Solleone 2011, Tenuta Grillo

A volte ritornano, e infatti dopo due anni ho nuovamente bussato a casa di Igea e Guido Zampaglione per riprovare qualcuno dei loro vini; nella fattispecie è toccato ad una bottiglia davvero curiosa, almeno per chi come me non crede troppo nelle potenzialità di certi vitigni internazionali nel Monferrato, in particolare per il Sauvignon, che ritengo un oggetto da maneggiare con le pinze.
Mi spiego: la particolare (e robusta) aromaticità del vitigno, soprattutto in climi caldi, rischia di partorire vini estremamente caratterizzati, stucchevoli e faticosi da bere, insomma caricature di quegli esempi di eleganza che provengono da certi produttori della Francia…

Questo Solleone è dunque la particolare interpretazione del Sauvignon da parte di Guido, che aggredisce il frutto con 60 giorni di macerazione(!) e due anni di affinamento sui sedimenti.

tenutagrillo_solleoneDenominazione: Monferrato bianco
Vino: Solleone
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2011
Prezzo:15 euro (in azienda)

Sessanta giorni di macerazione, dicevamo, e si sentono, ma per fortuna neppure troppo, nel senso che visivamente il liquido è giallo oro antico, compatto, luminoso, solcato da appena un velo di residuo, mentre l’olfatto racconta di erba di campo, fiori di camomilla, frutta matura ma non cotta o surmatura, e di un inusuale accenno a metà tra liquirizia e balsamico.
Il tutto accompagnato da un vago accenno di volatile che, lungi dal mortificare la bevuta, esalta lo spettro aromatico, mentre il sorso pieno e fresco nasconde alla grande i 13.5 gradi e chiude molto lungo, lasciando sul palato un accenno di tannino

Di sicuro l’abbinamento non è semplice, soprattutto se non si vuole ricorrere agli scontati formaggi… magari sarebbe da provare con una brandade di baccalà, e la temperatura di servizio è necessariamente da cantina o anche poco più.

Il vino è piacevole, ma a me resta un dubbio più “filosofico” (vabbè, non esageriamo) che degustativo: chi, alla cieca, direbbe trattarsi di un Sauvignon? Chi ne azzarderebbe la provenienza dal Monferrato?  Secondo me, molto pochi.
Per qualcuno, in tempi in cui si abusa di discorsi su territorialità e rispetto del frutto, questi possono essere limiti non da poco.

Il bello: lunghezza, aromaticità gradevolissima e tenuta a bada

Il meno bello: abbinamento complesso

Articoli correlati:

Percoranera 2004, Tenuta Grillo

Si dirada il caldo estivo, finalmente torna la voglia di vino rosso e possiamo riprendere gli assaggi dei prodotti di Tenuta Grillo.
Se le puntate precedenti avevano riguardato il Tornasole e Baccabianca, oggi è il turno del Pecoranera, un blend di Freisa (principalmente), Dolcetto, Barbera e Merlot, vinificato con la consueta metodologia aziendale: lieviti autoctoni, lunghe macerazioni, nessuna filtrazione.

Tenuta-Grillo-Pecoranera-280x280Denominazione: Monferrato DOC
Vino: Pecoranera
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2004
Prezzo: 16 euro

Subito si rivela di aspetto invitante: rubino pieno, intenso, ben vivo e luminoso.
Al primo giorno naso esce prepotente un fruttone rosso maturo, accompagnato da leggeri etereo, alcol e smalto, che si mostrano un pochino invadenti. C’è un accenno puzzetta (riduzione?).

La bocca è calda, con ingresso peno che prosegue corposo, e una bella freschezza acida coerente col colore: difficile pensare di trovarsi di fronte ad un millesimo 2004.
Il tannino c’è, ma è un po’ sfocato, confuso, polveroso. Discreta la lunghezza.

Memore di quando avvenuto con gli altri vini di Tenuta Grillo, lascio da parte mezza bottiglia per proseguire gli assaggi il secondo giorno: l’olfattivo è nettamente migliorato, è del tutto scomparsa la puzzetta ed è praticamente inavvertibile l’etereo; resta un bel frutto maturo con un accenno balsamico. Non si modifica invece la percezione del tannino.

Una bottiglia interessante, magari non particolarmente complessa ma sicuramente piacevole e probabilmente adatta ad un ulteriore invecchiamento. Alla luce dell’assaggio, non ho dubbi nel consigliare l’apertura il giorno precedente o comunque molte ore prima della bevuta.

Il bello: facilità di bevuta, prezzo interessantissimo dato l’invecchiamento
Il meno bello: la necessità di stappare con molto anticipo

Articoli correlati:

Tenuta Grillo: Baccabianca 2006

Secondo assaggio per le bottiglie comperate durante la mia visita presso Tenuta Grillo.
Rimando al post precedente per le considerazioni generali e passo subito a raccontare il vino: stavolta si tratta del Baccabianca, un “orange wine” prodotto da Cortese in purezza, lieviti indigeni, senza filtrazione (e si vede) e con lunga macerazione (oltre un mese, mi pare di ricordare, e si vede e si sente).

BaccabiancaDenominazione: Vino da Tavola
Vino: Baccabianca
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2006
Prezzo: 16 euro

“Orange”, dicevamo: ed in effetti è ambrato, leggermente velato, opalescente.
Portandolo al naso si avvertono una leggerissima volatile (ma è solo un cenno di freschezza), il caramello e una punta di ossidazione (ossidazione “nobile”, se mi è concesso, nel senso che non è fastidiosa, ma aggiunge complessità), accompagnati da floreale ed erbaceo così delicati da risultare inattesi in un vino dall’aspetto non certo gentile.

In bocca è estremamente intenso, ci sono calore, buona freschezza e sapidità, e si avverte una tannicità abbastanza rilevante per un vino bianco, per quanto macerato.
Buon corpo e finale lungo, ma un filo monocorde, come del resto un po’ tutta la bevuta di un vino sicuramente interessante, rustico ma piacevole da bere, cui manca forse uno spunto di dinamismo, di mutevolezza.

Data la struttura non banale e la stoffa non fine, consiglio un abbinamento con cibi non troppo delicati: nel mio caso ha funzionato bene con un vitello tonnato dalla salsa fin troppo “strong”. Raccomando di non servirlo freddo, in modo da non indurire il tannino.

Il bello: intensità di sapore, per nulla banale
Il meno bello: sorso un po’ monocorde

Articoli correlati:

Tornasole 2004, Tenuta Grillo

Avevo assaggiato qualcosa di Tenuta Grillo in varie manifestazione ma non avevo mai approfondito granché, così, visto che ero in zona, il mese scorso ho visitato la cantina in modo da avere una panoramica più completa dei vini proposti.

Prima di descrivere il Tornasole, qualche accenno sulla azienda. Dopo qualche difficoltà di orientamento (ragazzi, inserite un Google Maps sul sito, please…), sono stato ricevuto dalla gentilissima Igea, torinese, co-titolare della azienda e moglie di Guido Zampaglione, campano emigrato al nord per cercare un territorio adatto alla sua idea di vino, territorio finalmente trovato in 32 ettari (di cui 17 vitati) a Gamalero, vicino ad Alessandria.

La filosofia aziendale, chiaramente influenzata dal maestro di Guido, quel Giulio Armani direttore di produzione de La Stoppa e lui stesso vigneron (Denavolo), è improntata al movimento dei cosiddetti “vini naturali” (minimo interventismo in vigna e in cantina, macerazioni, lunghi invecchiamenti, no alla solforosa eccetera), e lavora un territorio pianeggiante e sabbioso, situato a circa 200 metri di altitudine.

Tornasole

Denominazione: Vino da Tavola
Vino: Tornasole
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2004
Prezzo: ? (comperato in azienda assieme ad altre bottiglie, dovrebbe essere sui 15 euro ma potrei sbagliare)

Abbastanza curiosa la scelta di coltivare e vinificare il Merlot, visto che normalmente i pasdaran del naturalismo rifuggono i vitigni internazionali come la peste, ma a me la scelta mette simpatia per il suo andare controcorrente.

Colore rubino ben vivo e concentrato, con l’unghia che vira addirittura ad accenni porpora: grande dimostrazione di giovinezza per un 2004. Accenno di riduzione all’apertura, che fortunatamente svanisce dopo qualche minuto, lasciando spazio ad un olfattivo intensamente dominato da una volatile francamente al limite (e lo dice uno a cui solitamente non disturba…), tanto da coprire i più canonici descrittori di frutta rossa matura e sotto spirito. Un naso che da principio sembra vivace, ma poi non evolve e resta abbastanza monocorde.

In bocca è secco, caldo e morbido, con una buona spinta acida e un tannino leggermente sfocato. C’è corpo, e il vino risulta decisamente pieno e polposo, intenso e anche equilibrato; chiusura non troppo lunga e con un accenno amaro, che mi ricorda il caffè, un po’ fuori posto. Sicuramente meglio in bocca che al naso, dà l’idea di poter migliorare con ulteriore invecchiamento.

Quanto sopra è il resoconto del giorno in cui è stato stappato; a sorpresa, ma forse neppure troppo, il giorno seguente si la nota volatile sembra meno invadente, cresce il frutto e fa capolino qualche accenno di speziatura. In parole povere, migliora nettamente.

Degno di elogio l’uscire sul mercato oggi con un 2004 ad un prezzo decisamente abbordabile, considerato il lungo affinamento.

Il mio giudizio personale è quello di una discreta bottiglia, che vorrebbe essere estremamente personale (come si usa dire oggi con una frase che odio cordialmente, “interpretando il terroir”), ma manca proprio proprio nell’intento della unicità, a causa del relativo appiattimento dell’olfattivo.

Questa perplessità su una relativa mancanza di identità dei vini la riscontrerò più o meno anche nelle altre tipologie prodotte e di cui conto di scrivere in seguito, mano a mano che berrò quanto comperato: in generale, stappi e pensi che si tratta di un vino naturale ed è molto riconoscibile la mano di Armani (intesa come scuola); il mio timore è che la metodologia produttiva utilizzata per sfuggire alla omologazione dei tanti vini “perfetti” e “comuni”, risulti in questo caso estremamente (troppo?) caratterizzante.

Articoli correlati: