Emiliana 2013, Lusenti

L’azienda Lusenti possiede 17 ettari di terreno a conduzione biologica in Val Tidone, nel Piacentino, e produce vino utilizzando principalmente uve tipiche della zona: la Malvasia di Candia, l’Ortrugo, la Bonarda.
La cantina offre una serie piacevolissima di rifermentati in bottiglia che rientrano perfettamente in quella categoria che qualcuno giustamente chiama “vini glu-glu”, per dire di bottiglie magari semplici, non particolarmente sofisticate o complesse ma tremendamente facili da seccare.

L’esempio principe di questi vini frizzanti è l’Emiliana, da malvasia aromatica di Candia al 100%, che oltretutto è stata una delle prime folgorazioni che ho avuto quando ho iniziato ad occuparmi con più attenzione all’argomento vino: torbido, con una DOC sfigata sul groppone, eppure così gradevole…

emilianaDenominazione: Colli Piacentini DOC
Vino: Emiliana
Azienda: Lusenti
Anno: 2013
Prezzo: 12 euro

Paglierino con evidente velatura e perlage (ma quale perlage… qui siamo rustici: diciamo pizzicore) fine e, come ovvio, di numero e persistenza limitati.
Bella e semplice aromaticità olfattiva, di fiori freschi e frutta (pera in particolare, e un leggero agrume).
In bocca si conferma semplice e piacevole, con una struttura leggera come si conviene alla tipologia e una apprezzabile traccia sapida che bilancia bene la chiara aromaticità del sorso.
Finale senza accenni amari, bevibilità alle stelle e bottiglia terminata in un amen, anche grazie al lieve grado alcolico (11,5 gradi).

Da mettere a tavola con un bel tagliere di salumi e formaggi delicati, magari anche con verdure pastellate e fritte, senza dimenticare di agitare prima di stappare e di servire fresco ma non troppo: per me è ok sui 10-12 per poi salire pian piano durante la bevuta, esaltando la aromaticità.

Il bello: gradevolezza, bevibilità

Il meno bello:  l’aspetto molto rustico

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Malvasia Secca 2011, Camillo Donati

Camillo Donati è uno degli outsider della viticultura naturale italiana: produce in zona decisamente più nota per altri generi alimentari (Barbiano, in provincia di Parma, vicino a Felino, zona allegramente famosa per i salumi) ma è riuscito comunque a ritagliarsi una piccola notorietà con vini sinceri, che non hanno pretese di ostentata nobiltà ma piuttosto la felice voglia di accompagnare la tavola quotidiana.

I 12 ettari condotti secondo principi biologici e biodinamici sono coltivati a Malvasia, Sauvignon, Croatina, Lambrusco, Trebbiano, Barbera e Fortana; la vinificazione avviene sempre in rosso, anche per i bianchi, e non viene applicato nessun controllo della temperatura durante la fermentazione. Ovviamente si rifiutano anche i lieviti selezionati, le chiarifiche e in generale qualsiasi intervento chimico… l’unica aggiunta è una leggera solfitazione. I vini ottengono la loro caratteristica frizzantezza tramite spontanea rifermentazione in bottiglia.

malvasia donatiDenominazione: Emilia IGT
Vino: Malvasia secca frizzante
Azienda: Camillo Donati
Anno: 2011
Prezzo: 9 euro

Il tappo è da birra, e quando versi proprio birra sembra: la schiuma è abbondante, pannosa e imponente, naturalmente poi si dissolve subito, lasciando nel bicchiere un vino bruttino alla vista, dorato ma quasi impenetrabile per torbidezza.

L’olfattivo è di frutta cotta, camomilla, fieno… In bocca la frizzantezza è appena percettibile e l’alcol pericolosamente mascherato, quasi inavvertibile (e invece sono 13 gradi).
Ben fresco, con un accenno di sapidità e chiusura lievemente amarognola, per un finale non particolarmente lungo.

Mi ha fatto venire in mente un vino da merende, più che da pasti, e anche se capisco possa accompagnare bene svariate tipologie di cibo, lo vedo come un vino giocoso, da aperitivo, da servire all’aperto in primavera con ricchi taglieri di salumi e di formaggi non troppo stagionati.
Bel vino senza impegni (ma per nulla insulso o facilone), godibile anche nel prezzo.

Il bello: prezzo, piacevolezza
Il meno bello: olfattivo un po’ rustico

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Il Collio (ma anche Isonzo e Carso). Parte quarta: Zidarich, sul tetto del Golfo di Trieste

Zidarich

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Pioggia… è ancora la pioggia che mi accompagna quando è ora di far rotta verso il Carso, a circa 300 metri di altitudine sul tetto del Golfo di Trieste. La visita da Zidarich sarà per forza di cosa veloce e incompleta, i motivi sono i soliti: la vendemmia è appena terminata con una certa fretta e c’è molto da fare in cantina. Pazienza.

Zidarich

L’arrivo è difficoltoso: l’azienda è inerpicata nella frazione di Prepotto, il navigatore la conosce ma chissà per quale pasticcio con le strade, propone un percorso piuttosto lungo e isolato e quando si arriva non ci sono cartelli o insegne ad indicare la cantina.
Strano, anche in ragione del fatto che Zidarich ha da poco aperto nella stessa struttura anche una “osimiza” (traduco malamente con osteria)…

Ad ogni modo, il maltempo può fare quel che vuole, ma la vista dall’alto sul mare è davvero unica: se ieri eravamo nell’antro di Radikon, qui ci troviamo nel nido di un gabbiano e nessun ostacolo si protende davanti alla collina che scende sul Golfo straordinariamente ampio e profondo per noi liguri, abituati a ben altre asperità.

E’ su questi declivi di roccia calcarea, permeabile e coperta da un sottile strato di terra rossa, totalmente indifesi rispetto al vento che già oggi spazza e che immagino  per molti giorni l’anno ancora più robusto e tagliente,  che crescono gli otto ettari aziendali piantati a Vitrovska, Malvasia, Sauvignon, Terrano e Merlot, da cui si ricavano circa 25.000 bottiglie l’anno.

La costruzione che ospita cantina e osimiza è sicuramente affascinante: terminata recentemente, si sviluppa su vari livelli, da quello superiore tutto vetrate fino a scendere a venti metri di profondità nella roccia scavata in nicchie, anfratti e gallerie, tenute a bada da volte in pietra.

Zidarich

Le vinificazioni sono improntate a quel rigore naturalistico che ormai bene conosciamo: massima selezione in vigna, lieviti autoctoni, macerazione anche per i bianchi (molto meno pronunciata rispetto a quanto accade con i vini di Radikon) , nessuna filtrazione, affinamento in grandi botti di rovere, minima aggiunta di solforosa.
Ne risultano vini particolari ma non estremi, molto personali ma che a mio modo di vedere non travalicano i confini della piacevolezza di bevibilità e che immagino possano essere graditi anche ai non fanatici della naturalità.
I canoni comuni sono quelli di una lieve opalescenza visiva (causata evidentemente dalla non filtrazione), di ottima freschezza e soprattutto da evidente ed estrema mineralità, declinata in sapidità e aromi di pietra focaia.
Nel dettaglio, la Malvasia 2011, olfattivamente ricca di frutta gialla matura e miele, in bocca è comunque bella affilata e non stucchevole; il Prulke 2011(uvaggio di Sauvignon, Malvasia e Vitovska) è più complesso, cangiante, vira dal floreale e aggrumato fino alla albicocca disidratata, con un sorso teso e scattante.
Il pezzo più pregiato del bianchi è  la Vitovska 2011, vitigno locale un tempo un po’ bistrattato e ora in gran spolvero; c’è tutto per definirlo un grande vino, l’olfattivo è ricchissimo e cangiante, floreale di camomilla, spezie, agrume, minerale… Bevibilità stellare e buona lunghezza.
Tutti vini bianchi (o meglio, orange) da servire a temperature da rosso giovane, in modo da placare la leggera tannicità e non mortificare il notevole spettro aromatico.
Una sorpresa bella e interessante il Terrano (dal nome del vitigno omonimo, autoctono, del quale non avevo mai assaggiato nulla): colore rubino accesissimo, fragranza di frutti di bosco, leggera speziatura e acidità spiccata. Mi sembra molto bevibile e lo immagino ottimo in accompagnamento a salumi.

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Il Collio (ma anche Isonzo e Carso): Ronco del Gelso

Ronco del Gelso

Collio[Prosegue da qui]

Quando si dice la programmazione… per vari motivi il mio viaggio nel Collio è arrivato in un momento non particolarmente indicato: pioggia e vendemmie ancora in corso (o appena ultimate) non sono certo le condizioni più adatte ad un viaggio a sfondo enoico, sia dal punto di vista prettamente turistico che da quello riguardante il rapporto con i produttori da visitare, oggettivamente indaffarati in questioni ben più importanti rispetto alle curiosità del sottoscritto…

CollioCollioDi certo immaginavo il territorio più scarno, brullo, quando invece, partendo dal pianeggiante limite meridionale segnato dall’Isonzo, si ondeggia in un susseguirsi di rilievi dolci e riccamente verdeggianti, costellato di piccoli paesini ordinati e immersi in un mare di vigne e di tranquillo silenzio.
Qualche ora di sole mi ha permesso di sfruttare la Vespa gialla messa a disposizione da Picech con cui ho attraversato a casaccio le colline (attenzione al telefono: ci si muove costantemente sul confine con la Slovenia, a volte superandolo senza accorgersene, e se il roaming dati è attivo, si rischia di drenare velocemente il credito residuo…), restando stupefatto dalla concentrazione di aziende agricole, molte famosissime, altrettante note solo per averne letto chissà dove, moltissime altre a me sconosciute.

Ronco del GelsoLa prima cantina che ho visitato è Ronco del Gelso, che, avendo le sue vigne proprio sul suolo magro e pianeggiante al confine tra Collio e Isonzo, produce vini di denominazione Isonzo.
L’azienda di Giorgio Baldin produce circa 150.000 bottiglie l’anno suddivise in una ampia gamma di tipologie che ottengono spesso ottimi riconoscimenti, e che, come si legge sul sito, sono vinificate in “modo laico, lontano da rivendicazioni ideologiche”, distaccandosi quindi dalla tradizione (o forse anche da quella che attualmente è anche una moda) dei vini macerati. L’approccio è estremamente razionale, lucido: lo si capisce dalla cantina, moderna, ordinata e pulitissima, che riflette le tecniche di vinificazione adottate (lieviti selezionati, temperature controllate, acciaio o rovere a seconda della bisogna, sala attrezzata all’appassimento con controllo di temperatura, umidità e arieggiatura forzata).
Ronco del GelsoLa cantina è davvero all’avanguardia e di fatto autosufficiente dal punto di vista energetico grazie al fotovoltaico e ad una caldaia che brucia gli scarti di potatura per poi diffondere calore ovunque necessario grazie ad un impianto ad anello.

Nei vini assaggiati ho riscontrato il tratto comune di grande pulizia unita a notevole sapidità e aromaticità; vini direi gastronomici, nel senso di prodotti facili da bere senza essere banali.
Gran vino il Pinot Grigio Sot Lis Rivis, di cui preparerò scheda a parte: per ora mi limito a dire che mi ha davvero colpito per possenza di corpo e robustezza alcolica, ma acrobaticamente in equilibrio verticale, evitando di scivolare nell’eccesso. Ben fatto!
Facile e gradevole l’uvaggio Latmis (Friulano, Riesling, Pinot bianco, Traminer), molto piacevole il Friulano Toc Bas, con piacevoli accenni di nocciola e buon corpo (ho un debole per il vitigno, magari minore, ma che pur senza grandi pretese riesce sempre a sfoderare prodotti molto versatili per l’accompagnamento a tavola).
Bene la malvasia Vigna della Permuta: aromatica come dovuto ma diritta, di bella tensione sapida; piacevolmente fresco, intenso e per nulla stucchevole il passito Aut (da uva Traminer).

Meno interessanti il Riesling (un po’ anonimo, ma devo dire che raramente lo capisco quando vinificato fuori dai suoi territori d’elezione di Germania e Alsazia) e il Sauvignon, dal varietale troppo evidente (forse perché molto giovane).

[Prosegue…]

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Malvasia Skerk: il Carso in bottiglia

Malvasia Skerk

[Disclaimer: bottiglia gentilmente omaggiata da Avionblu nell’ambito della iniziativa “15 recensioni in cerca di autore”. Il prezzo dovrebbe aggirarsi attorno ai 20 Euro]

Malvasia SkerkChi legge malvasia non si aspetti un vino dolce, o comunque docile e arrotondato, che qui siamo nel cuore del duro Carso e Skerk è una azienda priva dei bollini bio-tutto tanto di moda ma sicuramente legata ad una produzione veramente tradizionale: circa 20.000 bottiglie l’anno, in vigna vengono usati solo zolfo e rame. in cantina si svolgono lunghe macerazioni in tini aperti, nessun controllo della temperatura, nessuna chiarifica e filtrazione, si usano solo lieviti autoctoni e si limita al massimo la solforosa.

Ne deriva un vino giallo paglierino carico, con una lieve velatura dovuta alla mancanza di chiarifica, all’olfatto abbastanza intenso e di buona complessità: sicuramente minerale (salmastro); si percepisce un tocco di floreale e distintamente la nespola; attendendo e scaldandolo arriva il balsamico e si rivela la aromaticità varietale della malvasia, che sfuma in frutta candita.

In bocca è secchissimo; buona la freschezza, ma a risaltare è la enorme sapidità, evidente richiamo al territorio.
C’è anche un leggero tannino, evidentemente donato dalla lunga macerazione sulle bucce.
L’unico limite che ho riscontrato è una certa carenza di corpo, che, se da un lato rende la bevuta facile nonostante i 13,5 gradi, ne mortifica un poco le grandi potenzialità.

Solitamente sono restio ad usare l’aggettivo “territoriale”, che sembra essere diventato uno degli eno-mantra del periodo, ma se esiste un vino-specchio del suo terroir, di una terra dura, povera e sferzata dal vento, lo è questa Malvasia, che si rivela vino molto interessante, in grado certamente di farsi bere con piacere dai consumatori occasionali, ma soprattutto di raccontare storie e immagini ai bevitori più attenti.

L’abbinamento consigliato sul sito è pesce e carni bianche; secondo me, il grado alcolico e la lieve carica tannica fanno pensare anche a zuppe di pesce o formaggi di media stagionatura.
Direi di servirla appena fresca, per non mortificare lo spettro olfattivo e non indurire il tannino.

 

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