Terroir Vino 2013: basta che non sia l’ultimo

C’è poco da dire, Terroir Vino è il mio appuntamento preferito per quanto riguarda il drink-porn smodato (click qui per spiegazioni sulla definizione); confesso di essere mosso da un certo affetto: dopotutto è stata la prima manifestazione enoica cui ho partecipato, la prima in cui sono stato cazziato da un produttore, la prima in cui ho imparato ad usare le sputacchiere…

Al netto delle questioni sentimentali, occorre aggiungere che TV è organizzato bene, benissimo, addirittura per me è l’esempio di come si dovrebbe svolgere un incontro di questo tipo: tanti produttori ospitati in una struttura bella, agibile, spaziosa e fresca, con aree relax dotate di divani, facile da raggiungere in auto (si riesce persino a parcheggiare, pagando salato, ovvio) o con i mezzi, con torte di verdura e panini che girano incessantemente da metà mattina fino a conclusione e con qualche interessante appuntamento collaterale (le Degustazioni Dal Basso) che aiuta a spezzare la serialità degli assaggi.

Su questi fronti, niente di nuovo (per fortuna), se non una leggera brezza di crisi: all’ingresso invece di libricino e penna veniva consegnata solo una mappa, sicuramente erano presenti meno espositori (anche se non saperei quantificare quanti meno), e temo di aver notato anche meno visitatori al pomeriggio, ma potrei sbagliare.
Soprattutto, su vari canali internet mi pare di aver colto momenti di stanchezza (meglio, direi di scazzo) del patron Filippo Ronco, che minaccia di trasformarsi il prossimo anno nel Moloch che sacrifica la sua stessa creatura.

Ecco, al netto dei soliti appunti temo poco interessanti su quanto ho bevuto (mi sono goduto specialmente lo Zero di Pojer & Sandri, che finalmente mi sembra un ottimo vino fatto e finito, lo splendido Pas Dosé di Haderburg, indistintamente tutti gli spumanti di Letrari e quelli per me inediti di Opera, i sempre notevoli Barbaresco dei Produttori e gli idrocarburici Timorasso di Mariotto) e tralasciando i complimenti per la Degustazione Dal Basso cui ho partecipato (“Eroi della Barbera, i luoghi e le persone”, molto interessante, forse solo un filo poco coinvolgente, con tre relatori bravi ed appassionati, ma ad occhio non abituati a parlare e stuzzicare il pubblico), dicevo, a parte tutto quanto sopra, mi preme spendere qualche riga per stimolare Ronco a non sbaraccare un evento che, oltre a non avere pari in Liguria, a mio avviso ha pochi concorrenti tout court).

Ovvio che Ronco farà quello che è più giusto per lui, io non ho idea se i problemi stiano in un entusiasmo diminuito, o siano di natura finanziaria, o forse ricadano nella necessità di focalizzarsi su altri progetti o magari in un po’ tutte queste cose assieme, e dopotutto chi sono io per dare l’egoistico consiglio di non smettere, ma mi permetto di suggerire di cercare collaborazione da parte sia di professionisti che di amatori, magari modificando leggermente la formula per rendere più appetibile l’appoggio di qualcuno dei soggetti interessati. Anche una dimensione minore dell’evento sarebbe accettabilissima, così come capirei un legame più marcato a VGM, sempre mantenendo gli standard qualitativi cui siamo stati abituati.

Insomma, Filippo nun ce lascià!

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Pur patendo ancora i postumi di Pasturana ho inforcato gli occhiali da sole per occultare almeno parte dei disastri alcolici del sabato e, dirigendomi ai Magazzini del Cotone di Genova per Terroir Vino (TV, d’ora in poi), ho detto quello che si dicono quelle signore perennemente a dieta: “vabbè dai, ormai che ho spazzolato tutto il cabaret delle paste è inutile rifiutare anche la meringata. Da domani basta”.

Era la mia terza presenza a TV, finalmente con in tasca il certificato da pinguino. Ricordo che la prima volta entrai con tante belle idee sul mondo del vino, in particolare su come finalmente potevo mascherare da seduta didattica la preoccupante attitudine a dedicare una giornata all’etilismo. Ricordo anche che TV, a noi neofiti, desse l’impressione di una manifestazione più accessibile delle altre, meno rivolta agli addetti ai lavori o agli appassionati so-tutto-io. La prima volta non si scorda mai: l’esordio fu infatti molto istruttivo. Mi approcciai al tavolo di un produttore di grido della Franciacorta, chiesi di assaggiare un vino, e poi un secondo; a questo punto venni gelidamente cazziato dall’espositore per aver sbagliato l’ordine di servizio della degustazione. Ecco, quel momento di pubblico imbarazzo mi aprì definitivamente le porte della percezione su molti dei riti e delle gerarchie consolidate dell’enomondo.

La cronaca. Il posto (mi rifiuto di scrivere “location”) è meraviglioso, e la bella giornata di sole esalta ancora di più la clamorosa vista sul porto; c’è spazio a sufficienza, il condizionamento funziona e in un salone attiguo ci sono i divanetti  per poter fare “decompressione” di tanto in tanto. L’organizzazione è teutonica: all’ingresso, oltre a bicchiere e portabicchiere di ordinanza, ti danno un libricino con la mappa degli espositori e i relativi vini, passano di continuo camerieri con vassoi di torte di verdure e panini per asciugare lo stomaco e le sputacchiere non sono mai traboccanti. Su tutto aleggia la presenza del moghul Filippo Ronco, che, incravattato e agghindato in completo blu da bancario (dress code curioso per un alfiere dell’informalità e del duepuntozero), si aggira ubiquo a sovrintendere.

Pubblico misto: accanto a carneadi come me con zaino e blocchetto in mano, molti volti noti. Avvistata anche coppia marito-moglie, ciascuno prendere appunti sul proprio iPad: o tempora o mores! Per fortuna pochi gli esemplari di eno-fenomeni, ma qualche genio che cercava lui stesso di spiegare al produttore il suo (del produttore) vino l’ho trovato: temo sia impossibile selezionarli e abbatterli all’ingresso. Notevole la totale assenza di membri di spicco di AIS.

Ho avuto l’impressione ci fosse meno gente rispetto alle precedenti visite e mi pare ci fosse anche una presenza più sobria degli espositori (per capirci, meno ragazze-immagine ai tavoli). Sicuramente ho notato meno sbandamenti alcolici e meno bicchieri rotti a fine pomeriggio. Vi risparmio la litania dei meglio e dei peggio assaggi, appunto alla rinfusa solo qualche nome: la perfetta eleganza e finezza del Bricco delle Viole dei Vajra, la fresca sapidità del Colfondo di Bele Casel, la composta aromaticità del moscato giallo di Lageder, il gioioso fruttato dello Zero di Pojer&Sandri, la concentrata potenza dei Taurasi del Cancelliere, la bella storia del Ciso, sorprendentemente balsamico.

Punto interrogativo della giornata, la Degustazione dal Basso (d’ora in poi DdB) cui ho partecipato: devo ancora decidere se sia trattato di una minchiata (scusate l’eufemismo) o di un evento quasi riuscito. Vado a spiegare: le DdB sono, per come le definisce l’ideatore, “vini e territori raccontati in modo conviviale e comprensibile, da persone comuni ma competenti e soprattutto “vicine”, per nascita o scelte di vita, al luogo che scelgono di raccontare”. Bello. Ho pagato i 20 sacchi necessari (che davano diritto anche all’ingresso a TV) e ho prenotato questa: “I principali Terroir Champenois raccontati da Mike Tommasi attraverso una degustazione orizzontale di bollicine francesi di grande interesse: Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Montagne de Reims, Côte des Bar”. Sono stati serviti cinque champagne: P.Agrapart-Minéral 2005, B.Lahaye-Rosé de Macération, O.Horiot-Sève Rosé de Saignée en Barmont 2007, B.Tarlant-Cuvée Louis, F.Boulard-Petraea XCVII-MMVII, F.Pouillon-2XOZ. Molto buono il primo, fine e minerale, così così i due rosè (il primo dei due parte male, poi, lasciandolo nel bicchiere, si riprende e guadagna un lieve tocco di arancia. Il secondo, che avrebbe un piacevole accenno di bitter, resta incagliato in qualcosa di non compiuto al naso). Terzo e quarto vino mi sono sembrati immensi. Entrambi lunghissimi e cremosi, il Tarlant, oltre a un lieve affumicato, finalmente mi permette di capire il significato delle lisergiche “note di pasticceria”, mentre il Boulard (vinificato in solera) offre grande complessità senza sacrificare la piacevolezza. Meravigliosi. Difficile da giudicare il Pouillon: ha un bel naso di chinotto ma con 32 g/l di dosaggio ricade in una tipologia forse difficile da capire a noi comuni mortali. Purtroppo durante non si è parlato delle varie zone di produzione, da quanto ho capito i vini non erano tipici rappresentanti dei rispettivi terroir, la degustazione non è stata minimamente guidata e la carta geografica fornita ai partecipanti era francamente risibile.

Aggiungerei, ma è una nota di colore, che le ragazze al servizio si sono esibite in una serie di aperture delle bottiglie col bottoche neppure a Piedigrotta la notte di Capodanno. Dopo la terza o quarta esplosione con fontana a corollario, il Ronco con decisione ha preso in mano la situazione ponendo fine all’imbarazzante episodio. C’era un relatore ma la degustazione si è retta sulle osservazioni dei partecipanti stessi. Il fatto che tutto sommato la cosa abbia in qualche modo funzionato credo sia incidentalmente dovuto alla presenza tra gli astanti di tecnici e addetti ai lavori come Mario Pojer, Luca  Ferraro, Dan Lerner (e altri che non ho riconosciuto, ma che sicuramente erano dei tecnici del settore). Francamente, per chi non fosse già esperto, la divulgazione è risultata quantomeno estemporanea e frammentaria. Non ho idea se questa sia la formula di tutte le DdB, credo e spero di no. Nel caso, forse, sarebbe meglio selezionare il pubblico, richiedendo diploma in enologia o titolo di studio equivalente.

Per chiudere, la camminata per recarsi al treno che mi riporterà a casa si snoda in parte in una zona molto popolare (eufemismo); direi che forse è una delle poche volte in cui presentarsi in pubblico con passo malfermo e bicchiere al collo non faccia sentire troppo fuoriluogo. Bello, ma da domani basta.

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