il mondo in produzioni spesso intensive e poco qualitative.

Oltre al mitizzato Coulèe de Serrant (che personalmente non ho mai avuto modo di assaggiare, intimorito dalla micidiale accoppiata di prezzo importante abbinato a rilevanti alti e bassi di qualità), Joly vinifica un second vin a denominazione Savennières: Les Vieux Clos; ecco, questo l’ho bevuto un paio di volte da millesimi diversi e, con le dovute differenze, entrambe le occasioni hanno avuto il denominatore comune di un miglioramento costante ed estremamente rilevante delle qualità organolettiche dal momento dell’apertura sino al giorno seguente.

Joly_Vieux_Clos_SavenierresDenominazione: AOC Savennières
Vino: Les Vieux Clos
Azienda: Nicolas Joly
Anno: 2009
Prezzo: 30 euro

Quello che ho avuto stavolta nel bicchiere: vino color oro, lucente e abbastanza fluido, che olfattivamente parte male, con accenni di zolfo.
L’etichetta dice di decantare, a me non va e preferisco aspettare e spillare qualche sorso ogni qualche ora.
Dopo mezza giornata la musica cambia: lo zolfo è scomparso e finalmente domina una albicocca matura, fine e decisa, frammista a fiori gialli e pietra focaia. Bellissimo

il sorso è sorprendente: dato il punto cromatico, gli aromi e l’alto grado alcolico, immaginavo di trovare un vino pericolosamente in bilico, pronto a scivolare nello stucchevole; invece scalda, si, ma vibra di acidità e scorre veloce, accompagnato da un lunghezza rimarchevole.

Sicuramente un vino da non mortificare con una temperatura di servizio troppo bassa: i 14 gradi indicati in etichetta sono corretti, ma se si sbaglia per difetto non si fa nulla di male, anzi… Altrettanto certamente è una bottiglia di difficile abbinamento: la freschezza notevole unita alla ottima persistenza e alla intensità dei sapori esigerebbero un cibo complesso, di buona struttura e magari con una certa aromaticità, ma il problema vero è la necessità di stappare con ore di anticipo e soprattutto di seguire il vino nella sua evoluzione. Alla fine forse è meglio gustarlo in splendida solitudine, magari con qualche grissino e pezzetti di formaggio, in accompagnamento ad una giornata di pigrizia.

Il bello: ricco, cangiante, profondo, personale

Il meno bello:  poco facile da reperire; necessità di stappare ore prima del consumo

Articoli correlati:

Champagne Oeil de Perdrix, Jean Vesselle

Che succede quando il tuo spacciatore di alcol di fiducia si procura nuove bottiglie bollicinose di piccoli produttori francesi, classificati come RM?

Ovvio: le provi una alla volta, perlomeno quelle economicamente abbordabili, possibilmente senza prima informarti su blog, siti aziendali e modernerie varie, in modo da non rovinarti la sorpresa.

Quindi via alla cieca: non conosco nulla del produttore, tantomeno del vino che andrò ad assaggiare: esiste qualcosa di più divertente?

Lo stappo e inizia lo stupore: si nota una inusuale sfumatura ambrata, delicata, un accenno di buccia di cipolla; ma accidenti, in etichetta non si parla di rosé (e difatti la tinta è troppo debole per ricadere nella tipologia)…
Temo il difetto, ma il tappo è a postissimo e il naso non rivela alcun allarme, così come l’assaggio.

Vado finalmente a sbirciare sul sito e mentre scrivo il nome mi viene un sospetto: vuoi vedere che lo hanno chiamato in questo modo proprio per la tinta? Ovvio che è così: il nome deriva dalla sfumatura colorata, donata dalla pressatura dell’uva nera (per la cronaca: pinot nero 100% e dovevo aspettarmelo, visto che siamo a Bouzy, tradizionalmente “capoluogo” di questo vitigno nella regione dello Champagne).

E’ proprio online che il produttore racconta la storia, chissà quanto vera, di questo vino come di un recupero della tradizione.
Non ho modo di verificare, ma per sommi capi si dice che agli inizi del ventesimo secolo, nella zona in questione,  tutti i vini ottenuti da pinot nero avevano una sfumatura ambrata e per questo erano chiamati “occhio di pernice”.
Sarebbero state poi le grandi maison a decidere che gli champagne dovessero ricadere nelle tipologia “blanc” o “rosé” e non in qualcosa di intermedio, ma la cancellazione del cenno rosato avrebbe anche eliminato parte di aromi, tanto che Jean Vesselle,nel 1972, dopo aver ritrovato murate in cantina alcune bottiglie vinificate alla maniera tradizionale, sarebbe rimasto così colpito dal colore e dalla pienezza degli aromi da decidere di riprendere la produzione con questa modalità.

Oeil de Perdrix, Jean VesselleDenominazione: Champagne BRut
Vino: Oeil de Perdrix
Azienda: Jean Vesselle
Anno: –
Prezzo: 30 euro

Detto del colore, proseguiamo con una bolla estremamente copiosa, ma che non aggredisce grazie alla sua finezza. Il naso richiama principalmente la frutta: agrume, mandarino e qualche accenno ai canonici (per il vitigno) piccoli frutti rossi, poi una leggera scia di corteccia bagnata. Nel complesso, buona l’intensità, anche se il tutto è magari un po’ semplice.

L’assaggio è equilibrato, l’acidità c’è senza strafare, mitigata dal dosaggio garbato (6 g/l). Il finale non è lunghissimo e presenta un minimo accenno amaro (che il giorno seguente mi sembra scomparso o che perlomeno avverto molto meno) che non impreziosisce la bevuta.

Sgomberiamo il campo: non siamo di fronte ad un capolavoro, ma sicuramente si tratta di un buon vino, oltretutto capace di fare “storia a sé”, incuriosendo per la sua tipologia peculiare.

Il bello: bel colore, bevuta semplice e gradevole

Il meno bello: nulla che spicchi particolarmente

Articoli correlati:

Champagne Sublime Brut Grand Cru 2002, Le Mesnil

Sarò breve: non ho praticamente alcuna notizia riguardo questo blanc de blancs e il relativo produttore: mi pare di aver capito si tratti di una sorta di cantina cooperativa di Le Mesnil (quindi operante in territorio Grand Cru), che sforna circa 100.000 bottiglie  l’anno.

Il vino in questione, sempre al netto di miei errori, non fa malolattica e sosta almeno 72 mesi sui lieviti.

Denominazione: Champagne
Vino: Sublime Grand Cru Blanc de Blancs
Azienda: Coop. Le Mesnil
Anno: 2002
Prezzo: 45 euro

Giallo paglierino pieno, brillante, con bolle fitte, numerose, e catenelle continue che si riveleranno poi delicate sul palato.
L’olfattivo è intenso, ricco, sfaccettato: dal floreale bianco e fresco, alla intensa panificazione, passando per anice e cera. Potente ed elegante.

L’assaggio è sapido e freschissimo, perfettamente equilibrato da un dosaggio discreto, ottimamente gestito. L’ingresso è pieno e vigoroso ma scattante, con finale caldo e lungo senza alcun accenno di amarezza.

Ovviamente maturo, ma capace ancora di lunghe attese; l’unico timore è la bolla: non vorrei che col tempo diventasse troppo esile.
Grande vino, universalmente adeguato ad ogni occasione, che sia aperitivo o tutto pasto poco importa.

Il bello: ricco, complesso ma gradevolissimo da bere
Il meno bello: praticamente irreperibile

Articoli correlati:

La Lune 2009

Per dirla chiara e senza ombra di dubbio: non conoscevo nulla del Domaine de la Sansonniere, di Marc Angeli e di questo La Lune, sapevo solo di voler bere uno Chenin Blanc…

Quello che ho capito sbirciando a destra e a manca, è che Marc Angeli, influenzato dalla sua amicizia con Nicolas Joly, ha rilevato i 12 ettari di questa tenuta nella Loira a fine anni 80, facendone la realizzazione delle sue idee radicali: in pratica il Domaine è quasi autosufficiente sia dal punto di vista energetico che da quello del ciclo produttivo, e i vini sono distribuiti sotto il cappello di Triple A Velier, dunque associati a tutto il corollario bio-naturale proprio della sigla in questione: nessuna aggiunta di solforosa, nessuna chiarifica e filtrazione, nessun diraspamento eccetera.

L’intransigenza di Angeli si evince forse maggiormente facendo notare il volontario declassamento dei suoi prodotti dalla nota AOC Anjou alla ben poco prestigiosa dicitura ‘Vin de Table’, in segno di protesta contro il mancato intervento delle Denominazioni nella riduzione dei pesticidi.
“La Lune” è uno dei suoi vini più noti e discussi, a quanto pare a causa di una certa incostanza di risultati non difficile da immaginare, vista la metodologia di produzione: io ho assaggiato il millesimo 2009.

La LuneDenominazione: Vin de Table
Vino: La Lune
Azienda: Domaine de la Sansonniere
Anno: 2009
Prezzo: 35 euro

Il colore indica chiaramente un vino giovane, l’olfattivo è intenso e completo: c’è tutto, e tutto è cangiante, all’apertura un tocco dolce di miele (poi scomparso), poi dal floreale alla albicocca disidratata, da una leggera pungenza dell’alcol alla frutta macerata.

Entra caldo, decisamente secco, con acidità stellare ma soprattutto sapido; forte, ma dal corpo abbastanza snello, che non riesce a mascherare del tutto i 13 gradi.
Decisamente giovanissimo e pieno di carattere, soprattutto lunghissimo e facile da bere.

Il bello: la grande complessità e la lunghezza
Il meno bello: il prezzo, la reperibilità e, temo, la costanza delle annate

Articoli correlati:

Champion Grand Cru Blanc de Blancs, 2004

champion

Ancora una volta bolle, ancora una volta Champagne, stavolta prodotto da un vigneron di stanza a Chouilly, nella Côte des Blanc: Roland Champion.
La famiglia Champion vinifica da tre generazioni e coltiva 18 ettari ricavandone circa 80-90.000 bottiglie suddivise in varie tipologie, tra le quali questo Grand Cru millesimato (un classico Blanc de Blancs, quindi 100% Chardonnay con disaggio di 6 grammi per litro e ben otto anni di affinamento sui lieviti) è una delle eccellenze.

championDenominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Blanc de Blancs 2004
Azienda: Roland Champion
Anno: 2004
Prezzo: 31 euro

Bel colore giallo paglierino con ancora vibranti riflessi verdolini, certamente non si direbbe un vino con nove anni sulle spalle. Il perlage è finissimo, continuo e molto abbondante.
L’olfattivo è intenso, ricco, con evidenti richiami di panificazione, nocciolina, burro e poi fiori bianchi, anice e un accenno lievissimo ed elegante di mielato-ossidato.

In bocca la bolla si conferma fine ma ben viva e cremosa.
L’acidità è stellare e la sapidità quasi al medesimo livello; è intenso, coerente con quanto evidenziato all’olfattivo, entra potente e poi si conferma con una buona lunghezza.

Bella bevuta, l’unico difetto è una certa monotonia in bocca, manca la progressione che conduce alla complessità, lo scatto finale: chissà se su questo fronte possa migliorare attendendolo ancora? Infondo la struttura c’è…

Il bello: Grandi acidità e sapidità, buon olfattivo
Il meno bello: Manca l’evoluzione, si avverte una certa fissità/monotonia al gusto-olfattivo

Articoli correlati:

Saint Aubin 1er cru En Remilly 2007, Marc Colin et Fils

La Borgogna è lontana, chilometricamente ma anche e soprattutto economicamente: i prezzi dei grandi Pinot nero e Chardonnay sono quasi sempre inarrivabili per noi comuni mortali, e, perlomeno nella mia esperienza, talvolta capita che se si cerca di rovistare a casaccio nelle produzioni minori si finisca per incappare in solenni delusioni, spendendo comunque cifre non banali.

Non è il caso di questo Saint-Aubin (certo non regalato ma vivaddio ancora nel range delle umane possibilità) proveniente da Marc Colin ed Fils, azienda di buon nome che coltiva 19 ettari e produce una vasta gamma di denominazioni, molte delle quali di gran prestigio.

Le circa 14000 bottiglie con questa etichetta sono prodotte con uve provenienti da viti piantate dal 1970 al 1990 su suolo argilloso-calcareo esposto a Sud-Ovest, con vinificazione e successivo affinamento effettuati in fusti di rovere.
Il vigneto è considerato il più prestigioso di Saint Aubin, anche perché una parte di esso prosegue a Sud-Ovest nella più rinomata denominazione Chassagne-Montrachet.

Denominazione: Saint-Aubin
Vino: En Remilly 1èr cru
Azienda: Domaine Marc Colin et Fils
Anno: 2007
Prezzo: 35 euro

Saint AubinVisivamente molto giovane, giallo paglierino con riflessi verdolini, ma la parte più interessante è l’olfattivo intenso ed estremamente particolare, con un gran buquet di fiori, in particolare la ginestra, ma ci sono mille sfaccettature fini, e una distinta mineralità che con i minuti evolve in speziatura. Da perderci le ore annusando, tanto è cangiante.

Il sorso è tesissimo, con acidità alle stelle  e sapidità direttamente in scia, ma l’intensità del gusto e il buon calore riescono a bilanciare le sensazioni, rendendolo facile da bere, quasi senza far notare di avere davanti un vino di notevole importanza.
C’è lunghezza, ma non infinita.

Ancora giovane, ma è un gran bel bere nonostante sia ancora orientato alle durezze: di certo posso lo immagino fantastico in un paio di anni da ora.

Articoli correlati:

Chablis Chateau de Viviers 2011, Lupé Cholet

Denominazione: Chablis
Vino: Château de Viviers
Azienda: Lupé Cholet
Anno: 2011
Prezzo: circa 20 euro

Sarò telegrafico: conosco poco o nulla della azienda, se non quello che vedo sul sito (si dichiarano vendemmia meccanizzata e vinificazione in acciaio con controllo della temperatura).
Il vino lo avevo comperato questa estate in Borgogna dopo un assaggio particolarmente piacevole, soprattutto per me che non sono un grande conoscitore e amante dello Chablis.
Ne avevo prese due bottiglie, e quella bevuta qualche mese fa non mi aveva affatto soddisfatto; stasera ho riprovato con la seconda e anche stavolta ho seri dubbi.

Colore poco pronunciato, giallo molto tendente al verdolino, si sente però una certa consistenza facendolo roteare.
Olfattivo abbastanza intenso, citrino, di agrumi e di frutta acerba in genere, un tocco di anice e una percettibile mineralità (gesso?). Naso elegante, direi che è la fase migliore di questo vino.
Ingresso in bocca freschissimo, grazie ad acidità quasi tagliente, poi mineralità, ma in chiusura arriva un sentore verde (erba falciata) troppo percettibile.
Non male la lunghezza.

Alla bevuta odierna sembra un vino magari piacevole (se servito a bassa temperatura come aperitivo), ma decisamente troppo giovane, e la cosa è curiosa in quanto non si tratta di un 1er Cru o di un Grand Cru, ma di un prodotto tutto sommato abbastanza semplice, che il produttore stesso dichiara adatto ad un invecchiamento massimo di 3-5 anni.

Resta da capire cosa diavolo avessi sentito quando lo ho assaggiato in Francia…

Articoli correlati:

Le loro maestà: impressioni varie

Buon ultimo tra i vari blog, propongo il mio commento su “Le loro maestà“, importante manifestazione giunta alla seconda edizione (per parlare come i tizi che redigono i comunicati stampa).

Le loro maestàIl succo della faccenda: presentare una panoramica di produttori langhetti e borgognoni, cercando di fornire una prospettiva quanto più completa possibile sulla “nobiltà” dei vitigni Pinot nero e Nebbiolo: in pratica 50 cantine, equamente divise tra Italia e Francia, hanno presentato per l’assaggio uno o due vini ciascuno, simbolo della loro produzione.

Manifestazione magniloquente (non vorrei definirla “sborona”, ma insomma…) sia dal nome “maestoso”, che per ubicazione (l’Agenzia di Pollenzo, dove risiedono anche l’università di Slow Food e la Banca del Vino), la teutonica macchina organizzativa (hostess precisissime e cortesi, guardardaroba all’ingresso, abbondanza di bottiglie d’acqua gassata e naturale e ottimi grissini nella sala di degustazione) e, ovviamente, per il prezzo allineato o forse persino superiore alle aspettative (80 euro!).

Le loro MaestàSolite sensazioni per il tipo di manifestazione che ormai, come da consuetudine, io definisco “drink-porn”: come altro puoi chiamarla, quando paghi per abbuffarti per una giornata intera di una messe infinita di vini, che ovviamente assaggerai e sputerai invece di approfondirli, gustarli, abbinarli ad una pietanza? E’ pornografia enoica: ti perdi in mille abbracci che ricambi solo per un istante, goloso di tuffarti tra altre braccia sempre nuove solo perché puoi e non perché hai qualcosa di ricambiare.
Ma tant’è, consapevole dei limiti della formula, ogni tanto mi piace indulgere in queste perversioni…

La cronaca: sveglia al mattino presto per essere a Pollenzo fin dall’apertura, in modo da dedicare la mattina alla Francia, fare una pausa per il pranzo, poi rientrare per gli italiani e riuscire ad avere un adeguato tempo di decompressione prima del ritorno a casa in auto.
Programma rispettato a dispetto delle temperature polari (-7.5 sulla Torino-Savona alle 9.30 del mattino!).

Mentirei se dicessi che conoscevo più del 10% dei francesi e più del 40% degli italiani, se non per averne letto le ragioni sociali in siti, libri, opuscoli eccetera, e altrettanto sarei presuntuoso se affermassi di essere essere stato capace di capire la filosofia e la qualità di 50 aziende nello spazio di poche ore.
Le loro Maestà 2Per questo, come sempre in queste occasioni, mi limito a qualche cenno su quello che ho trovato più gradevole o interessante in quell’istante, senza volerne fare classifiche di merito e neppure tagliare dei giudizi centesimali che sono quanto mai distanti dal mio modo di frequentare il vino.

Ecco quindi qualche impressione veloce e minimale.
Per quanto riguarda i francesi segnalerei il Clos de la Roche Grand Cru 2002 di Remy: note terziare, tannino presente ma delicatissimo, lungo e cangiante in bocca; il Nuit-Saint-Georges 1er Cru Les Damodes 2007 di Olivier: molto personale, con accenno di medicinale e bella freschezza; il Pommard 1er Cru Grand Clos des Epenots 2009 di De Courcel: si distingue per corpo, potenza e tannino mantenendo equilibrio ed eleganza; il Volnay 1er Cru Santenonts du Milieu 2005 di Comtes Lafon: forse il naso più bello, intenso, ricco della manifestazione.
Segnalazione a parte per i vini di Guillon, che si scostavano dagli altri per concentrazione superiore, sia nel colore che in bocca, il produttore sostiene a causa delle lunghe vinificazioni.

Per gli italiani: bello intenso, vivo, vibrante il Barolo Fossati 2006 di Enzo Boglietti; tannino alle stelle per il Barolo Bricco Boschis Vigna San Giuseppe 2006 di Cavallotto; piacevolissimo e corredato da una bella spezia il Barbaresco Rabajà 2009 di Giuseppe Cortese; fine, delicato e complesso, con accenni interessanti di evoluzione il Barbaresco Camp Gros Martinenga 2004 Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Gresy; molto personale ed elegante il Lessona Omaggio a Quintino Sella 2006 di Tenute Sella.
Un punto interrogativo grosso per il Barolo Bricco Gattera 2005 di Cordero di Montezemolo: al naso si avvertiva netta la banana!

In generale, è stato molto più semplice gestire l’assaggio dei vini francesi, che grazie alla minor potenza e soprattutto al minor tannino, hanno consentito al mio palato di restare reattivo e concentrato più a lungo.

Alcune osservazioni.
Molti i grandi nomi presenti, ma altrettanti ne mancavano, e degli intervenuti ben pochi hanno portato millesimi più affinati degli ultimi disponibili: dato il prezzo di ingresso credo che si potesse fare uno sforzo per avere maggiore profondità di annate; la cosa ha penalizzato in particolare i vini piemontesi, che in molti casi ho trovato ancora estremamente duri.
Ancora, la manifestazione era a numero chiuso: ne sono certo perché al sabato i biglietti risultavano esauriti in prevendita; nonostante questo, in alcuni momenti della giornata la calca era non insostenibile ma certamente fastidiosa; sarebbe stata augurabile una sala più spaziosa.

Infine, vorrei spendere una parola di elogio per la trattoria Savoia: al momento del pranzo abbiamo deciso di fare qualche metro e siamo entrati questo bar / tabaccheria di Pollenzo, che nel retro propone un piccolo ristorante. Cucina semplice e tradizionale, con materie prime di buon livello, porzioni devastanti per quantità e prezzi da incredulità generale. A completare lo stupore, servizio tranquillo e gentilissimo. Davvero complimenti: il locale che vorrei avere sotto casa.

Articoli correlati: