Malvasia Skerk: il Carso in bottiglia

Malvasia Skerk

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo dovrebbe aggirarsi attorno ai 20 Euro]

Malvasia SkerkChi legge malvasia non si aspetti un vino dolce, o comunque docile e arrotondato, che qui siamo nel cuore del duro Carso e Skerk è una azienda priva dei bollini bio-tutto tanto di moda ma sicuramente legata ad una produzione veramente tradizionale: circa 20.000 bottiglie l’anno, in vigna vengono usati solo zolfo e rame. in cantina si svolgono lunghe macerazioni in tini aperti, nessun controllo della temperatura, nessuna chiarifica e filtrazione, si usano solo lieviti autoctoni e si limita al massimo la solforosa.

Ne deriva un vino giallo paglierino carico, con una lieve velatura dovuta alla mancanza di chiarifica, all’olfatto abbastanza intenso e di buona complessità: sicuramente minerale (salmastro); si percepisce un tocco di floreale e distintamente la nespola; attendendo e scaldandolo arriva il balsamico e si rivela la aromaticità varietale della malvasia, che sfuma in frutta candita.

In bocca è secchissimo; buona la freschezza, ma a risaltare è la enorme sapidità, evidente richiamo al territorio.
C’è anche un leggero tannino, evidentemente donato dalla lunga macerazione sulle bucce.
L’unico limite che ho riscontrato è una certa carenza di corpo, che, se da un lato rende la bevuta facile nonostante i 13,5 gradi, ne mortifica un poco le grandi potenzialità.

Solitamente sono restio ad usare l’aggettivo “territoriale”, che sembra essere diventato uno degli eno-mantra del periodo, ma se esiste un vino-specchio del suo terroir, di una terra dura, povera e sferzata dal vento, lo è questa Malvasia, che si rivela vino molto interessante, in grado certamente di farsi bere con piacere dai consumatori occasionali, ma soprattutto di raccontare storie e immagini ai bevitori più attenti.

L’abbinamento consigliato sul sito è pesce e carni bianche; secondo me, il grado alcolico e la lieve carica tannica fanno pensare anche a zuppe di pesce o formaggi di media stagionatura.
Direi di servirla appena fresca, per non mortificare lo spettro olfattivo e non indurire il tannino.

 

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Nosiola 2009, Cantina Rauten

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo si aggira attorno ai 16 Euro]


Nosiola RautenIl Trentino Alto Adige è la terra di molti dei vini italiani che preferisco: vini del nord, quindi freschi, facilmente bevibili senza essere banali e, vivaddio, spesso acquistabili ad un prezzo umanamente sostenibile.

Il paesaggio spazia dalla Piana Rotaliana, immensa pianura coltivata a pergola trentina che si estende a perdita d’occhio fino alle alture che la proteggono, per arrivare a zone più impervie nelle quali la coltivazione dell’uva diventa un fatto eroico.
Le numerose vallate, il gran numero di corsi d’acqua e di laghi, la forte escursione termica giorno-notte, l’azione mitigatrice dei venti (l’“ora del Garda”) e in generale la ricchezza della natura, oltre e favorire la aromaticità del frutto, suggeriscono un preconcetto favorevole nei moderni amanti del vino, che cercano non solo un prodotto piacevole ma anche contatto con il territorio e rispetto dell’ambiente.

In questo scenario ideale, costellato da un numero considerevole di produttori di notevole diversità (da colossi come Ferrari alle cantine sociali, passando per numerosi piccoli produttori, quasi tutti accomunati da grande rigore nella ricerca della qualità), nella tradizionalmente vocata valle del Sarca cresce la Nosiola della azienda Rauten: un vino prodotto in pochissime bottiglie da agricoltura biologica.

Alla vista si presenta di colore paglierino caldo, mentre l’olfattivo è delicato di floreale e di fieno, con un tocco minerale.
Secco, fresco e lievemente sapido, ha struttura e complessità notevoli, immagino dovute alla macerazione di una settimana sulle bucce, alla lunga permanenza sui lieviti in botte di acacia e all’anno e mezzo di affinamento in bottiglia.
Estremamente bevibile nonostante i 13 grandi, chiude con un finale gentile di nocciola, coerentemente alla denominazione del vitigno.

Un vino elegante, di buona complessità e piacevolezza, che io ho accompagnato con successo ad una torta di verdura, ma che ritengo adatto anche a carni bianche, primi piatti leggeri, pesce.

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Retsina Ritinitis Nobilis

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo si aggira attorno ai 15 Euro]

Parli di Retsina e a molti viene in mente un bianco greco poco importante che deve la sua particolare fama ad un esagerato aroma di resina; in realtà si parla di storia dell’enologia: 2000 anni fa ad Atene la resina di “Pinus Halepensis” veniva usata come sigillo per preservare dall’ossigeno il vino nelle anfore, caratterizzando di conseguenza l’aromaticità del prodotto. Passati i secoli, la resina viene semplicemente aggiunta al mosto d’uva durante la fermentazione.

retsinaLa commercializzazione di un vino dozzinale è proprio il contrario di quello che si prefigge il produttore di questo “ritinitis nobilis“, che già dalla bottiglia elegante palesa l’ambizione di riposizionare la tipologia in ambito qualitativo più elevato.
La chiusura a vite garantisce l’assenza di aromi indesiderati, e l’etichetta dichiara l’utilizzo di uve selezionate (varietà Roditis, raccolta a Corinto), di processi produttivi allo stato dell’arte e di una aggiunta di resina attentamente bilanciata.

Il vino si presenta cristallino, giallo paglierino-verdolino e abbastanza consistente; il naso è intenso, dominato dalla resina e dal suo distintivo sentore mentolato-balsamco, quasi di eucalypto.
In bocca la sensazione resinosa è ancora sensibile ma fortunatamente meno marcata; il calore risulta poco percettibile (12 gradi supportati da un corpo discretamente presente); queste caratteristiche, unite alla particolare aromaticità e ad una acidità spiccata, quasi citrina, donano estrema freschezza all’assaggio.
Al retro-olfattivo torna la resina, con una chiusura leggermente mandorlata non particolarmente lunga.

In conclusione, un vino che suscita curiosità sia per l’afflato storico che per la provenienza e la metodologia produttiva inusuale. Sicuramente non un vino quotidiano o un Grande Vino, ma un prodotto di personalità, diverso da quanto siamo soliti assaggiare e nel quale può essere divertente immergersi per una piccola esplorazione storico-sensoriale, magari accompagnati da fritture o da piatti con una buona speziatura, o persino da portate di pesce arricchito di erbe aromatiche.

 

 

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