La Voglia Matta, Genova

A volte sospendi il giudizio, perché è chiaro che non sarebbe corretto: è quello che mi è successo la prima volta che ho mangiato a La Voglia Matta, a Genova Voltri.
Era lo scorso anno, a pranzo, ed è stato chiaro fin da subito che si trattava della classica giornata storta, partita male fin da subito con il calice offerto che aveva qualche difetto e poi proseguita sulla falsariga di una medietà poco rilevante.

logoCi sono tornato, e posso dire di essere contento di essermi astenuto, ché la cena non è stata affatto disprezzabile.
Andiamo per ordine: sul posto (la famigerata “location”) c’è poco da dire, è un vicolo ben poco significativo di una zona di Genova un tempo sicuramente meravigliosa ma adesso massacrata dal porto, dall’incuria, dai cavalcavia della autostrada… Per fortuna è meglio l’interno, piuttosto curato, con qualche spunto di colorata fantasia mai troppo sopra le righe. Unici difetti: le luci poco calibrate e l’acustica: quando il locale (comunque diviso in due sale non enormi) si riempie, il rumore è fastidioso.

La proposta culinaria (che presenta chiaramente qualche velleità di innovazione) si basa principalmente sul pesce e si articola in maniera interessante in una bella selezione alla carta e in diversi menu degustazione, che a me piacciono perché permettono di assaggiare più piatti seguendo un percorso coerente deciso dallo chef.
Bella la carta dei vini, che evita di affogare in un mare di referenze e di annoiare con le solite etichette ben note, esibendo un ricarico corretto.
Proprio sui vini ho un appunto: ho scelto uno Chenin Blanc della Loira che non conoscevo. Ora, lo so che lo chenin blanc è versatile e si può trovare fermo, spumantizzato, dolce eccetera, ma se in carta non c’è  nessuna indicazione al riguardo, e la persona cui lo ordino non dice nulla, e io sto scegliendo un vino a tutto pasto, mi aspetto si tratti di un vino secco. Non è stato così, e ho ricevuto un (ottimo) vino dolce… Bastava una domanda: “E’ un vino dolce, è sicuro di quello che ha scelto?”.

Decido per un menu basato sul pesce povero e inizia la cena: buoni il pane e i grissini preparati sul posto e ottimo il prosecco colfondo offerto (chi ha versato ha omesso il nome del produttore, purtroppo).
Non mi dilungo sui singoli piatti, trovo non abbia molto senso. Di certo si avverte la volontà di proporre qualcosa di diverso, di rispettare la materia prima (che mi è sembrata di livello) e di lavorare con passione; altrettanto certamente si avverte in maniera trasversale a quasi tutte le portate la mancanza di un piccolo spunto in più, sia esso un pizzico di sale, un giro di pepe, un giro d’olio, una grattata di zenzero… insomma, di un piccolo spunto a completare un piatto comunque ben fatto, tanto più se la base è appunto “povera” e, immagino per questioni di pescato, sei costretto ad usare lo sgombro in più di un piatto.
Unica preparazione completamente sbilanciata è stato lo sgombro marinato nell’aceto: l’aceto copriva in maniera assoluta il pesce, annullandone ogni aromaticità; notevoli invece il carpaccio e il tataki. Non amo particolarmente i dolci, ma ho trovato gradevolissimi sia il biancomangiare alle mandorle che il millefoglie, nessuno dei due stucchevole.

Il servizio è stato cortese e professionale, e il conto sicuramente correttissimo. Da rivedere i tempi di preparazione: sono entrato alle 20 in punto e sono uscito dopo altre due ore e mezza, decisamente troppo.
Trovo qualche analogia con uno dei miei ristoranti preferiti a Genova, Voltalacarta: stessa volontà di ricerca, stessi mezzi un po’ risicati e medesima attenzione al prezzo finale. In questo caso decisamente meglio la carta dei vini, ma un punticino in meno alle portate, proprio a causa di quella mancanza di spunto di cui ho scritto più sopra.

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Voltalacarta: Profumi (e impressioni) d’autunno

Mi piacerebbe una volta parlare con Maurizio Pinto, lo chef di Voltalacarta a Genova, parlargli davvero, non quelle solite due parole di cortesia e circostanza che si fanno dopo la cena, quando il cuoco esce in sala.
Mi piacerebbe chiedergli, sinceramente, il perché di una tale discrepanza tra una cucina ricercata, curata, anche un pochino avventurosa se misurata con i crismi di una ristorazione genovese assai asfittica, e un contorno così poco attraente, che non mi azzardo a definire sciatto ma che, insomma, sembra quasi buttato là…

Andiamo per ordine: la serata “Profumi d’autunno” mi intriga quel tanto da invogliarmi a tornare in questo ristorante del quale ho già scritto in passato le mie impressioni ambivalenti.
La cortesia è sempre la stessa, encomiabile, così come i mille e uno tipi di pane serviti e continuamente riforniti appena il cestino accenna a svuotarsi sono una magnifica (per qualità e varietà) e crudele (impossibile non divorarli compulsivamente) ossessione.
Sempre buono il ritmo di servizio, che permette di concludere il pasto in tempi non biblici, come spesso accade in tante serate a tema, e più o meno sempre lo stesso anche il conto (35 euro, vino escluso), abbordabilissimo se accostato alla qualità e la ricchezza di una cena che nel dettaglio comprendeva:

Porcini dorati su crema di funghi alla maggiorana
Soufflé al parmigiano reggiano con crema di boraggini e tartufo
Polenta morbida con crostacei e funghi porcini
Tortelli di zucca con pesto di noci e pinoli
Cuore di baccala’ al tartufo nero con salsa ai porri e pure’ tartufato
Semifreddo di castagne con salsa ai cachi

Qualche impressione: ottima la doratura dei porcini, che si sposano a perfezione con la delicatezza della crema; meravigliosi i tortelli di zucca, con una bella pasta ruvida e piacevolmente grezza: il ripieno dolce della zucca contrasta in maniera fantastica con la aromaticità della salsa di noci e pinoli.
Non mi ha esaltato la polenta morbida con crostacei e funghi: può essere solo una preferenza personale, ma la polenta è davvero troppo liquida e i crostacei mi sono sembrati un po’ troppo cotti.
Molto buono il semifreddo, peccato una eccessiva durezza in alcuni punti, immagino dovuta al raggrumarsi delle castagne raffreddate.

Cosa non funziona, quindi?
Anzitutto la carta dei vini: forse un poco migliorata dalla mia ultima visita, ma sempre stringatissima (non sarebbe un gran problema) e soprattutto mancante di qualche etichetta più sfiziosa, curiosa.  Per gli appassionati come me, è poi davvero tristemente misera la sezione delle bollicine, sia italiane che straniere.
Se si aggiunge alla ristrettezza della scelta anche il fatto che la bottiglia scelta risulta non presente, e che quella decisa in seconda battuta c’è, ma non è a temperatura, si capisce come il fronte enoico non sia proprio il terra di conquista…

Altro tasto dolente: la logistica.
Immagino i costi di un affitto in centro, e dati i prezzi umanissimi del menu chiudo quindi un occhio sul fatto che la sala non abbia finestre, ma resta il fatto che entrando nel locale si avverte odore di cucina: non è proprio possibile predisporre un ricircolo forzato di aria, con qualche sistema di filtro?
Sempre pensando alla correttezza del conto, sono disposto a glissare sulle sedute non comodissime, su una certa rumorosità della (pur non enorme) sala e su una posateria un po’ così…
Trovo invece francamente indisponente, perché la soluzione sarebbe semplice ed economica, il tavolo traballante che hanno lamentato i signori accanto a me e il fatto che pannelli e pareti chiedano a gran voce una mano di vernice.

Ecco, io non mi spiego come sia possibile tanta cura in cucina, tanta evidente dedizione nella accoglienza, e al contempo così poca attenzione a particolari che, se pur non essenziali, sono comunque parte integrante nell’esperienza del cliente.

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