Antares 2010, Cantina Toblino

antares

Si dice spesso che le cantine sociali in Tentino Alto Adige siano una eccezione rispetto a quelle di gran parte del panorama vinicolo italiano, nel senso che sfornano prodotti a prezzi ragionevoli, mantenendo standard qualitativi di ottimo livello.

Ne ho avuto conferma stappando questo Antares, metodo classico di Cantina Toblino, che ho potuto indirettamente comparare con un analogo prodotto della Cooperativa Tre Secoli di Mombaruzzo, bevuto qualche giorno prima.
Il confronto è stato davvero impietoso: del primo leggete qui sotto, mentre del secondo mi limito a segnalare la piattezza gusto-olfattiva e il prezzo (8 euro).

antaresDenominazione: Trento DOC
Vino: Antares
Azienda: Cantina Toblino
Anno: 2010
Prezzo: 12 euro

Mi avvicino con un certo scetticismo: infondo si tratta di un metodo classico con 36 mesi di affinamento sui lieviti, per giunta millesimato, proposto a 12 euro!
Contribuisce alla diffidenza l’orrenda etichetta, che mi ricorda nettamente quelle appiccicate sulle bottiglie delle confezioni panettone-spumante da autogrill anni ottanta… Dai ragazzi, io sono tutto fuorché un fissato della grafica, ma credo non sia difficile fare di meglio…

Il vino è uno chardonnay in purezza, paglierino con accenni verdolini, dalla bolla non copiosa ma continua e vellutata.
L’olfattivo è fresco, floreale, con qualche accenno di fieno, anice e una lontana crosta di pane; semplice ma piacevolmente delicato.

L’ingresso in bocca, che mi aspettavo timido, è in realtà pieno e di una certa struttura, acidità e sapidità sono ben calibrate; proseguendo, il sorso risulta un po’ troppo morbido per i miei gusti (ma per nulla stucchevole): è pur sempre una bolla “primo prezzo” che deve piacere a tutti!
Lunghezza non esaltante, ma non possiamo chiedere troppa grazia.

Ottimo rapporto qualità prezzo, una dignitosissima interpretazione di vino base da servire in tutta tranquillità e piacevolezza con aperitivi e primi piatti di mare.

Il bello: il prezzo, la semplice piacevolezza
Il meno bello: lunghezza e complessità limitate

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Il mostro di formaggio: Cheese 2013

cheese1Guardate questa foto, vi prego. Questo è uno dei mercati di Cheese, ripreso domenica mattina alle 10.40 circa; ovviamente la folla sarebbe andata ad aumentare per tutto il giorno, perlomeno fino alle 16 e 30, quando, stremato, ho desistito e mi sono incamminato verso l’auto.

Li dico subito: non sono socio Slow Food e non ho certo la saggezza per suggerire alcunché a Petrini o ai suoi luogotenenti, ma sinceramente credo che sia venuto il tempo di ripensare queste manifestazioni-monstre: è pacifico che a tutti noi piace entrare nel Paese dei Balocchi per un giorno all’anno (o ogni due anni, come in questo caso), ma ormai abbiamo oltrepassato il livello del turismo di massa, siamo agli autobus che scaricano frotte di varia umanità condita da gelato e fotocamera compatta davanti al Vaticano, o ai 23 Km di coda in automobile il fine settimana per arrivare in una spiaggia con i lettini accatastati in spalla gli uni agli altri…

Non è questione di snobismo: in mezzo a questa folla di malcapitati, a sgomitare per una briciola di formaggio della Macedonia o per un cucchiaino di yogurt africano c’ero anche io, e non certo per la prima volta… Io sono colpevole tanto quanto tutte le altre migliaia di bipedi vocianti e sudati presenti.

Il punto è che inizio a chiedermi che senso abbia tutto questo circo (a parte ovviamente il godere del Paese dei Balocchi di cui sopra), quando ti rendi conto che, pur con tutta la buona volontà, non potrai scambiare una parola con i produttori, non riuscirai a leggere una riga dei cartelli accanto agli stand, non avrai modo di camminare tranquillamente e di fermarti ad annusare senza rompere le scatole ad altre venti persone che attendono dietro le tue spalle…
Inizio a chiedermi perché ad ogni manifestazione di SF ci debbano essere gli stand della piadina romagnola, delle olive ascolane, della farinata genovese eccetera eccetera, via col giro d’Italia.
Soprattutto, ora che il cibo è tornato ad acquisire dignità e centralità e che il concetto dei presidi è ben noto, mi chiedo se il famoso slogan del “Buono, pulito e giusto” non faccia fatica ad armonizzarsi con i formaggi paracadutati qui da mezzo mondo, con le migliaia di auto parcheggiate sotto la collinetta di Bra e lungo la strada, con gli autobus che fanno saliscendi continuato, con i bar che ormai hanno capito l’antifona e hanno messo pure loro il banchetto all’aperto, proponendo birra e gelato industriali ai visitatori meno accorti, con la gente che si spintona per un piatto di qualsiasi cosa e lo mangia in piedi o seduta in terra, accanto all’onnipresente logo “Slow”.
Certo, i contrasti sono il sale della vita, ma vedere dei tizi che arrotolano spaghetti alle vongole seduti ai tavolini di un bar di Bra (Cuneo, Piemonte) durante lo weekend di Cheese, ha qualcosa di surreale….

Immagino che per SF manifestazioni come questa siano una ottima fonte di marketing e di reddito (libri venduti, laboratori, espositori paganti), così come sono certo che per la cittadina di Bra un evento simile valga più dell’oro, e che quindi sia ben difficile trovare il coraggio di metter mano al carrozzone per ridimensionarlo, però ritengo che sarebbe un bel segnale di coerenza e un salto di qualità notevole da parte della associazione.
Immagino non più un unico Cheese-monstre ogni due anni, ma tanti piccoli Cheese basati sulle realtà locali (e magari alcuni, pochi, selezionati prodotti ospiti, scelti sulla base di affinità), con eventi magari solo a prenotazione e a pagamento.
Certo, per noi appassionati finirebbe il Paese dei Balocchi in cui nello stesso giorno puoi levarti la voglia di cheddar e caciocavallo, ma forse ci aiuterebbe a crescere, ad essere più consapevoli, e scongiurerebbe la deriva da “sagra della salsiccia con orda di turisti giapponesi”.

cheese2Detto questo, Cheese è sempre una gran figata per la possibilità di assaggiare tutto quello che hai in mente e anche oltre, e l’organizzazione è impeccabile: gli spazi per i dibattiti, i parcheggi ai piedi della città con gli autobus che portano in centro, la moltitudine di isole ecologiche presidiate da ragazzi che ti aiutano a buttare il rifiuto nel contenitore giusto, i laboratori con traduzione istantanea bilingue, il centro informazioni accogliente e cortese, e tanto altro ancora…

Temo che ci rivedremo nel 2015.

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Cosa mi combini, Oscar! E, in appendice, la cena al ristorante “Il Marin”

Per sgomberare il campo da equivoci dichiaro subito che ritengo Natale Farinetti detto Oscar un grande imprenditore, una risorsa per l’Italia, uno che vede lontano (sganciarsi dal settore dell’elettronica di consumo per inserirsi in quello del cibo e delle bevande di alta qualità è forse ovvio oggi ma di certo non lo era quando lo ha fatto lui).

logo-eataly1Ciò detto, ho molte riserve sul piccolo (ma neanche tanto) impero Eataly: a prescindere dallo sfavorevole rapporto qualità/prezzo dei “ristorantini”, non è bellissimo trovare in vendita accanto allo slogan degli “Alti cibi”, sotto il cappello filosofico di “sostenibilità, responsabilità e condivisione” e della “possibilità di offrire a un pubblico ampio cibi di alta qualità a prezzi sostenibili”, prodotti quantomeno discutibili (es. il pesto senza aglio, la birra Peroni, la pasta Barilla sugli scaffali di Eataly New York, tutta la pletora di creme e cremine per viso e corpo vendute a prezzi da strabuzzo degli occhi, eccetera), ma capisco che il supermercato occorre riempirlo e che i margini di profitto abbiano le loro esigenze, quindi non mi scandalizzo di certo.

Vado oltre: pur non piacendomi per nulla, accetto persino il voler spostare l’asticella del (legittimo) marketing sul piano etico, ma quando si arriva a certi eccessi retorici non può non scapparmi una risata.
La prima volta in cui avevo percepito chiaramente l’abbattimento del muro del ridicolo era stata quando Oscar, in combutta con Illy, aveva risolto in pochi decisionisti istanti il problema previdenziale che attanaglia il Belpaese; l’ultima volta nei giorni scorsi, quando ho ricevuto una mail di Eataly.
Apro la mail e mi accoglie una foto di Obama e Putin che si stringono la mano; istanti di smarrimento (“che c’azzeccano i presidenti col supermercato”), poi gli occhi scivolano sull’oggetto del messaggio: “Noi di Eataly vi invitiamo a pranzo” per poi scendere sul delirante testo: “… noi la pensiamo come il Papa: la guerra è sconfitta dell’umanità. Lui giustamente propone il digiuno come preghiera del corpo contro la guerra. Noi di Eataly ammiriamo questo gesto potente che unisce i religiosi di tutto il mondo con i laici che ripudiano la guerra. Vogliamo però aggiungere che il mangiare insieme può rappresentare un altro valore forte, rivolto alla convivialità e al superamento dei conflitti. Ci piace immaginare di poter invitare Putin e Obama ad un pranzo qui da noi, dove di fronte ad ottimo cibo i due possano trovare il modo di parlarsi”.
Sono senza parole! Immagino che al prossimo giro Oscar, per vendermi un vasetto di marmellata, si attrezzi a risolvere la questione palestinese, oppure chissà metta mano al problema  mediorientale per farmi iscrivere ad uno dei suoi corsi di cucina…

A margine, una doverosa appendice sul ristorante “vero” di Eataly Genova, Il Marin.
C’ero stato la prima volta a Febbraio, sono tornato la settimana scorsa, e per quel che mi riguarda in entrambi i casi ho trovato la migliore cucina di Genova, by far.

Certo, restano alcuni limiti strutturali (l’arredamento discutibile, l’ingresso che costringe all’attraversamento del supermercato, i tavoli “di design” senza tovaglie), ma altri sono stati superati (maggiore professionalità al servizio, con una ottima direttrice di sala).
Odio prendere appunti o scattare foto quando ceno, quindi vi beccate qualche ricordo confuso, anche perché non posso aiutarmi con il menu pubblicato sul sito, che non è per nulla aggiornato (dai Oscar! Questo è da correggere immediatamente): pregevole cortesia sia in fase di prenotazione che all’arrivo sulla scelta del tavolo all’esterno o all’interno, encomiabile l’aperitivo realmente offerto e non aggiunto al conto, molto bene i tempi di servizio (io ho preso un menu degustazione da varie portate, chi era con me solo due piatti più dolce, e comunque c’è stata armonia e nessuna attesa eccessiva), bella la presentazione al tavolo del carrello del pescato del giorno.
I piatti che ho apprezzato maggiormente: le acciughe fritte ripiene offerte a inizio pranzo, ottimo l’antipasto di crudi di mare, strepitosi gli spaghettoni alle sarde.

Qualche appunto negativo: servire a Genova una focaccia non perfetta è un vero delitto, e quella dell’altra sera era da galera diretta senza passare per il via, per tenere in fresco la bottiglia sarebbe meglio attenersi alle tradizionali glacette e buttare quelle buste in plastica semirigida che fanno temere il rovesciamento da un momento all’altro, il preantipasto di centrifugato di melone è abbastanza scoordinato e la piccola pasticceria post-dolce decisamente non al livello del resto della cena. Sala un po’ rumorosa.

Ma sono dettagli, in generale le portate sono felici, con cotture chirurgiche, dosi adeguate e impiattamenti perfetti; la carta dei vini è discreta e ha ricarichi umani, il personale cortese e competente, i tavolini sono ben distanziati, la cucina a vista è piacevole e il panorama sul porto è ovviamente meraviglioso.
Da ultimo, ma non per ultimo, il conto non è basso ma del tutto giustificato da quanto raccontato sopra.

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Festival Franciacorta

Di solito succede che vai alle manifestazioni (degustazioni, festival, incontri eccetera) e poi se qualcosa ti ha colpito, in positivo o negativo, scrivi le tue impressioni.
Stavolta non posso fare a meno di spendere qualche riga su di un evento prima che accada e soprattutto sapendo che non potrò presenziare, ma il programma è così ricco e interessante che davvero relegare la sola segnalazione al calendario eventi mi sembra uno spreco.

logo-franciacortaNon ho voglia di andare a controllare e a contare i post, ma chi mi segue ha di certo notato che una parte considerevole dei vini di cui parlo sono spumanti (sì, lo so che non si può più usare la definizione generica di “spumante” ma occorre specificare: metodo classico, charmat, Franciacorta, Trento DOC, Prosecco dei Colli Asolani e via così, passatemi la semplificazione), e quindi si può immaginare come mi dispiaccia non potermi prendere due giorni in libertà (il 28 e il 29 Settembre) per affondare nel mare di bolle del Festival Franciacorta, per il quale avevo ricevuto il cordiale invito di una azienda che non conosco e della quale ho in programma di assaggiare i prodotti quanto prima: Bersi Serlini.

Sono stato in Franciacorta due anni fa circa, ho visitato un paio di cantine, una grande e una più piccola, e ho mangiato in un paio di ristoranti: ho attraversato (purtroppo) velocemente un territorio magari non paesaggisticamente affascinante come possono essere le Langhe o certi colli Toscani, ma di certo ho incontrato persone e aziende cordialissime e soprattutto estremamente professionali e determinate.
Per questo non mi sono stupito più di tanto quando ho visto la incredibile ricchezza del programma del Festival: ci sono ovviamente le degustazioni con cibo in abbinamento, eventi artistici e musicali, incontri e dibattiti con operatori del settore, passeggiate guidate nei vigneti, merende e picnic all’aperto, cene formali e non e molto altro ancora (qui il programma completo).
Trovo molto interessante l’idea dei tour con bus gratuiti: in pratica vari bus sono abbinati ad alcuni percorsi con visita guidata e degustazione in due o tre aziende.

Per chi ne ha la possibilità, direi si tratta di una manifestazione da non perdere.

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La Lune 2009

Per dirla chiara e senza ombra di dubbio: non conoscevo nulla del Domaine de la Sansonniere, di Marc Angeli e di questo La Lune, sapevo solo di voler bere uno Chenin Blanc…

Quello che ho capito sbirciando a destra e a manca, è che Marc Angeli, influenzato dalla sua amicizia con Nicolas Joly, ha rilevato i 12 ettari di questa tenuta nella Loira a fine anni 80, facendone la realizzazione delle sue idee radicali: in pratica il Domaine è quasi autosufficiente sia dal punto di vista energetico che da quello del ciclo produttivo, e i vini sono distribuiti sotto il cappello di Triple A Velier, dunque associati a tutto il corollario bio-naturale proprio della sigla in questione: nessuna aggiunta di solforosa, nessuna chiarifica e filtrazione, nessun diraspamento eccetera.

L’intransigenza di Angeli si evince forse maggiormente facendo notare il volontario declassamento dei suoi prodotti dalla nota AOC Anjou alla ben poco prestigiosa dicitura ‘Vin de Table’, in segno di protesta contro il mancato intervento delle Denominazioni nella riduzione dei pesticidi.
“La Lune” è uno dei suoi vini più noti e discussi, a quanto pare a causa di una certa incostanza di risultati non difficile da immaginare, vista la metodologia di produzione: io ho assaggiato il millesimo 2009.

La LuneDenominazione: Vin de Table
Vino: La Lune
Azienda: Domaine de la Sansonniere
Anno: 2009
Prezzo: 35 euro

Il colore indica chiaramente un vino giovane, l’olfattivo è intenso e completo: c’è tutto, e tutto è cangiante, all’apertura un tocco dolce di miele (poi scomparso), poi dal floreale alla albicocca disidratata, da una leggera pungenza dell’alcol alla frutta macerata.

Entra caldo, decisamente secco, con acidità stellare ma soprattutto sapido; forte, ma dal corpo abbastanza snello, che non riesce a mascherare del tutto i 13 gradi.
Decisamente giovanissimo e pieno di carattere, soprattutto lunghissimo e facile da bere.

Il bello: la grande complessità e la lunghezza
Il meno bello: il prezzo, la reperibilità e, temo, la costanza delle annate

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Ché, stai a rosicà pè Francone tuo?

Franco Ricci

Franco RicciPoi dice che uno si fissa sulle cose, che rimugina, che ‘sta a rosicà (visto che parliamo di Bibenda e AIS Lazio…) ma la verità e che io da quella volta del “Capodanno col botto neanche ci pensavo più all’amicone mio Francone Ricci, ma quando ti arriva la newsletter appunto di Bibenda (cito: “La Rivista nata per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino, il magazine più esclusivo, la rivista che parla di vino più bella del mondo”), come fai a non ripensare che di tutto questo rutilante sciupio di carta patinata in teoria sei colpevole anche tu, umile associato AIS della profonda provincia italiana che lo splendore della capitale lo hai calpestato solo in gita scolastica?

Quale è la mirabolante novità di casa Bibenda, annunciata in pompa magna? La rivista, cito, “da oggi potrà essere “gustata” anche online! Basterà cliccare sul titolo dell’articolo che vi interessa e sarete immediatamente accompagnati nelle raffinate ambientazioni Bibenda style”.
Accidempoli! (Scusate l’affermazione: volevo adeguarmi alla prosa dandy della rivista del Francone).

Ma questo è niente, i veri pezzi da novanta della comunicazione sono la presentazione di due nuovi servizi: “BIBENDA Ricevimenti d’Autore” e “BIBENDA Grafica”.
L’autrice Paola Simonetti, allineandosi alla modestia che sembra contraddistinguere il Francone, descrive così i due nuovi settori di business di Bibenda: la prima sarà “… la proposta di un servizio catering che rispecchi tutti i criteri di eccellenza che ci hanno caratterizzato fin qui … L’eccellenza dalla a alla zeta, a partire dalla progettazione dell’evento fino alla sua realizzazione, dai luoghi più suggestivi fino ai grandissimi chef d’Italia, i più “desiderabili”, dalla scelta della mise en place ai cristalli e agli addobbi fino ai fuochi d’artificio”, mentre la seconda attiverà “un servizio di grafica, di creatività per i vostri nuovi prodotti o per rinnovare l’immagine di quelli già esistenti, dalle etichette dei vini e degli oli extravergine alla realizzazione di loghi o dell’immagine coordinata, insomma per tutte le vostre esigenze di comunicazione e design”.

Ora, seriamente: se già da prima mi sfuggiva il motivo per cui AIS dovesse legarsi mani e piedi con il business di Francone per far uscire un giornale e una guida, adesso che detta azienda diventa di fatto imprenditrice nel settore non della critica e divulgazione, ma della ristorazione (catering) e della produzione (comunicazione e design), la commistione è francamente inaccettabile.

Ma forse la cosa che più mi scoccia è lo schizofrenico e sfumato avviluppo che impedisce di capire dove finisce l’azienda e inizia la associazione, per cui il provinciale come me fatica a distinguere i contorni di AIS Roma e Lazio da quelli di Bibenda e quindi se da un lato ti becchi il Francone che ti vende i fuochi artificiali, dall’altro sul sito di Bibenda ci sono una sparata di corsi AIS meravigliosi per i quali sì che “stò a rosicà”, visto che non potrò mai frequentarli…

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Eataly Genova: in picchiata (verso il mare?)

eataly

L’immagine che si fissa subito in mente quando si sale per la prima volta da Eataly Genova è la straordinaria veduta del porto che si gode nei pochi secondi di ascensore in vetro panoramico necessari ad arrivare all’ingresso: una ascesa sul mare e le navi, magari al tramonto, decisamente invitante e poetica.

Quanto sopra era accaduto alla mia prima visita, poco dopo l’apertura, e resta vero anche adesso. Peccato invece che le perplessità iniziali non si siano dissolte, anzi, se ne siano aggiunte di nuove.

eatalyPremesso che questo inverno ho avuto forse la migliore cena dell’anno proprio al Marin, il ristorante “serio” di Eataly (e, causa pigrizia, ho colpevolmente omesso di scriverne), e permesso che il costo di un pasto al Marin non è banale, capita che talvolta ci scappi un piatto in uno dei cosiddetti “ristorantini tematici”.

Se la prima volta che sono stato da Eataly avevo trovato il personale non all’altezza delle pretese di qualità del luogo e ne davo la colpa alla recente apertura, alla sempre troppo citata “necessità di rodaggio”, a questo punto non è più possibile nascondersi dietro ad un dito: nei famigerati “ristorantini” i ragazzi che servono e che prendono le ordinazioni non sono adeguatamente istruiti.

Già devi sorbirti di fare l’ordinazione in maniera più abominevole che alle sagre di paese: ti ammazzi per trovare un tavolo libero (che è piccolo, troppo: con due piatti, due calici, il pane, olio e pepe hai tutto in un equilibrio precario come la salute di coloro che guardano la tv pomeridiana), lo occupi mandando uno solo del gruppo a far la fila a più di una cassa (non puoi ordinare il pesce dove fanno la carne ecc.)…
Se aggiungi che la ragazza cui detti la comanda non conosce i vini che ha in carta e devi farle vedere quello che ordini puntando il dito sul menu altrimenti ti guarda attonita, se prosegui che comunque ti portano il vino sbagliato, che dimenticano di portarti il pane, che la mozzarella di bufala (indicata in carta “con olio extravergine di oliva e sale”) è appunto senza olio e sale ed è ghiacciata dentro e che quando fai presente che mancano i condimenti ti rispondono che “Facciamo così, in modo che il cliente possa scegliere”….
Se aggiungi che naturalmente pochi dei ragazzi parlano le lingue, e di conseguenza ho visto discussioni banalmente risolvibili in un battito di ciglia degenerare in infinite, esilaranti pantomime degne di un film di Totò, ecco, se assieme a tutte queste cose aggiungi i prezzi da oreficeria e il fatto che la decantata qualità ormai prevede ad esempio la vendita di articoli di pregio come la birra Peroni, ecco che all’uscita, durante la meravigliosa discesa in ascensore, in picchiata verso il blu del mare incendiato dal rosso del sole, qualche dubbio di essere preso per il culo inizia ad invaderti prepotentemente.

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