Satèn, Corte Fusia

Ogni tanto mi piace rituffarmi nel mare di proposte dei Franciacorta per capire se nell’oceano di bottiglie ci sia qualcosa di nuovo che emerge. Il problema secondo me è sempre il medesimo: la qualità generale è buona con punte di eccellenza, il Consorzio lavora benissimo rispetto agli omologhi di altre denominazioni, il marchio è forte e “tira”, ma il prezzo medio è alto e secondo me c’è una diffusa mancanza di personalità.

Ho voluto provare stavolta il Satèn di Corte Fusia, una giovane azienda di cui ho letto belle cose che mi hanno incuriosito; il territorio è quello di Coccaglio, zona Monte Orfano, con 5 ettari coltivati con i classici vitigni Pinot nero, bianco e Chadonnay, da cui si ricavano circa 20.000 bottiglie l’anno, declinate in quattro tipologie: Brut, Rosé, Zero e appunto Satèn.
Ho scelto il Satèn seguendo il consiglio di una persona fidata, e anche perché tutto sommato si tratta di una tipologia che tendo solitamente a trascurare in favore del classico Brut o del “modaiolo” Dosaggio Zero.

saten_bottigliaDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Satèn
Azienda: Corte Fusia
Anno: –
Prezzo: 22 euro

I dati della scheda tecnica parlano di un vino ottenuto da uve 100% chardonnay con residuo zuccherino estremamente contenuto (2 g/l), ottenuto tramite fermentazione in acciaio e affinamento sui lieviti di 30 mesi.

E’ un bicchiere che mi lascia perplesso, si tratta di uno di quei vini di cui non si riesce a parlare con completezza: non c’è nulla di stonato o fuori posto, ma per qualche motivo non arriva nessuna emozione particolare, anzi la bevuta resta piuttosto anonima.
All’occhio trovo un verdolino paglierino con bolle sottili, mentre l’olfattivo concede qualche sbuffo di lievito molto timido e poco altro.

L’assaggio denota morbidezza da satèn, appunto, con bolle decisamente tranquille (anche un po’ troppo, a parer mio), acidità nella norma, e dosaggio ben contenuto; si chiude con qualche sentore di frutta secca, appena al limite con un finale amaro, per fortuna è solo accennato.

Nel complesso come dicevo nulla di sgradevole: un vino che forse ha il suo migliore uso a pasto, dove, in abbinamento a portate poco strutturate, è capace di farsi spalla silenziosa e tranquilla. Peccato che ad un vino di prestigio come un Metodo Classico io chieda qualcosa in più.

Il bello: discreto accompagnatore a tavola

Il meno bello: poca emozione

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Brut Cascina Clarabella

Col passare degli anni mi sono leggermente allontanato dal fenomeno Franciacorta, sia chiaro non certo per motivi di snobismo visto che provo grande ammirazione per l’operosità dei produttori e le attività di un Consorzio del quale si legge tutto e il contrario, ma che agli occhi dell’appassionato si muove con passo ben diverso rispetto ad analoghe istituzioni di altre zone.

Poco da dire anche sulla qualità: oltre alle ben note punte di eccellenza, a mia esperienza non risulta nulla meno che dignitoso; trovo semmai un certo appiattimento nella fascia media, una generica mancanza di identità, a fronte di prezzi non propriamente contenuti; forse per questo motivo la mia voglia di bolle negli ultimi tempi è stata soddisfatta un po’ meno dai bresciani e un po’ di più da francesi, da trentini, oltrepadani e piemontesi.

E’ quindi con piacere che sono tornato a comperare un vino che mi aveva accompagnato nei primi passi della mia carriera da “alcolista non professionista”, il Brut di Cascina Clarabella, azienda situata tra Corte Franca e Iseo, che oltre alla produzione vinicola si occupa di altre attività (agriturismo, alloggi, fattoria didattica eccetera) e soprattutto intraprende, come recita il sito, con il fine di “promuovere percorsi di cura ed assistenza e di sviluppare attività produttive per la creazione di opportunità lavorative per persone con disagio psichico”.

franciacorta-brut-docg-cascina-clarabella-75-clDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Brut
Azienda: Cascina Clarabella
Anno: –
Prezzo: 16 euro

Il vino in questione è composto di un assemblaggio di Chardonnay al 95% e Pinot nero al 5%; la fermentazione avviene in acciaio inox per l’85% e per il 15% in barriques, segue poi l’affinamento a contatto con i lieviti che varia dai 20 ai 28 mesi.

Nel bicchiere è canonicamente perfetto alla vista, con un paglierino luminoso e perlage fitto e sottilissimo. L’olfattivo è sottile: principalmente agrumi e un ricordo floreale.
All’assaggio è morbido: le bolle accarezzano e la acidità è corretta ma un po’ mortificata da un dosaggio che forse potrebbe essere più leggero. Chiude il sorso un tocco di tostato, forse retaggio della piccola quota di vino passato in barrique. Buona lunghezza.

Vino del tutto esente da difetti, certo piacevole come aperitivo, ma che mi piacerebbe ritrovare con una anima più decisa e coraggiosa, in sostanza una verticalità meno arrotondata dal dosaggio.

Il bello: prezzo educato, vino piacevole
Il meno bello: leggero eccesso di morbidezza

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La relatività dei giudizi

Solo un accenno, poiché ho intenzione di parlare dell’argomento in maniera più estesa e razionale in qualche altro post: in questi mesi estivi ho avuto ulteriore conferma della mia teoria sulla bassissima affidabilità relativa a qualsiasi giudizio sui vini basato sulla semplice bevuta di una bottiglia.

lenza_doquetIn sostanza, ho assaggiato due bottiglie e poi le ho ri-bevute nel giro di tre settimane o un mese circa. Stessi lotti di produzione, stessi rivenditori (quindi eguali condizioni di conservazione).

Il risultato è sorprendente: in entrambi i casi al primo giro ho trovato vini notevolissimi, eleganti, pieni, complessi, di buona lunghezza, mentre al secondo test ho invece rilevato alcune disarmonie e finali amari.

Che dovrei fare? Acquistare un terzo campione? Francamente per chi, come me, non assaggia per professione, i due passaggi (perdipiù trattandosi di prodotti non proprio economici) sono abbondantemente sufficienti.
Certo, mi piacerebbe capire se sono stato fortunato nel primo caso o sfortunato nel secondo.

Per la cronaca, i vini erano:

Denominazione: Champagne
Vino: Premier Cru Blanc de Blancs
Azienda: Pascal Doquet
Anno: –
Prezzo: 38 euro
Denominazione: Franciacorta
Vino: Cremant
Azienda: Lenza
Anno: –
Prezzo: 25 euro

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SoloUva: approfondimenti

Giusto due righe per segnalare che su Intravino è comparsa una interessante discussione sul Metodo SoloUva, di cui avevo scritto qualche tempo fa.

Consiglio di impiegare qualche minuto, oltre che per leggere l’articolo, anche per approfondire i commenti, che riportano interessanti interventi sia tecnici che organolettici e anche gli importanti interventi di Giovanni Arcari.

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Solo Uva

Mia colpa certamente, ma non mi sono del tutto chiari gli intenti del progetto TerraUomoCielo: sul sito si dice testualmente che “segue dalla produzione fino alla vendita, aziende agricole produttrici di vino”.
Non capisco se si tratta di un protocollo commercial-agro-enologico che i partecipanti si impegnano a seguire, se c’è un aspetto consulenziale che entra in campo, o se più semplicemente si tratta di una sorta di mission, di unità di vedute, delle aziende protagoniste.
Di certo la denominazione racchiude una manciata di (piccoli) produttori, principalmente franciacortini: Camossi, Colline della Stella, Arcari&Dainesi, Ferdinando Principiano (per quanto riguarda la spumantistica) e Solo Uva.

solouvaDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Brut
Azienda: Azienda Agricola Solo Uva
Anno: –
Prezzo: 22 euro

E’ proprio a firma di questo ultimo marchio (l’Azienda Agricola Solo Uva) il prodotto che ho assaggiato in questi giorni. Andrea Rudelli gestisce un ettaro e mezzo a Chardonnay ad Erbusco, dal quale ricava 10.000 bottiglie di una sola tipologia di metodo classico dalle caratteristiche tecniche piuttosto particolari: la fermentazione viene bloccata (grazie al freddo) nel momento in cui il mosto ha ancora gli zuccheri residui necessari ad ottenere la sovrapressione in atmosfere e i gradi alcolici richiesti.
A questo punto, per la rifermentazione in bottiglia, si aggiungono solo i lieviti (sui quali ci sarà un riposo di 30 mesi) e non è necessario nessun “liquore di tiraggio”; ovvia conseguenza, la scelta di non aggiungere dosaggio prima della messa in commercio.

Ne deriva un prodotto che ha l’ambizione di sfruttare la capacità tecnica di gestire il metodo classico in modo innovativo al fine di ottenere un vino spumante il più naturale possibile, da uve raccolte nella piena maturità fenolica e senza zucchero aggiunto in alcuna fase.

Questi gli intenti, ma quali sono i risultati nel bicchiere?
Il vino è dorato con qualche ricordo verdolino e con bolla perfetta per copiosità e finezza.
Se c’è una volta in cui si può sfoderare senza tema di smentita il classico “floreale e fruttato” è questo: al naso sono ricordi di fiore primaverile e di frutta piuttosto intensi, cui si aggiunge una traccia di caramella inglese. Il tutto risulta molto giovane e fresco senza tracce di lieviti e di legni.
La somma finale è un po’ eccessiva: piacevole ma poco complessa e un tantino “gridata”.

Il sorso è educato, nel corpo come nella bolla ma anche nella freschezza e sapidità, che in verità risultano lievemente latitanti: manca un po’ di mordente, il vino è piacevole ma poco verticale, sembra un po’ seduto pur senza denunciare dolcezze poco consone ad un metodo classico (che peraltro mi pare dichiari soli 2 grammi/litro di zuccheri residui). Nessun finale amaro e lunghezza discreta.
In etichetta sono indicate raccolta 2012 e sboccatura 2014.

Vino piacevolmente “diverso”, da riprovare più avanti: a mio modesto avviso il produttore ha margini per mettere meglio a punto il processo e ottenere risultati ancora più centrati;
al momento il bicchiere è in mezzo al guado, indeciso tra un prodotto semplice, ricco di aromi e indicato come aperitivo e qualcosa di più ambizioso, per il quale mancano sicuramente un po’ di grinta e magari anche una po’ di struttura e di complessità gusto-olfattiva.

Il bello: piacevole semplicità fruttata e floreale

Il meno bello: manca un po’ di grinta

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Festival Franciacorta Genova 2014

FranciacortaAll’ingresso ti danno il libricino, che oltre a tutti i dati sul Franciacorta, dagli uvaggi, al metodo di produzione, passando per tipologie e modi di consumo, riserva una pagina per ciascuno dei 32 produttori, divisa equamente a metà per ognuno dei due vini in degustazione, con nome, millesimo e uvaggio e lo spazio per annotare le impressioni.

Ecco, quello che più colpisce del Festival Franciacorta (alla sua prima edizione a Genova) è la cura nei dettagli: quella sopra raccontata è una comodità impagabile nelle sessioni di degustazione delle varie manifestazioni, occasioni in cui hai il bicchiere in una mano, la giacca nell’altra, qualche depliant sotto l’ascella, la penna dietro l’orecchio eccetera, e per prendere un appunto devi fare i contorsionismi da fachiro indiano alcolizzato.

Le altre carinerie nei confronti dei visitatori vanno dalla brochure in formato sia cartaceo che elettronico (su chiavetta usb), al gadget portachiavi, dalla location spaziosa e luminosa (i Magazzini del Cotone presso il Porto Antico, dove si svolge solitamente anche Terroir Vino) al catering semplice ma appetitoso, dalla ricca fornitura di acqua in bottigliette ai banchi di assaggio ciascuno con la presenza del produttore e di un sommelier qualificato con tanto di termometro per verificare la temperatura di servizio.
Difficile chiedere di meglio per 15 euro di ingresso (10 per i soci AIS, Fisar, ONAV ecc.)! Il confronto con la mia visita a Vinum di pochi giorni prima è davvero impietoso…

Franciacorta

Per un appassionato di bollicine come il sottoscritto è stato un pomeriggio di festa più che di analisi degustative, inoltre, giocando in casa, ho avuto modo di incontrare tanti volti noti, sia tra il pubblico che tra i colleghi sommelier al servizio; mi limito a qualche nota veloce e sparsa sulle cose più interessanti.
Non posso non iniziare da Bersi Serlini: la signora Chiara mi ha accolto come sempre in maniera splendida e mi ha fatto assaggiare un nuovo prodotto che ho gradito molto per freschezza, vivacità o originalità: il Brut Anteprima, dalla vivacità spiccata declinata in una mela verde croccantissima. Un bidone intero per l’estate, please.

Sarebbe facile parlare bene dell’Annamaria Clementi Riserva 2005 di Cà del Bosco, così come del Pas Operè 2007 di Bellavista, ma anche inutile, vista la fama.
Preferisco quindi spendere due righe per qualche outsider (perlomeno per me) come Chiara Ziliani, che sia nel Brut che nel Saten mostrava due vini con piacevoli ed intensi accenti di lievito, il Rosé di Cortebianca, strutturato e selvatico, la delicatezza floreale del Saten 2010 de Il Mosnel, la personalità e la buona persistenza del Demetra Brut di Mirabella, la unicità dei sentori di pesca bianca del Saten di Montenisa, la verticalità carica e decisa del Brut 2009 di Vezzoli.

Piccole delusioni: Uberti, con qualche sentore scomposto sia nel Brut Francesco I che nel Comari del Salem, e Monterossa, che mi è sembrato un po’ grossolano in entrambi i vini. Spero di cambiare le mie impressioni con un prossimo assaggio.

Impressioni finali: buona qualità media, un po’ troppi vini certamente ben fatti ma senza una personalità spiccata, ma c’erano 62 prodotti in degustazione e di certo un non esperto come il sottoscritto a metà batteria inizia a perdere le capacità palatali e un po’ di concentrazione.

Che dire, se non i complimenti per la superba organizzazione e la speranza di rivedere il Festival Franciacorta dalle mie parti anche il prossimo anno (o anche prima: non mettiamo limiti alla provvidenza). Se la manifestazione fa tappa dalle vostre parti, non fatevi sfuggire l’occasione.

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Dosaggio Zero, Andrea Arici

Continua la mia esplorazione delle bolle italiane; stavolta è il turno di una Franciacorta “piccola”, nel senso dei numeri: Arici non è certo uno dei giganti della denominazione ed è anche una azienda relativamente giovane, anche se ha una certa visibilità nel circuito degli appassionati.

Il produttore ha sede a Gussago ed ha la particolarità di essere l’unico Franciacortista a sfornare solo ed esclusivamente vini a dosaggio zero: una scelta coraggiosa, specchio di una precisa filosofia che con certi distinguo tutto sommato approvo e che mi pare stia pagando in termini di risultati qualitativi (e immagino anche economici, visto che questa tipologia è sempre più presente nei listini bresciani).

Andando al sodo: non mi era mai capitato di assaggiare il Dosaggio Zero, a parte forse in occasione di qualche manifestazione, quindi mi approccio alla bottiglia con una certa curiosità.

dosaggioZeroDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Dosaggio Zero
Azienda: Andrea Arici
Anno: –
Prezzo: 21 euro

Assemblaggio al 100% di Chardonnay, 6 mesi in acciaio e poi 18-22 mesi sui lieviti.

Visivamente canonico: paglierino con qualche riflesso verdolino.
La bolla risulterà calibrata, poco invasiva e per nulla aggressiva.

L’olfattivo è esile, di crosta di pane, fiori bianchi, e con un leggero minerale declinato su ricordi affumicati. Interessante, se lasciato esprimere nel bicchiere per qualche minuto.

Ingresso secco, deciso, con calore ben presente. Ovviamente gli zuccheri residui sono completamente inavvertibili; al palato risulta fresco e soprattutto sapido, con finale di buona lunghezza nel quale prevale nettamente la mandorla.

Piacevole, ma trovo la combinazione della estrema secchezza con l’amaro della mandorla credo un po’ eccessiva: pur da amante dei vini diritti, immagino che un minimo di dosaggio forse potrebbe rendere meno estrema la bevuta, che così risulta davvero senza compromessi.

In ogni caso interessante e dotato di personalità e coraggio. Lo vedo più indicato in apertura di pasto, come aperitivo.

Il bello: vino coraggioso, senza compromessi. Grande sapidità
Il meno bello: un po’ squilibrato verso le durezze

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Sestri Les Vins 2014

Seconda edizione per la manifestazione targata Vinnatur, e stavolta il tempo ha assistito: niente diluvio e gelo come lo scorso anno. Di questi tempi è già una notizia…

Subito le note spiacevoli: ad occhio direi meno espositori ed anche meno pubblico (ma sono andato in un orario mirato, quindi può essere una impressione sbagliata), non c’è più lo sconto per i tesserati AIS, non c’è all’ingresso il libricino con l’elenco dei produttori e neppure una mappa per evitare di bighellonare a caso.
Ancora: pur essendo presente una ricca partecipazione di banchi gastronomici (molti dei quali nettamente troppo cari) e conseguente ricca dotazione di piatti e posate usa e getta, ci sono ben pochi bidoni dei rifiuti, tanto che nell’area esterna qualcuno provvede pietosamente a legare dei sacchi della spazzatura a dei sostegni.

I lati buoni: non c’è troppa calca e l’atmosfera è rilassata, il prezzo di ingresso è corretto, c’è il guardaroba, le sputacchiere vengono svuotate con solerzia, c’è buona dotazione di pane ai banchi di assaggio, soprattutto la selezione dei vini era di buona qualità media.

Qualche nota veloce e sparsa sugli assaggi: sontuoso, anche se davvero troppo giovane, il Taurasi 2008 del Cancelliere, assaggio sfortunato con la Malvasia di Donati (puzzette, un po’ troppo intense, ed è un peccato, visto quanto mi sto appassionando al produttore), bella macerazione, decisa ma non estrema, per il vermentino di Legnani.
Parlando di bolle:  mi hanno convinto più del solito i Franciacorta di Cà del Vent (ma che prezzi! 25 euro in fiera direttamente dal produttore, dai…), e ho trovato molto piacevole un prodotto che non conoscevo, il rosè Metodo Classico Oltrepo Pavese “Ancestrale” di Castello di Stefanago: succoso, ricco, morbido ma non piacione. Bello anche il riassaggio del Mira di Porta del Vento: semplice ma con gusto e personalità.

Una piccola scoperta i vini di Daniele Piccinin, bene i rossi, forse non troppo personale il pinot nero, ma a mio parere spiccano i bianchi: freschissima, bella dritta ma bevibilissima la Durella in purezza, un pochino più rotonda e complessa la versione in uvaggio con lo chardonnay. Da riprovare volentieri appena possibile.

Non posso dimenticare Casale, di cui ho trascurato i rossi (che lo scorso anno mi erano piaciuti molto): molto buono il Trebbiano leggermente macerato, ma sontuoso il Vin Santo: degna conclusione della giornata, di intensità e complessità non misurabili, profumi di salamoia, datteri, miele, cantina e mille altri… si appiccica infinitamente al bicchiere che quando ormai ero a casa, un’ora abbondante dopo l’assaggio, continuava a riproporre tutto lo spettro aromatico completo. Capolavoro.

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Franciacorta Dosaggio Zero, Faccoli

La famiglia Faccoli di Coccaglio è un produttore molto noto e celebrato tra le realtà di Franciacorta, che, come sempre più spesso capita in questi ultimi nella denominazione, ha deciso di mettere in commercio accanto al tradizionale Brut  anche un Dosaggio Zero.

Una piccola introduzione al Dosaggio Zero: fate riferimento a questo post per qualche dato un po’ più tecnico sulla categorizzazione in base al residuo zuccherino, ma parlando più in generale possiamo raccontare di una tipologia relativamente poco praticata, considerata (a torto o a ragione) esclusivamente gradita agli esperti a causa del suo profilo gustativo senza compromessi, affilato, perfino spigoloso a volte. Per amanti delle acidità estreme, insomma…
Ciò nonostante, sempre più aziende franciacortine mettono a catalogo una referenza di questo tipo, e normalmente si tratta del prodotto di punta della gamma: è solo il riflesso commerciale che accondiscende all’ennesima nicchia modaiola degli eno-fanatici o c’è altro?
Da amante delle bolle, con gusti decisamente orientati verso le durezze piuttosto estreme, ritengo il dosaggio zero un prodotto molto complicato: è facile farsi prendere la mano e sfornare l’ennesimo metodo classico sbilanciatissimo, che magari farà gridare al miracolo il piccolo manipolo degli hardcore fan, ma che poi sarà ben difficile da bere in scioltezza, e farà  altrettanta fatica a livello commerciale.

Credo esista anche un motivo più tecnico che spinge l’adozione della tipologia: l’ambiente pedoclimatico della Franciacorta nel suo complesso non è perfettamente ideale per il metodo classico, e non è un mistero che spesso si facciano vendemmie anticipate per preservare il giusto grado di acidità e per contenere la gradazione (ricordo che in Champagne la rifermentazione in bottiglia è necessaria, oltre che per la presa di spuma, anche per dare un piccolo spunto alcolico ad un vino base davvero povero di gradi).
In questo contesto, credo che portare le uve ad una maturazione più “normale”, procedendo con una lavorazione che preveda un dosaggio nettamente minore (in quanto non c’è necessità di mitigare un profilo gustativo tremendamente tagliente), possa essere una scelta oculata.
Certo, si tratta di un procedimento “senza rete”: il dosaggio zero lascia poco appello alle imperfezioni, che di sicuro possono essere mascherate da qualche goccia di liqueur d’expedition un po’ ruffiano…

dosaggio-zeroFaccoliDenominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Dosaggio Zero
Azienda: Faccoli
Anno: –
Prezzo: 30 euro

I dati tecnici riportati sul sito parlano di una composizione di 70% chardonnay, 25% pinot bianco e 5% pinot nero e di 48 mesi sui lieviti. Non è specificato, ma non ho alcuna evidenza di passaggio in legno.

Lo dico subito: la bottiglia non mi ha convinto fino in fondo, anche in ragione del prezzo non propriamente abbordabile… (edit: vedo online prezzi di 2-4 euro inferiori a quanto ho sborsato io, sappiatevi regolare).

Il visivo è da manuale per un metodo classico: giallo paglierino con accenni verdolini, bolle fini, regolari, copiose.
Poi un olfattivo di buona intensità, ricco, piuttosto orientato verso le opulenze. Il frutto è maturo e lo sfondo è molto ricco di lieviti, forse anche troppo: i 48 mesi di affinamento sui lieviti mi pare lo marchino in maniera eccessiva, facendo perdere eleganza.

L’ingresso è robusto, netto, di grande intensità e calore. Le durezze ci sono, sapidità in particolare, ma sono fin troppo equilibrate dal senso generale di opulenza e di alcolicità. Alla cieca avrei battezzato una percentuale ben superiore di pinot nero.

Il dosaggio è effettivamente inavvertibile, e la lunghezza è buona.
Berrei ora senza attendere oltre: non ho l’impressione di future grandi evoluzioni in meglio…  Vino sicuramente da pasto, troppo robusto per aperitivi, ben fatto, ma non facile da bere, trovo che manchi della agilità che caratterizza elegantemente un metodo classico.

La sboccatura indicata è quella del secondo semestre 2013.

p.s.: Dopo alcune ore si è piuttosto ingentilito, mitigando la botta dei lieviti e avanzando qualche accento floreale assieme a richiami varietali del pinot bianco.
A questo punto ho azzardato lasciandone un po’ per il giorno seguente, ma il risultato non è stato esaltante, con una netta una nota vegetale ad appiattire la complessità aromatica

Il bello: dosaggio inavvertibile, buona lunghezza
Il meno bello: opulenza e pseudocalore avvertibili in modo robusto

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Brut Blanc de Blancs, Cavalleri

Abito in provincia e ho praticamente sottocasa un’enoteca ottimamente fornita, che scandaglio periodicamente alla scoperta di nuove bolle a prezzi umani (il mio concetto di “umano” è il non superamento della soglia dei 30-35 euro).

Potrei farla breve: sicuramente dopo l’assaggio di questa bottiglia proverò ad annoiare il titolare del suddetto esercizio affinché si doti del Blanc de Blancs di Cavalleri…

Cavalleri

Denominazione: Franciacorta DOCG
Vino: Brut Blanc de Blancs
Azienda: Cavalleri
Anno: –
Prezzo: 25 euro

I dati tecnici (riportati esaustivamente in maniera esemplare sul sito): ovviamente chardonnay 100%, assemblato principalmente da uve vendemmiate nel 2010 e in piccola parte nel 2009.

La fermentazione avviene quasi totalmente in acciaio, con un 10% in botte grande e un minimo saldo in barrique, poi 2 anni sui lieviti.
Tecnicamente siamo in zona dosaggio zero, anche se la dicitura è brut.

Paglierino estremamente intenso; olfattivo finissimo e ricco, dalla netta fragranza e con sfumature tostate, passando per agrumi e classici fiori bianchi. Molto elegante.
Ingresso in bocca deciso, vivace, bolla suadente; freschezza netta che riempie il palato e lo sollecita vigorosamente senza eccessive affilature.
Piacevolissimo, ricco, pieno, polposo; si beve facilmente senza stancare, riproponendo la medesima eleganza trovata al naso.
Prima di leggere i dati tecnici sul sito, avrei immaginato un uso un po’ più deciso del legno.

Nessuna stucchevolezza, nessun amaro finale, bella lunghezza che ripropone tutta la gamma aromatica.
Ottimo vino universale, per uso da aperitivo o a tutto pasto.

Il bello: grandi eleganza ed equilibrio. Ricchezza aromatica
Il meno bello: difficile reperibilità (perlomeno dalle mie parti)

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