Unterortl: uno sguardo alla gamma

La settimana scorsa, grazie ad un incontro nella solita Cantina du Pusu, ho avuto la possibilità di esplorare più o meno l’intera gamma di vini della Unterortl, azienda altoatesina di proprietà dell’alpinista Messner ma in gestione a Gisela e Martin Aurich.

L’azienda dispone di poco più di cinque ettari attorno al colle Juval, compresi tra 600 e 800 metri di altitudine, costantemente asciugati dal vento caldo (föhn). I vitigni coltivati sono quelli tipici del nord: Müller Thurgau, Pinot Bianco, Riesling, Pinot Nero, con bassissime rese per ettaro, vinificati in acciaio o legno a seconda della tipologia, e comunque utilizzando lieviti autoctoni.

In degustazione:

  • Müller Thurgau 2012
  • Müller Thurgau 2011
  • Pinot Bianco 2012
  • Pinot Bianco 2011
  • Riesling 2011
  • Riesling 2009
  • Riesling Windbichel 2011
  • Riesling Windbichel 2010
  • Riesling Windbichel 2009
  • Riesling Windbichel 2008
  • Pinot Nero 2010
  • Pinot Nero 2009 (tappo a vite)
  • Pinot Nero 2009 (tappo in sughero)
  • Pinot Nero 2006 (tappo a vite)
  • Pinot Nero 2006 (tappo in sughero)
  • Riesling Spielerei 2008

Qualche impressione veloce: decisamente troppo giovani il Müller Thurgau e il Pinot Bianco 2012 (che difatti sono stati appena imbottigliati e non sono ancora in commercio), piacevolmente freschi e profumati i loro corrispettivi 2011: vini magari non particolarmente complessi ma facili e piacevoli da bere, danno l’idea di essere ottimi prodotti da aperitivo.

A mio modo di vedere, troppo giovani anche i Riesling 2011 e 2010, sia il prodotto “base” che il più prestigioso cru Windbichel (un vigneto ripido ed esposto a circa 750 mt di altitudine). Molto più profondo e complesso il Windbichel 2009, che tira fuori un bel carattere pietroso frammisto a pesca e pompelmo.

Curioso il Windbichel 2008, che a quanto ho capito è stato necessario declassare a IGT a causa del residuo zuccherino fuori disciplinare al termine della fermentazione: grazie a quella dolcezza più che significativa (ma ben bilanciata dalle durezze) è sembrato il più “tedesco” e il più personale della batteria.

In generale, da amante dei riesling tedeschi, ho potuto notare una netta differenza tra questi prodotti e i classici provenienti da Mosella e dintorni: alla vista il colore è decisamente più scarico e la consistenza è minore, di contro la gradazione è superiore (quasi tutti mi pare fossero sui 13.5) e, a parte il 2008, gli zuccheri residui sono bassissimi, da trocken e oltre. Anche la acidità mi è sembrata meno marcata, ma di contro c’è maggiore sapidità.
In sostanza, sono prodotti ben differenti.

Molto bene i Pinot Nero: giovane e di buone prospettiva il 2010, e estremamente interessanti i confronti vite / sughero delle due annate 2009 e 2006. La  base comune è di piccoli frutti di bosco e di una bella speziatura, che nel millesimo più vecchio si infittisce.
La diversità vite / sughero, già sensibile nel 2010, è netta nel 2006: più vivace ed esplosiva al naso la bottiglia con chiusura Stelvin, più note terrose e fungine nella tappatura “classica”. Personalmente ho preferito la versione a vite, che oltretutto sembra far presagire un invecchiamento superiore.

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Lenza, un Franciacorta outsider

Amo i vini bianchi e amo le bollicine.

Lo spumante metodo classico italiano per antonomasia è ormai il Franciacorta (ok, lo so che non posso usare i termini generici “spumante” e “bollicine”, e se Maurizio Zanella, il presidente del Consorzio per la Tutela del Franciacorta, dovesse leggere queste righe mi bacchetterebbe, ma ce ne faremo una ragione), anche se si potrebbe discutere a lungo su tante aziende di questa zona, sulle cuvée base di molti marchi blasonati e su prezzi mediamente non popolari.
Seriamente: l’espressione “Franciacorta”, caso unico nel panorama italiano, identifica un vino DOCG, un territorio (in provincia di Brescia, vicino alla parte meridionale del lago di Iseo) e un metodo di produzione (il famoso metodo classico della rifermentazione in bottiglia).

Nello specifico, la degustazione di questo venerdì presso la solita Cantina du Pusu di Rapallo, presentava la gamma di un produttore di Franciacorta tanto storico quanto poco noto al grande pubblico e non pervenuto sulle varie guide: l’Azienda Agricola Lenza.
L’azienda esiste dal 1967, è stata la prima della zona a produrre le tipologie rosé ed extra brut ed ha la particolarità di coltivare su colline terrazzate a circa 350 metri di altitudine.

E’ stata l’occasione per assaggiare un nuovo prodotto, il brut Levi: uno spumante bollicina metodo classico Franciacorta (contento, Maurizio?) da chardonnay 100%, fresco e facile, che staziona comunque 24 mesi sui lieviti (quando il minimo consentito dal disciplinare è 18), e che nelle preferenze di chi è intervenuto ha battuto il brut “storico” della casa, pure lui chardonnay in purezza, ma con 48 mesi di affinamento sui lieviti.

Terzo vino presentato, l’extra brut (chardonnay 90%, pinot bianco 10%, ben 72 mesi di affinamento), forse il prodotto che ho preferito: complesso ma non difficile, secchissimo (direi quasi un pas dosé), senza eccessi amarognoli nel finale, abbastanza lungo. Come si dice in questi casi, da berne a secchi.

Quarto vino, una tipologia che personalmente non amo ma che ha una sua nicchia di consumatori ben definita: il Saten (60 mesi sui lieviti). In realtà Lenza, non ho ben capito per quale motivo, lo chiama Cremant, ma di fatto la metodologia di produzione (chardonnay 100%, sovrapressione inferiore rispetto ai soliti 6 bar, leggero dosaggio) è quella appunto del Saten. Devo ammettere che, pur non essendo il mio territorio gustativo di elezione, la morbidezza non è eccessiva, impedendo di scadere nello stucchevole. Ad occhio, direi che è stato il preferito dal pubblico femminile.

Ultimo vino, il Rosè. Si tratta di un non dosato prodotto con una sorta di metodo solera da uve 100% pinot nero (e si sente per la pienezza del gusto, terroso e lampone in testa, e per il corpo decisamente presente). Io ho trovato anche un accenno di tannino, che da quanto mi dicono dovrebbe provenire non dal contatto con le bucce ma dal legno. Sicuramente un vino molto particolare, non adatto a tutti i palati e di certo da consumare pasteggiando, magari con pietanze sostanziose. Anche il prezzo non è per tutti: siamo sui 35 euro.

In conclusione, una bella gamma di vini, con prezzo adeguato (discutibile solo il rosé), nella quale riscontro una certa sovrapposizione tra i due brut, e non è difficile immaginare che a breve il secondo possa sparire per lasciare spazio al più fresco, differenziandolo meglio dal extra brut.

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Rossese Anfosso: piccola Borgogna in Liguria

Bella degustazione, quella di ieri presso la Cantina du Pusu di Giovanni Tassara.
Protagonisti dell’ennesimo appuntamento del fine settimana in avvicinamento al Natale , sono stati i Rossese di Tenuta Anfosso.

Tenuta AnfossoFaccio mea culpa: non ho mai dato l’importanza dovuta a questa DOC, forse perché è un nome dal blasone meno scintillante rispetto ad altre denominazioni, forse perché (come spesso accade) ci si interessa più facilmente alle cose lontane rispetto a quelle sottocasa, certamente perché per indole sono più appassionato di vini bianchi.

Sbagliavo, perché la realtà di provenienza è affascinante: territorio impervio, piccole aziende, coltivazione tradizionale ad alberello, vigne spesso decisamente vecchie o antiche (nel caso di Anfosso alcune piante risalgono addirittura al 1888); in aggiunta, le notevoli differenze territoriali e di microclima, danno vita ad una serie di cru dalle caratteristiche particolari ed uniche.
Soprattutto sbagliavo perché la batteria di Anfosso di ieri era addirittura entusiasmante.

Due note al volo sul produttore: 4 ettari di terreno per circa 20.000 bottiglie, coltiva due cru (ma ci ha raccontato di aver appena acquisito un terzo): Luvaira e Poggio Pini. Vinificazione in acciaio con temperature controllate.

I vini assaggiati:

  • Rossese di Dolceacqua 2011
  • Rossese di Dolceacqua Luvaira 2010
  • Rossese di Dolceacqua Poggio Pini 2010
  • Rossese di Dolceacqua Luvaira 2009
  • Rossese di Dolceacqua Luvaira 2008
  • Rossese di Dolceacqua Poggio Pini 2008
  • Rossese di Dolceacqua Luvaira 2007
  • Rossese di Dolceacqua Poggio Pini 2007
  • Rossese di Dolceacqua Poggio Pini 2006

Tenuta AnfossoLa traccia comune è quella di vini di grande finezza ed enorme bevibilità, con bei colori vivi e mai concentrati, aromi ricchi di speziatura, tannini mai aggressivi e acidità e sapidità spiccate ma mai fuori controllo: vini di grande equilibrio, finezza ed armonia, certamente perfetti per pasteggiare, pronti fino da subito ma capaci di buon invecchiamento.

Alcuni dettagli dei vini che mi hanno dato più emozione: Il 2010 in entrambi i cru, in particolare il Luvaira, è di beva irresistibile, perfetto già da ora, promette di diventare un campione. Da comperare e dimenticare per alcuni anni, se possibile.
I 2008 risultano essere i più muscolari del lotto, ed iniziano ad evidenziare più nettamente le differenze dei due cru: più “dritto”, fresco, scattante il Luvaira, più evoluto, complesso, ricco il Poggio Pini.
Nel 2007 la distinzione dei due vigneti è nettissima, e, a mio modo di vedere, regala la vittoria al Luvaira, che abbina acidità e mineralità di un ragazzino alla complessità aromatica di un vino evoluto. Grande vino.
Interessantissimo il Poggio Pini 2006:decisamente evoluto, presenta precisa coerenza tra colore granato e gusto-olfattivo ricco di terziari; azzarderei un vino già da dopo pasto.

Da non trascurare: vini così godibili sono acquistabili a prezzi del tutto abbordabili.

 

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Picech: verticale con prosciutto

Uno degli elementi che più distingue la Cantina du Pusu dell’amico Tassara è l’organizzazione di bellissime degustazioni incentrate di volta in volta su specifici produttori da lui selezionati, così da farli conoscere al pubblico della sua enoteca.

La prima di una serie notevole che si terrà nei mesi di Novembre e Dicembre, è quella con il simpatico e modesto Roberto Picech, produttore del Collio che dal 1989 ha preso in mano l’azienda di famiglia.

Roberto PicechRoberto, per il secondo anno consecutivo, non è sceso in Liguria da solo: ha preferito accompagnare i suoi vini con un monumentale prodotto del territorio, il prosciutto di Cormons del produttore D’Osvaldo, che ha offerto tagliandolo “al coltello” con maestria per tutta la durata della degustazione.

La proposta della serata era incentrata sull’assaggio del bianco Jelka in una verticale delle varie annate dal 2010 al 2004, più il Collio Rosso (uvaggio di cabernet franc, cabernet sauvignon e merlot e il Riserva Ruben (80% merlot, 20% cabernet sauvignon).

Lo Jelka (dal nome della mamma di Roberto) è un blend di malvasia, friulano (ex tocai) e ribolla, vinificato senza lieviti selezionati e senza controllo della temperatura. Parte delle uve fanno una macerazione di circa 12 giorni (ma il periodo varia di anno in anno, in sostanza le bucce vengono tolte al momento della completa conversione degli zuccheri). Affinamento in botte grande e tonneaux.

Senza spaccare il capello con noiose note di degustazione per ogni singola annata, non si può non notare personalità e differenza di ogni bottiglia, pur nella continuità di una riconoscibile linea comune regalata dal territorio: si tratta di vini secchissimi, di buon corpo e alcolicità robusta (13.5 / 14 gradi), minerali, decisamente sapidi e gradevolmente complessi.

Nello specifico: il 2010, pronto ma pur sempre nella sua infanzia, evidenzia enormi potenzialità di invecchiamento, mentre il 2009 e 2006 sono i più rotondi e morbidi del lotto.
Clamoroso il 2004: otto anni sulle spalle e ancora dritto, verticale, freschissimo e sapido, intenso ma delicato e complesso (liquirizia, camomilla), decisamente persistente, pronto ad altrettanto invecchiamento.

Bei vini in vendita ad un prezzo corretto e che, data la spiccata sapidità ed alcolicità, sono adatti all’abbinamento con cibi grassi, succulenti e a tendenza dolce: formaggi non troppo stagionati, salumi, risotti di pesce e crostacei.

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Forster Ungeheuer Riesling Spatlese 2004, Werlé Erben

Ancora riesling, da un produttore piccolo e poco noto (praticamente non si trovano notizie su internet) consigliato dall’amico Tassara della Cantina du Pusu.
Prezzo al pubblico: circa 30 Euro.

Forster Ungeheuer Riesling Spatlese 2004Solito casino tedesco in etichetta, cerchiamo di decodificare: l’azienda è Werlé Erben di Forst, nella regione dello Pfalz (Palatinato)
Il vigneto è Ungeheuer, pare rinomato per la produzione di vini di grande eleganza.

La denominazione è Spatlese, e la vinificazione non è troken (secca) ma “tradizionale”, quindi con residuo (anche se non eccessivo, infatti gli zuccheri sono stati convertiti fino a 10 gradi finali), vinificato in legno e con lieviti autoctoni.

L’aspetto è un bel giallo oro, consistente; olfattivo non potente, delicato, tenue, fine. Si inizia a avvertire il mitico idrocarburo, poi mela verde, pera, frutta disidratata.

La dolcezza è percettibile ma per nulla eccessiva o fastidiosa, anche perché c’è l’elevata e controllata acidità a bilanciare. Il corpo è importante.

Direi che si beve bene con formaggi di media stagionatura, crostacei, cucina orientale agrodolce; si potrebbe tentare anche con qualche cibo piccante, ma il punto è che la bevuta è inarrestabile: una di quelle bottiglie che una volta aperta si finisce benissimo da sola.

In definitiva un grande vino, elegante, ricco e composto. Particolarmente consigliato in ragione del prezzo del tutto adeguato, seppur non popolare.

 [Aggiornamento: ecco la guida alla classificazione]

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