Brut Réserve, Pol Roger

Certo che ti girano le palle, vorrei vedere…

Hai scucito 40 e rotte carte per portarti a casa uno champagne di gran nome, medesima maison della quale hai scolato (in qualche degustazione a scrocco, ça va sans dire ) vari calici, godendone assai.
Certo, i sorsi in questione provenivano da cuvée più prestigiose rispetto a questo Brut Réserve, ma del resto, come si dice a Reims: noblesse oblige. O no?

No, infatti.

prDenominazione: Champagne AOC
Vino: Brut Réserve
Azienda: Pol Roger
Anno: –
Prezzo: 42 euro

Non sto neanche a menarla lunga coi dati tecnici: è il classico blend dei tre vitigni pinot noir, pinot meunier e chardonnay; il produttore dichiara il 25% di vini di riserva e quattro anni di affinamento. Fanno pure il remuage a mano, figurati.

Sui dati organolettici c’è poco da dire: il vino è tecnicamente ben fatto, ha tutto al posto giusto: il colore, le bollicine e pitipim e pitipam. Gli aromi mica sono sgradevoli, ci sono i frutti esotici, una buona dose di crosta di pane e una bella manciata di spezie dolci.
Ed è proprio questo il problema: al palato torna decisa la dolcezza che si esprime in maniera piuttosto stucchevole già al secondo bicchiere; non lo so se il problema sia il dosaggio, o (come ho letto da qualche parte) la percentuale troppo limitata di vini di riserva, o il momento di raccolta dell’uva o la congiunzione astrale di Marte in capricorno, fatto sta che la scelta produttiva virata su questi toni ricorda in maniera decisa e preoccupante quella di certi Franciacorta base, che vogliono per forza piacere a tutti.

Insomma, lungi dal sottoscritto voler fare la ormai tristemente tipica macho-esaltazione del pas dosè strappagengive, ma qui mancano proprio le quote sindacali di nervo e verticalità, che sono poi le caratteristiche che ci piace trovare in uno Champagne.

Il bello: vino molto morbido, gradevole aperitivo per i non appassionati

Il meno bello: vino molto morbido, troppo per gli appassionati. Prezzo eccessivo

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Rancia 1997, Fattoria di Felsina

Uno degli argomenti più affascinanti del vino è che non esiste una bottiglia uguale all’altra e che con ciascuna si può giocare come con una piccola macchina del tempo: stavolta mi è capitato un vino vintage e non ho perso l’occasione per un teletrasporto in epoca diversa, quando la parola d’ordine non era “naturale” ma semmai supertuscan, quando il credo dominante non era la bevibilità ma la concentrazione. quando i consuenti enologi non erano il demonio ma una risorsa.
Certo, molti vini di quel tempo sono invecchiati male, si parla sempre di marmellatone costrette in una coltre di rovere, ma secondo me si esagera, come si suol dire “buttando il bambino con l’acqua sporca”: lo dimostra la bottiglia di cui sto parlando, disarmante nella sua perfetta semplicità, per la quale gli anni non sono passati invano, levigando con precisione un vino che si dichiara classicamente toscano fin dalle prime occhiate, con un rubino non troppo concentrato che tende all’aranciato.

ranciaDenominazione: Chianti Classico DOCG
Vino: Rancia
Azienda: Fattoria di Felsina
Anno: 1997
Prezzo: 23 euro

Gli aromi non fanno i fuochi di artificio ma piacciono: domina il frutto maturo molto dolce, ma arriva anche il tabacco impreziosito da qualche accenno erbaceo e di sottobosco.
E’ l’assaggio il pezzo forte, di grande succosità e bella freschezza, con alcol poco avvertibile e tannino straordinariamente assorbito e amalgamato nella struttura, tanto da risultare appena percettibile.

Per dirla in due parole, una bottiglia di enorme bevibilità e straordinaria capacità di abbinamento a tavola (guarda caso, sono proprio le categorie di riferimento che vanno adesso per la maggiore tra gli appassionati…), insomma un gran vino gastronomico, che, pur essendo prontissimo, dopo quasi venti anni di attesa tradisce ancora gran voglia di invecchiamento!

Il bello: ottima piacevolezza di bevuta

Il meno bello: un accenno di vegetale al naso non elegantissimo

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