Bollinger Special Cuvée: classico senza tempo

Bollinger special cuveeGià dire che ti piace lo Champagne è da sboroni, ma aggiungere che uno di quelli che preferisci è Bollinger rasenta l’indifendibile.

La maison di Ay non è infatti uno dei piccoli récoltant-manipulant che vanno oggi per la maggiore, magari biologici o biodinamici, ma uno dei grandi marchi storici della regione: è stata fondata nel 1829, gestisce oltre 150 ettari di vigne ed è stata una delle prime a capire l’importanza del marketing (quale Champagne pensate bevano molti dei James Bond cinematografici?).

Quindi, a rischio di fare la figura del parvenu arricchito (magari…), mi sono fatto un regalo: ho investito 49 euro in una bottiglia di Bollinger Special Cuvée, uno dei vini che preferisco in assoluto.
Si tratta del prodotto base di Bollinger, come dice il nome stesso una cuvée, quindi un assemblaggio di diverse annate e diversi cru, composto da 60% Pinot nero, 25 Chardonnay, 15 Pinot Meunier.
Le uve provengono quasi totalmente dalla vendemmia dell’anno, più il 10% circa di vini di riserva, che possono essere raggiungere fino a quindici anni di invecchiamento.

I vini base da cui la maison ricava i suoi Champagne, fermentati in legno di rovere, sono ovviamente di livello notevolissimo, basti pensare che l’85% circa dei vigneti di proprietà è classificato Grand Cru o Premier Cru e la vinificazione è fatta solo con la prima spremitura delle uve (2050 Litri ogni 4000 Kg di uva; la seconda spremitura, detta “première taille” viene venduta ad altre cantine).
Inoltre Bollinger lascia maturare sui lieviti per almeno tre anni (i non millesimati, molti di più i grandi vini), contro i quindici mesi previsti dal disciplinare

Ok, bei discorsi, ma alla fine come è questa Special Cuvée?
Giallo dorato brillante, mentre si versa forma una spuma esplosiva: gonfia e persistente, così come le bolle, numerose e finissime e setose, per nulla aggressive al palato.

L’olfattivo è ricchissimo: pan di spagna, limone, ananas, arachidi, leggera speziatura e tostatura.
Ricordo che una volta, a proposito dello stesso vino, lessi il descrittore “olio di semi di girasole” e mi sembrò una minchiata colossale, ma in effetti ce n’è un ricordo.

In bocca è ben secco ma non tagliente, più fresco che sapido, pieno senza essere opulento: la potenza del pinot nero è ben controllata dal corpo e dall’assemblaggio con gli altri vitigni, così come le durezze sono stemperate dalla malolattica e dal leggero dosaggio (otto, nove grammi per litro). Tornano la panificazione e la sensazione citrina.
Finisce elegante, con un retro olfattivo abbastanza lungo.

Sicuramente da consumare a tutto pasto, ma stasera io sono pigro e degusto con prosciutto San Daniele, parmigiano e focaccia genovese: grande abbinamento, semplice e da piacere puro.
Un pochino mi vergogno, pensando che un vino del genere meriti di più, ma poi vedo il sito di Bollinger e sorrido: nei “Pairings” (abbinamenti) consigliati, si indicano tra gli altri “parmesan, prosciutto especially Pata Negra”.

Vale i soldi che costa? Sì, no, forse.
Esiste un vino che valga più di 15 euro? E’ morale spendere quarantanove sacchi per una bottiglia?
Io non so rispondere e so che sicuramente non posso permettermelo tutti i mesi, ma di certo per chi ama le bollicine è una esperienza notevole.
Ci tengo a far notare che uno dei punti di forza di maison come Bollinger è la costanza: quando tiri fuori i soldi sai cosa comperi e sei certo che non ci saranno sorprese.
C’è meno poesia rispetto al “prodotto unico”, forse, ma visto l’impegno economico direi che ne vale la pena.

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Picech: verticale con prosciutto

Uno degli elementi che più distingue la Cantina du Pusu dell’amico Tassara è l’organizzazione di bellissime degustazioni incentrate di volta in volta su specifici produttori da lui selezionati, così da farli conoscere al pubblico della sua enoteca.

La prima di una serie notevole che si terrà nei mesi di Novembre e Dicembre, è quella con il simpatico e modesto Roberto Picech, produttore del Collio che dal 1989 ha preso in mano l’azienda di famiglia.

Roberto PicechRoberto, per il secondo anno consecutivo, non è sceso in Liguria da solo: ha preferito accompagnare i suoi vini con un monumentale prodotto del territorio, il prosciutto di Cormons del produttore D’Osvaldo, che ha offerto tagliandolo “al coltello” con maestria per tutta la durata della degustazione.

La proposta della serata era incentrata sull’assaggio del bianco Jelka in una verticale delle varie annate dal 2010 al 2004, più il Collio Rosso (uvaggio di cabernet franc, cabernet sauvignon e merlot e il Riserva Ruben (80% merlot, 20% cabernet sauvignon).

Lo Jelka (dal nome della mamma di Roberto) è un blend di malvasia, friulano (ex tocai) e ribolla, vinificato senza lieviti selezionati e senza controllo della temperatura. Parte delle uve fanno una macerazione di circa 12 giorni (ma il periodo varia di anno in anno, in sostanza le bucce vengono tolte al momento della completa conversione degli zuccheri). Affinamento in botte grande e tonneaux.

Senza spaccare il capello con noiose note di degustazione per ogni singola annata, non si può non notare personalità e differenza di ogni bottiglia, pur nella continuità di una riconoscibile linea comune regalata dal territorio: si tratta di vini secchissimi, di buon corpo e alcolicità robusta (13.5 / 14 gradi), minerali, decisamente sapidi e gradevolmente complessi.

Nello specifico: il 2010, pronto ma pur sempre nella sua infanzia, evidenzia enormi potenzialità di invecchiamento, mentre il 2009 e 2006 sono i più rotondi e morbidi del lotto.
Clamoroso il 2004: otto anni sulle spalle e ancora dritto, verticale, freschissimo e sapido, intenso ma delicato e complesso (liquirizia, camomilla), decisamente persistente, pronto ad altrettanto invecchiamento.

Bei vini in vendita ad un prezzo corretto e che, data la spiccata sapidità ed alcolicità, sono adatti all’abbinamento con cibi grassi, succulenti e a tendenza dolce: formaggi non troppo stagionati, salumi, risotti di pesce e crostacei.

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Forster Ungeheuer Riesling Spatlese 2004, Werlé Erben

Ancora riesling, da un produttore piccolo e poco noto (praticamente non si trovano notizie su internet) consigliato dall’amico Tassara della Cantina du Pusu.
Prezzo al pubblico: circa 30 Euro.

Forster Ungeheuer Riesling Spatlese 2004Solito casino tedesco in etichetta, cerchiamo di decodificare: l’azienda è Werlé Erben di Forst, nella regione dello Pfalz (Palatinato)
Il vigneto è Ungeheuer, pare rinomato per la produzione di vini di grande eleganza.

La denominazione è Spatlese, e la vinificazione non è troken (secca) ma “tradizionale”, quindi con residuo (anche se non eccessivo, infatti gli zuccheri sono stati convertiti fino a 10 gradi finali), vinificato in legno e con lieviti autoctoni.

L’aspetto è un bel giallo oro, consistente; olfattivo non potente, delicato, tenue, fine. Si inizia a avvertire il mitico idrocarburo, poi mela verde, pera, frutta disidratata.

La dolcezza è percettibile ma per nulla eccessiva o fastidiosa, anche perché c’è l’elevata e controllata acidità a bilanciare. Il corpo è importante.

Direi che si beve bene con formaggi di media stagionatura, crostacei, cucina orientale agrodolce; si potrebbe tentare anche con qualche cibo piccante, ma il punto è che la bevuta è inarrestabile: una di quelle bottiglie che una volta aperta si finisce benissimo da sola.

In definitiva un grande vino, elegante, ricco e composto. Particolarmente consigliato in ragione del prezzo del tutto adeguato, seppur non popolare.

 [Aggiornamento: ecco la guida alla classificazione]

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Slow Wine Torino: gli assaggi

Torno brevemente a parlare di Slow Wine per lasciare qualche accenno sugli assaggi.

Come detto in precedenza, queste manifestazioni con centinaia di prodotti, molti tra i quali blasonatissimi e di gran nome, sono certamente interessanti ma ricadono in quella categoria che io chiamo “drink-porn”: assaggi una catasta di roba (ovvio, hai pagato e “puoi fare tutto”), ma non c’è sentimento: come fai ad immedesimarti in un vino, a decidere se sarà piacevolmente accompagnato da un cibo e da quale cibo, se si tratta di una bottiglia che gradiresti avere a tavola con gli amici o da solo in una serata speciale o quotidiana… insomma, come fai a capire tutte queste cose semplicemente con una sorsata e uno sputo?

Detto questo, il drink-porn ha il suo innegabile fascino: ti levi la voglia di provare vini che non potrai mai (o quasi) permetterti e poi curiosare bottiglie che non trovi dalle tue parti; quindi andiamo a incominciare, avvertendo che trascriverò solo le note dei prodotti che più mi hanno colpito, in positivo o negativo e che lascerò solo qualche accenno (niente descrittori psichedelici o fiumi di parole: se lo trovo spesso eccessivo nel caso di degustazioni ragionate, figurarsi in queste occasioni da una botta e via).

Appena arrivato, molti dei vini sono caldi (una roba da vergogna per una presentazione di questo tipo), quindi devo stravolgere il percorso che avevo previsto, vagando con poca logica per almeno i primi trenta minuti.

Grande Radikonlo Slatnik 2010 ha uno spettro olfattivo di ottima complessità ed eleganza, mentre la Ribolla Gialla 2004 è un vero monumento di sapidità, mineralità e speziatura. Grandissimo vino.

Di Trentino e Alto Adige scelgo Cantina Terlano: mi impressiona la potenza e la struttura dello Chardonnay 1999.
Resto perplesso invece con il Filii di Pojer & Sandri, che mi viene presentato come un tentativo italiano di avvicinarsi a certi riesling della Mosella (bassa gradazione, freschezza e profumi): non mi convince per la risicatezza del corpo e per la eccessiva semplicità

Ferrari: pazzesco il Trento Brut Giulio Ferrari Riserva del Fondatore. In carta era scritto 2002, ma mi pare di ricordare che in realtà fosse presente il 2005. Poco importa: uno spumante che non avevo mai assaggiato è che ha davvero cambiato il modo in cui guardo  questa cantina: bolla delicatissima e cremosa, complessità e finezza olfattiva (pasticceria, floreale), corpo ben presente ma per nulla pesante.

Il problema è proprio Ferrari: dopo il Giulio ho fatto il giro dei Franciacorta (i vari blasonatissimi Cavalleri, Cà del Bosco, Bellavista), che, pur nella loro piacevolezza, sono sembrati letteralmente sbiaditi nel confronto.

Chiudo i bianchi con un grande vino: il Trebbiano d’Abruzzo 2007 di Valentini: potente e complesso, con meravigliosi accenni di idrocarburo.

Per i rossi mi piace ricordare il Primitivo di Manduria Es 2010 di Gianfranco Fino, molto discusso in questi ultimi due anni e che non avevo mai assaggiato. Mi ha colpito come un vinone da 16,5 gradi (!), bellissimo da vedersi, possa restare fine, facilmente bevibile e continuare a rivelare ampiezza di sentori.

Passo in Sicilia, e ritrovo il miracolo di Arianna Occhipinti: il suo Frappato 2010 è il rosso dalla bevuta più coinvolgente che io conosca, e pensare che un vino così sfaccettato e delicato provenga dal caldo sud, lo rende ancora più intrigante.

 

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Nosiola 2009, Cantina Rauten

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo si aggira attorno ai 16 Euro]


Nosiola RautenIl Trentino Alto Adige è la terra di molti dei vini italiani che preferisco: vini del nord, quindi freschi, facilmente bevibili senza essere banali e, vivaddio, spesso acquistabili ad un prezzo umanamente sostenibile.

Il paesaggio spazia dalla Piana Rotaliana, immensa pianura coltivata a pergola trentina che si estende a perdita d’occhio fino alle alture che la proteggono, per arrivare a zone più impervie nelle quali la coltivazione dell’uva diventa un fatto eroico.
Le numerose vallate, il gran numero di corsi d’acqua e di laghi, la forte escursione termica giorno-notte, l’azione mitigatrice dei venti (l’“ora del Garda”) e in generale la ricchezza della natura, oltre e favorire la aromaticità del frutto, suggeriscono un preconcetto favorevole nei moderni amanti del vino, che cercano non solo un prodotto piacevole ma anche contatto con il territorio e rispetto dell’ambiente.

In questo scenario ideale, costellato da un numero considerevole di produttori di notevole diversità (da colossi come Ferrari alle cantine sociali, passando per numerosi piccoli produttori, quasi tutti accomunati da grande rigore nella ricerca della qualità), nella tradizionalmente vocata valle del Sarca cresce la Nosiola della azienda Rauten: un vino prodotto in pochissime bottiglie da agricoltura biologica.

Alla vista si presenta di colore paglierino caldo, mentre l’olfattivo è delicato di floreale e di fieno, con un tocco minerale.
Secco, fresco e lievemente sapido, ha struttura e complessità notevoli, immagino dovute alla macerazione di una settimana sulle bucce, alla lunga permanenza sui lieviti in botte di acacia e all’anno e mezzo di affinamento in bottiglia.
Estremamente bevibile nonostante i 13 grandi, chiude con un finale gentile di nocciola, coerentemente alla denominazione del vitigno.

Un vino elegante, di buona complessità e piacevolezza, che io ho accompagnato con successo ad una torta di verdura, ma che ritengo adatto anche a carni bianche, primi piatti leggeri, pesce.

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Slow Wine 2012

Slow WineContinuo a pensare che le guide in genere e quelle dei vini in particolare servano a poco e che i punteggi siano una mostruosità che sfiora il ridicolo; nonostante questo per il secondo anno consecutivo mi sono sciroppato due ore di trasferta in auto per assistere alla presentazione della guida che più rientra nei miei canoni di leggibilità: Slow Wine.

Ora, siccome il mio approccio eretico al mondo del vino prevede che le bottiglie si aprano a tavola e si scolino con accanto forchetta e coltello e non taccuino e penna (o peggio smartphone), trovo che la degustazione seriale con la quale ci si approccia a queste occasioni sia moralmente ed esteticamente paragonabile all’ascolto dei dischi o alla visione dei film al tempo di youtube (cerchi qualsiasi cosa, trovi qualsiasi cosa, inizi a fruirne e se gradisci nei primi 10 secondi tutto bene, altrimenti via con la prossima ricerca), quindi un abominio.

Detto quanto sopra, i provinciali come me che non hanno frequentemente grandi occasioni di assaggio, difficilmente resistono alla tentazione di calarsi in un giardino dei balocchi di “1000 etichette, 600 cantine“, dunque, si parte sfidando il nevischio autostradale e lo sguardo severo di Carlin Petrini, ché sul sito l’organizzazione chiede di arrivare in bici, con i mezzi pubblici o con il “Road Sharing”; purtroppo la distanza, Tenitalia e l’indole personale spazzano via le tre opzioni nell’ordine.

Slow WineLa degustazione inizia alle 15 e ho la mattinata per girare in un Salone del Gusto non ancora strabordevole di visitatori; in particolare ho la possibilità di “fare fondo” col cibo in previsione della tempesta alcolica del pomeriggio.
Si potrebbero scrivere righe gustose (ma non è il caso) sulla fenomenologia dei vari visitatori del Salone (me compreso), che svariano senza soluzione di continuità dagli scofanatori abbruttiti di qualsiasi cosa abbia vaghe sembianze edibili (e tutte sono, rigorosamente “buonissime, senti qui!”), ai fighetti che conoscono tutti i formaggi della Slovenia e ne discettano con competenza facendo le pulci al produttore.

L’ubicazione del Rito è descritta come la “scenografica Rampa Nord del Lingotto”; scopro, chiedendo, che occorre uscire dal Salone del Gusto e camminare a casaccio lungo il perimetro del gigantesco complesso, poi, da qualche parte (dove?) rientrare. Dopo essermi perso richiedo, e stavolta mi dicono di salire al primo piano, attraversare il centro commerciale interno al Lingotto e poi scendere. Poco prima di chiamare la protezione civile mi sono fortunatamente scontrato con una carovana di altri dispersi adoratori di Bacco: assieme ci siamo fatti forza e abbiamo raggiunto il campo base. Prima nota per l’Organizzazione del prossimo anno: mettere qualche cartello e spiegare agli inservienti dove è la degustazione potrebbe essere una opzione non sgradevole.

All’ingresso, nuovo piccolo disagio: io, come molti altri, ho acquistato il biglietto via internet proprio per evitare le code, ma se tu, Organizzazione, vuoi che TUTTI (sia coloro che hanno pagato, sia quelli che devono ancora pagare) debbano stare nella stessa fila perché TUTTI devono ricevere un bigliettino che TUTTI consegneranno 10 centimetri più a lato per poter ricevere il classico bicchiere, è chiaro che il vantaggio di avere pagato una settimana prima è quantomeno discutibile. Se poi c’è una sola macchinetta che stampa il bigliettino in questione, e se si inceppa, e se i ragazzi addetti non hanno idea di come estrarre e rimettere il nastro, mi sovviene una altra annotazione geniale per l’Organizzazione: due file distinte, due macchinette (e magari una di backup) e un minimo di istruzione agli addetti.

Slow WineFinalmente entro, e scopro che la scenografica Rampa di cui sopra è, effettivamente, una rampa concentrica che si snoda dal piano terreno fino alla sommità del complesso, e ad ogni piano sono ospitate diverse regioni.
Lasciando perdere il fatto che le regioni presenti ad ogni piano sono segnalate con un pittoresco cartoncino vergato con penna a punta fine, e tralasciando che non mi è stata fornita neppure una piantina con gli espositori (che però immagino esistesse, perlomeno mi pare di averlo sbirciata nelle mani di pochi fortunati), resta che questa distribuzione logistica costringe gli eccentrici che volessero organizzare la propria visita secondo la sequenza spumanti-bianchi-rossi-dolci ad un saliscendi abbastanza estenuante.
Quindi, altre note per l’Organizzazione: ad una mostra il cui ingresso costa 50 euro mi piacerebbe non si dimenticassero di fornirmi una mappa e che i cartelli fossero leggibili; se poi si riuscisse ad avere tutti i produttori alla stessa quota altimetrica, sarebbe il massimo.

Slow WineInizio il giro dei produttori e scopro che tutti i vini spumanti e bianchi sono caldi: pare siano stati messi in fresco da solo 30 minuti; ne consegue l’ennesima nota per gli Organizzatori: ricordare il noto teorema che dice che una bottiglia immersa nel ghiaccio non scende alla temperatura desiderata nel volgere di un desiderio.

Dopo svariate discese ardite e risalite della Scenografica Rampa, trovo modo di scomodare ancora una volta l’Organizzazione: molti banchi avevano una sputacchiera in comune per più produttori, per di più piuttosto piccola. In una manifestazione così affollata la cosa può rivelarsi particolarmente spiacevole, e non vado oltre.
Ultima raccomandazione: verso le 17.30 le bottiglie d’acqua fornite per sciacquare bicchieri e bocca erano terminate in molti banchetti; credo che si potessero coprire le spese di qualche cartone di minerale aggiuntiva…

Commento finale sulla manifestazione: la scelta del Lingotto è felice (facile da raggiungere con i vari mezzi e ben dotato di parcheggio), ovviamente la selezione di vini è clamorosa, c’è ricca offerta di grissini e parmigiano per asciugare lo stomaco, nonostante la folla gli spazi sono vivibili e il personale FISAR è molto cortese; di contro, capisco che il punto di forza di questo evento siano la qualità e la quantità dei vini, ma una rassegna di questo tipo e il relativo costo di ingresso devono poi godere di una pianificazione di pari livello: lo scorso anno a Milano il tutto mi era sembrata decisamente meglio organizzato.
Vedremo il prossimo anno, tanto sono sicuro di ricascarci.

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Retsina Ritinitis Nobilis

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo si aggira attorno ai 15 Euro]

Parli di Retsina e a molti viene in mente un bianco greco poco importante che deve la sua particolare fama ad un esagerato aroma di resina; in realtà si parla di storia dell’enologia: 2000 anni fa ad Atene la resina di “Pinus Halepensis” veniva usata come sigillo per preservare dall’ossigeno il vino nelle anfore, caratterizzando di conseguenza l’aromaticità del prodotto. Passati i secoli, la resina viene semplicemente aggiunta al mosto d’uva durante la fermentazione.

retsinaLa commercializzazione di un vino dozzinale è proprio il contrario di quello che si prefigge il produttore di questo “ritinitis nobilis“, che già dalla bottiglia elegante palesa l’ambizione di riposizionare la tipologia in ambito qualitativo più elevato.
La chiusura a vite garantisce l’assenza di aromi indesiderati, e l’etichetta dichiara l’utilizzo di uve selezionate (varietà Roditis, raccolta a Corinto), di processi produttivi allo stato dell’arte e di una aggiunta di resina attentamente bilanciata.

Il vino si presenta cristallino, giallo paglierino-verdolino e abbastanza consistente; il naso è intenso, dominato dalla resina e dal suo distintivo sentore mentolato-balsamco, quasi di eucalypto.
In bocca la sensazione resinosa è ancora sensibile ma fortunatamente meno marcata; il calore risulta poco percettibile (12 gradi supportati da un corpo discretamente presente); queste caratteristiche, unite alla particolare aromaticità e ad una acidità spiccata, quasi citrina, donano estrema freschezza all’assaggio.
Al retro-olfattivo torna la resina, con una chiusura leggermente mandorlata non particolarmente lunga.

In conclusione, un vino che suscita curiosità sia per l’afflato storico che per la provenienza e la metodologia produttiva inusuale. Sicuramente non un vino quotidiano o un Grande Vino, ma un prodotto di personalità, diverso da quanto siamo soliti assaggiare e nel quale può essere divertente immergersi per una piccola esplorazione storico-sensoriale, magari accompagnati da fritture o da piatti con una buona speziatura, o persino da portate di pesce arricchito di erbe aromatiche.

 

 

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Karlsmühle Lorenzhofer Mauerchen Riesling Kabinett 2007

Ancora vini del nord, ancora riesling: il produttore è Karlsmühle e siamo a Mertesdorf, lungo il fiume Ruwer (Mosella) e i vigneto di provenienza è Lorenzhof.
Si tratta di un kabinett tradizionale, quindi siamo alla base della piramide di qualità dei Qmp  (Qualitätswein mit Prädikat) e c’è residuo zuccherino.
Karlsmühle L’aspetto è tipicamente nordico, cristallino, dorato scarico.
Il naso è intenso, molto minerale e con una nettissima albicocca disidratata, poi miele; lasciandolo scaldare leggermente nel bicchiere, il profumo si esalta fino a diventare quasi inebriante, restando comunque  elegante e fine.
Al palato il residuo zuccherino è sensibile ma non stucchevole grazie alla notevole acidità. Si averte un lievissimo residuo carbonico;. freschissimo e sapido. Tornano nettamente in evidenza l’albicocca secca e il miele, e si aggiunge la pesca.
Piacevolmente semplice da bere e di bassa gradazione (9 gradi), l’unico difetto è una lieve carenza di corpo  e il finale non lunghissimo, anche se di discreta persistenza.
Abbinamento classicamente scontato (e difficile, per i non amanti della tipologia dei riesling tradizionali): salmone e gamberi, oppure come aperitivo.

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Varie espressioni del Sangiovese

Conosco poco di ONAV ma sono iscritto alla newsletter della delegazione di Genova, che mi pare organizzi con discreta frequenza degli eventi interessanti; l’ultima mail proponeva un incontro a tema “Il San Giovese in varie sue espressioni” e il 3 Ottobre ho deciso di andare a vedere di cosa si trattava.

Intanto complimenti per l’organizzazione: l’evento si è tenuto in un salone in peno centro città, facilmente accessibile sia con l’auto che con il treno, spazioso e comodo nonostante la nutrita presenza di appassionati e con un sistema video e audio dignitosi. Sembra poco ma non è così scontato.
Non ultimo, il prezzo abbordabile (15 euro i non soci, 10 i soci).

L’incontro era in realtà una passerella di alcuni prodotti della azienda Tenimenti Angelini, produttore di dimensioni ragguardevoli, con tenute che si estendono in varie parti d’Italia; la conduzione è stata affidata ad un responsabile commerciale (Dino Torrione), oltre che ad un enologo “super partes” (Marco Quaini, che, per la cronaca, a suo tempo fu il mio docente alle prime due lezioni del corso AIS).

Abbiamo dapprima ascoltato una breve presentazione della azienda (che dichiara di affidare la fermentazione ai soli lieviti autoctoni, di controllare le temperature, di ricorrere a botti di media dimensione, riservando le barrique solo a certi cru, e di evitare la filtrazione), poi l’introduzione ad alcune declinazioni del sangiovese a seconda del differente territorio (Siena, Montalcino e Montepulciano), e infine la degustazione guidata.

Un breve riepilogo delle principali denominazioni provenienti dai terroir in questione

DOC
DOCG
Siena
 
Chianti Classico (80% sangiovese)
Montalcino
Rosso (100% sangiovese grosso) Sant Antimo
Brunello (100% sangiovese grosso. Invecchiamento 5 anni – 6 per la riserva)
Montepulciano
Rosso (70% sangiovese prugnolo gentile)
Nobile (70% sangiovese prugnolo gentile)

Le impressioni di assaggio:

1- Rosso di Montalcino Val di Suga 2010 (il prezzo in enoteca dovrebbe aggirarsi attorno ai 10/12 euro)
Rubino limpido, scarico con qualche riflesso granata, buona consistenza.
Al naso frutta rossa matura e spirito (ciliege, amarene, prugne) e leggera speziatura.
All’assaggio è decisamente caldo e materico; discrete acidità e tannicità; sicuramente morbido e con una certa persistenza.
Piacevole, ma senza nulla di particolare per farsi ricordare.

2- Nobile di Montepulciano Tre rose 2009 (prezzo sui 12-15 euro)
Rubino limpido, scarico con accenno granata; più vivo al colore e forse meno consistente rispetto al vino precedente.
Secondo me l’olfattivo è lievemente meno intenso e più fine del precedente, più votato al floreale, mentre opinione esattamente opposta è stata espressa  da chi conduceva la degustazione.
In bocca è caldo, morbido, abbastanza tannico, intenso e abbastanza persistente. Mi è parso meno fresco del precedente.

3- Chianti Classico San Leonino 2008 (prezzo sui 12-15 euro)
Rubino carico, più denso e consistente dei precedenti.
Olfattivo abbastanza intenso, non particolarmente complesso: frutta rossa non troppo matura, e un curioso tocco aranciato.
Al gusto mi è parso leggermente meno caldo e morbido rispetto agli altri vini, e con una acidità lievemente più presente. Il tannino è sempre dolce, rotondo.

4- Chianti Classico Riserva Mosenese 2007 (prezzo sui 20-25 euro)
Rubino vivace e quasi impenetrabile, consistente.
Naso intenso e di una certa complessità: si iniziano a sentire accenni di tabacco e spezie.
In bocca è potente, di gran corpo e di buona lunghezza. Tannino morbido.

5- Brunello di Montalcino Val di Suga 2007 (prezzo sui 20-25 euro)
Rubino non troppo carico, riflessi aranciati. Abbastanza consistente.
Olfatto floreale (viola) e di frutta rossa matura ma non troppo. Spezie dolci.
Al gusto è caldo, morbido, rotondo, con un tannino dolce. Non troppo fresco.

La mia personalissima conclusione è che si tratta di vini ben fatti, corretti, senza sbavature, con prezzi corretti e pronti da bere fin da subito anche nelle denominazioni che teoricamente necessiterebbero di maggiore attesa.
Di contro ho riscontrato un costante calore e lieve mancanza di acidità: insomma, in generale si tratta di “vinoni”, piacevoli all’assaggio, ma temo poi difficili da bere in quantità, se non in accompagnamento a robusti piatti di cucina non certo quotidiana.

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Kerpen Wehlener Sonnenuhr Riesling Spatlese 2007 Trocken

Andiamo per ordine, che con i vini stranieri non sempre è tutto facile, e in Germania il casino si moltiplica.
Dunque, il vitigno è riesling e il produttore è Kerpen. Siamo a Wehlen, nella regione tedesca della Mosella, una delle più vocate per questa tipologia di vini. Fino qui è tutto facile.
Wehlener Sonnenuhr è il vigneto, classificato Erste Lage (che sarebbe a dire di prima categoria), comunque per questi termini e per quanto riguarda Spatlese e Trocken vi rimando ad un altro post informativo che conto di scrivere a breve.


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KerpenL’annata assaggiata è il 2007, dunque, parlando di riesling, si tratta di un prodotto ancora giovane: si dice che questi vini partano semplici e fruttati in gioventù per dare il massimo dopo un paio di lustri, arricchendosi di complessità (il mitico sentore di idrocarburo).
Il tappo è in vetro e ne sono contento: inizio a nutrire molte riserve sull’uso del sughero a tutti i costo;conto di scrivere qualcosa a proposito.
La bottiglia in questione si è rivelata leggermente spiazzante.
Vino limpido, di colore giallo paglierino molto vivo con riflessi dorati, abbastanza consistente. Il naso è abbastanza intenso e complesso, di discreta finezza e rivela miele, fiori bianchi, pesca bianca, agrumi, the, gesso, un timido accenno di idrocarburo.
Buone freschezza e sapidità, persistenza non banale.
In bocca entra leggermente dolce, con accenno di succo di mela, poi è subito secco.
Peccato il finale leggermente amaro, di mandorla, che ne sciupa lievemente la pulizia e la finezza.
In generale il vino è un pochino troppo grasso, e, stranamente, non sembra avere grande potenziale evolutivo. La sensazione di squilibrio forse deriva anche dal alcol, fuori scala per un tedesco (di solito tra 7 e 11), e i 13 gradi si sentono troppo.

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