Pouilly Fume 2015, Guy Saget

Gli eno-appassionati lo sanno, con il sauvignon il “dibbattito” è garantito: Sancerre o Pouilly Fumè? Comunque solo in Francia, e in Italia al massimo in Alto Adige o Friuli, non parliamo poi di Australia o Nuova Zelanda…
Al netto del fatto che qualche mese fa ho partecipato ad un bel seminario AIS proprio sui vini di questa tipologia provenienti dalla terra dei Kiwi e non è stato proprio possibile uscirne mantenendo la classica convinzione che da quelle parti escano solo bombe di frutta, una volta assaggiati alcuni dei campioncini di finezza proposti.

Detto questo, c’è poco da fare: con gran parte dei Sauvignon non riesco ad entrare in intima confidenza, e questa bottiglia è una di quelle per le quali resto perplesso, eppure si tratti di una interpretazione tutt’altro che disprezzabile.

Parlo del Pouilly della azienda Guy Saget, che vinifica un po’ tutte le tipologie presenti nella valle della Loira (dal Muscadet al Vouvray, passando per Cremant, Mentou, Chinon eccetera).
Ovviamente Sauvignon al 100%, con una vinificazione molto standardizzata: acciaio, temperatura controllata e lieviti selezionati, immagino a tutela della aromaticità e freschezza intrinseche del vitigno.

Pur nella piacevolezza innegabile, l’intensità aromatica troppo spesso pare sovrasti le altre qualità del vino, paradossalmente rendendolo monocorde nonostante il caleidoscopio degli aromi.
Curiosamente, lo stesso mi accade molto più raramente con il riesling, chissà perché.

Ciò detto, occorre ammettere che questa bottiglia ha molte frecce al suo arco; anzitutto la fastidiosa nota di vegetale verde che spesso infesta il souvignon è tutto sommato contenuta, e non perviene il sinistro descrittore “pipì di gatto.

Denominazione: Pouilly Fumè
Vino: Pouilly Fumè
Azienda: Guy Saget
Anno: 2015
Prezzo: 18 euro

La colorazione, come scontato, vira su toni paglierino-verdolino, mentre gli aromi si esprimono piuttosto intensi nello spettro erbaceo-floreale, ma tutto sommato sono garbati; l’ingresso in bocca viaggia su ottima acidità, e associa al floreale qualche scampolo di frutto della passione.
Corpo mica tanto esile e alcol abbastanza ben mascherato (ma avvertibile appena la temperatura sale), lunghezza nella media.
Difficile dire se abbia qualche prospettiva di evoluzione: temo che al calare della freschezza possa crollare l’intera impalcatura..

Non un campione di complessità e di finezza, ma di sicuro gradevole per un aperitivo diverso o in accompagnamento a crostacei o a cibi leggermente speziati.

Il bello: gradevolezza anche per i “non esperti”

Il meno bello: manca complessità

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Solleone 2011, Tenuta Grillo

A volte ritornano, e infatti dopo due anni ho nuovamente bussato a casa di Igea e Guido Zampaglione per riprovare qualcuno dei loro vini; nella fattispecie è toccato ad una bottiglia davvero curiosa, almeno per chi come me non crede troppo nelle potenzialità di certi vitigni internazionali nel Monferrato, in particolare per il Sauvignon, che ritengo un oggetto da maneggiare con le pinze.
Mi spiego: la particolare (e robusta) aromaticità del vitigno, soprattutto in climi caldi, rischia di partorire vini estremamente caratterizzati, stucchevoli e faticosi da bere, insomma caricature di quegli esempi di eleganza che provengono da certi produttori della Francia…

Questo Solleone è dunque la particolare interpretazione del Sauvignon da parte di Guido, che aggredisce il frutto con 60 giorni di macerazione(!) e due anni di affinamento sui sedimenti.

tenutagrillo_solleoneDenominazione: Monferrato bianco
Vino: Solleone
Azienda: Tenuta Grillo
Anno: 2011
Prezzo:15 euro (in azienda)

Sessanta giorni di macerazione, dicevamo, e si sentono, ma per fortuna neppure troppo, nel senso che visivamente il liquido è giallo oro antico, compatto, luminoso, solcato da appena un velo di residuo, mentre l’olfatto racconta di erba di campo, fiori di camomilla, frutta matura ma non cotta o surmatura, e di un inusuale accenno a metà tra liquirizia e balsamico.
Il tutto accompagnato da un vago accenno di volatile che, lungi dal mortificare la bevuta, esalta lo spettro aromatico, mentre il sorso pieno e fresco nasconde alla grande i 13.5 gradi e chiude molto lungo, lasciando sul palato un accenno di tannino

Di sicuro l’abbinamento non è semplice, soprattutto se non si vuole ricorrere agli scontati formaggi… magari sarebbe da provare con una brandade di baccalà, e la temperatura di servizio è necessariamente da cantina o anche poco più.

Il vino è piacevole, ma a me resta un dubbio più “filosofico” (vabbè, non esageriamo) che degustativo: chi, alla cieca, direbbe trattarsi di un Sauvignon? Chi ne azzarderebbe la provenienza dal Monferrato?  Secondo me, molto pochi.
Per qualcuno, in tempi in cui si abusa di discorsi su territorialità e rispetto del frutto, questi possono essere limiti non da poco.

Il bello: lunghezza, aromaticità gradevolissima e tenuta a bada

Il meno bello: abbinamento complesso

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Sauvignon 2012, Camillo Donati

Quasi entusiasta per la bottiglia di Malvasia di Camillo Donati comperata a Fornovo, non vedo l’ora di provare quello che da molti è considerato il suo cavallo di battaglia.
Così, anche se forse è troppo presto (il millesimo è il giovanissimo 2012), mi armo di stappabottiglie e metto mano al Sauvignon.

sauvignon donatiDenominazione: Emilia IGT
Vino: Sauvignon frizzante
Azienda: Camillo Donati
Anno: 2012
Prezzo: 9 euro

La prima impressione è più felice rispetto a quella avuta dalla Malvasia: è dorato, con qualche particella ma non torbido, con un colore bello vivo, che sembra decisamente più evoluto rispetto a quanto dichiara l’etichetta.

Olfattivamente si ripropone qualche sentore di frutta cotta, mela e pera. Poi fieno, camomilla… Per nulla stanco, non troppo ricco ma aspettando il giusto lo spettro si infittisce di richiami.

All’assaggio la frizzantezza non è per nulla invasiva, anzi molto morbida.
Il vino è consistente, caldo, ma di nuovo, come per la Malvasia, non si avverte affatto la gradazione (14 gradi). E’ sapido, abbastanza fresco e con chisura leggermente amarognola. Buona lunghezza, superiore a quella della Malvasia.
Molto interessanti e particolari le sensazioni di assaggio che oscillano costantemente fra dolce e amaro, regalando una ottima bevibilità: la bottiglia finisce a velocità pazzesca.
Non saprei se definirlo un pregio o un difetto, ma ho difficoltà a riconoscere il varietale del sauvignon.

Al primo impatto colpisce forse meno della Malvasia (che ha dalla sua una aromaticità più intensa), ma questo Sauvignon dà l’idea di avere più stoffa, di poter durare più a lungo e di poter ambire a titoli anche più prestigiosi rispetto a quello (peraltro per me assai importante) di Grande Vino Quotidiano.

Concludo: entrambi i vini (Malvasia e Sauvignon) mi hanno suscitato le stesse sensazioni di richiamo al mondo della birra, e se si dice che il lambic è l’anello di congiunzione tra la birra e il vino, trovo che questi rifermentati in bottiglia siano all’inverso il ponte tra il vino e la bevanda di Cerere.
Roba piacevolissima: a me una cassa mista, please!

Il bello: prezzo, bevibilità, struttura
Il meno bello: alcolicità elevata

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