Sauvignon 2012, Camillo Donati

Quasi entusiasta per la bottiglia di Malvasia di Camillo Donati comperata a Fornovo, non vedo l’ora di provare quello che da molti è considerato il suo cavallo di battaglia.
Così, anche se forse è troppo presto (il millesimo è il giovanissimo 2012), mi armo di stappabottiglie e metto mano al Sauvignon.

sauvignon donatiDenominazione: Emilia IGT
Vino: Sauvignon frizzante
Azienda: Camillo Donati
Anno: 2012
Prezzo: 9 euro

La prima impressione è più felice rispetto a quella avuta dalla Malvasia: è dorato, con qualche particella ma non torbido, con un colore bello vivo, che sembra decisamente più evoluto rispetto a quanto dichiara l’etichetta.

Olfattivamente si ripropone qualche sentore di frutta cotta, mela e pera. Poi fieno, camomilla… Per nulla stanco, non troppo ricco ma aspettando il giusto lo spettro si infittisce di richiami.

All’assaggio la frizzantezza non è per nulla invasiva, anzi molto morbida.
Il vino è consistente, caldo, ma di nuovo, come per la Malvasia, non si avverte affatto la gradazione (14 gradi). E’ sapido, abbastanza fresco e con chisura leggermente amarognola. Buona lunghezza, superiore a quella della Malvasia.
Molto interessanti e particolari le sensazioni di assaggio che oscillano costantemente fra dolce e amaro, regalando una ottima bevibilità: la bottiglia finisce a velocità pazzesca.
Non saprei se definirlo un pregio o un difetto, ma ho difficoltà a riconoscere il varietale del sauvignon.

Al primo impatto colpisce forse meno della Malvasia (che ha dalla sua una aromaticità più intensa), ma questo Sauvignon dà l’idea di avere più stoffa, di poter durare più a lungo e di poter ambire a titoli anche più prestigiosi rispetto a quello (peraltro per me assai importante) di Grande Vino Quotidiano.

Concludo: entrambi i vini (Malvasia e Sauvignon) mi hanno suscitato le stesse sensazioni di richiamo al mondo della birra, e se si dice che il lambic è l’anello di congiunzione tra la birra e il vino, trovo che questi rifermentati in bottiglia siano all’inverso il ponte tra il vino e la bevanda di Cerere.
Roba piacevolissima: a me una cassa mista, please!

Il bello: prezzo, bevibilità, struttura
Il meno bello: alcolicità elevata

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Malvasia Secca 2011, Camillo Donati

Camillo Donati è uno degli outsider della viticultura naturale italiana: produce in zona decisamente più nota per altri generi alimentari (Barbiano, in provincia di Parma, vicino a Felino, zona allegramente famosa per i salumi) ma è riuscito comunque a ritagliarsi una piccola notorietà con vini sinceri, che non hanno pretese di ostentata nobiltà ma piuttosto la felice voglia di accompagnare la tavola quotidiana.

I 12 ettari condotti secondo principi biologici e biodinamici sono coltivati a Malvasia, Sauvignon, Croatina, Lambrusco, Trebbiano, Barbera e Fortana; la vinificazione avviene sempre in rosso, anche per i bianchi, e non viene applicato nessun controllo della temperatura durante la fermentazione. Ovviamente si rifiutano anche i lieviti selezionati, le chiarifiche e in generale qualsiasi intervento chimico… l’unica aggiunta è una leggera solfitazione. I vini ottengono la loro caratteristica frizzantezza tramite spontanea rifermentazione in bottiglia.

malvasia donatiDenominazione: Emilia IGT
Vino: Malvasia secca frizzante
Azienda: Camillo Donati
Anno: 2011
Prezzo: 9 euro

Il tappo è da birra, e quando versi proprio birra sembra: la schiuma è abbondante, pannosa e imponente, naturalmente poi si dissolve subito, lasciando nel bicchiere un vino bruttino alla vista, dorato ma quasi impenetrabile per torbidezza.

L’olfattivo è di frutta cotta, camomilla, fieno… In bocca la frizzantezza è appena percettibile e l’alcol pericolosamente mascherato, quasi inavvertibile (e invece sono 13 gradi).
Ben fresco, con un accenno di sapidità e chiusura lievemente amarognola, per un finale non particolarmente lungo.

Mi ha fatto venire in mente un vino da merende, più che da pasti, e anche se capisco possa accompagnare bene svariate tipologie di cibo, lo vedo come un vino giocoso, da aperitivo, da servire all’aperto in primavera con ricchi taglieri di salumi e di formaggi non troppo stagionati.
Bel vino senza impegni (ma per nulla insulso o facilone), godibile anche nel prezzo.

Il bello: prezzo, piacevolezza
Il meno bello: olfattivo un po’ rustico

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Vini naturali: addendum

Solo un piccolo post di servizio per dirmi soddisfatto del fatto di non essere isolato nella mia posizione su vini naturali, biologici e biodinamici: leggo oggi sul blog Primobicchiere riflessioni e collegamenti ad altri autori che sono sulla mia stessa stessa lunghezza d’onda.
Non che il mio pensiero sia particolarmente originale, sia chiaro, ma fa sempre piacere trovarsi in buona compagnia, e si spera che le idee sensate e razionalmente fondate si diffondano sempre di più.

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Vini naturali: moda o cultura?

“Fosfato diammonico, Dicloridrato di tiamina, Anidride solforosa, Bisolfito di potassio, Carbone per uso enologico, Gelatina alimentare, Proteine vegetali ottenute da frumento o piselli, Colla di pesce, Ovoalbumina, Tannini, Caseina, Caseinato di potassio, Diossido di silicio, Bentonite, Enzimi pectolitici, Acido lattico, Acido L tartarico, Carbonato di calcio, Tartrato neutro di potassio, Bicarbonato di potassio, Batteri lattici, Acido L-ascorbico, Azoto, Anidride carbonica, Acido citrico, Acido metatartarico, Gomma d’acacia (gomma arabica), Bitartrato di potassio, Citrato rameico, Solfato di rame, Pezzi di legno di quercia, Alginato di potassio, Solfato di calcio”.

Queste sopra sono le sostanze autorizzate nell’uso nella produzione biologica di vino, secondo il regolamento di Esecuzione 203/2012 della Commissione Europea dell’8 marzo 2012.
Così, tanto per far capire cosa si intende quando si parla di “vino biologico” secondo la legge.

BiologicoDetto questo, il vino “biologico”, “biodinamico”, “naturale”, è sempre più sulla bocca dei consumatori, in parte come conseguenza di una ricerca più generale di stili di vita salutari (vedi i vari negozi “bio”), in parte per la recente moda dei cibi “di qualità” (il successo di Eataly ne è il simbolo), ma anche come fuga da una certa massificazione del gusto.
Sono infatti passati i tempi in cui si poteva incappare in vini cattivi: le moderne pratiche enologiche hanno fatto in modo che in enoteca, ma anche al supermercato, si possano trovare la stragrande maggioranza di bottiglie tecnicamente ineccepibili, a prezzo però di una netta mancanza di identità: i procedimenti standardizzati generano vini esenti da difetti ma scarsamente identitari.

Della biodinamica abbiamo parlato in precedenza, e del biologico abbiamo detto in apertura. Il tutto ricade nel grande cappello del “vino naturale”, locuzione abbastanza fumosa, perché pur non esistendo neppure una definizione “ufficiale” (anzi, per gli enotecari è persino pericoloso usare il termine), in Italia si contano ormai diverse (troppe) associazioni di produttori che ambiscono di potersi fregiare dell’espressione in voga. Andrea Scanzi, uno dei massimi osservatori del fenomeno, ha spiegato tutto con una frase: “i vinoveristi hanno più partiti che bottiglie. In confronto, la sinistra extraparlamentare è coesa”.
Se poi aggiungiamo che, in perfetto spirito italiano, spesso tra i vari consorzi e associazioni non corre buon sangue, si capisce quanto possa essere poco comprensibile la situazione per i consumatori.

Alla fine, il minimo denominatore comune è quello del massimo rispetto possibile della natura durante la coltivazione della vigna (no ai fitofarmaci ed ai concimi chimici, per esempio) e il rifuggire dalle pratiche spericolate in cantina (in sostanza, produzioni più tradizionali ma condotte con consapevolezza moderna, ad esempio con estremo rigore per igene e travasi, senza addizioni di sostanze magiche e senza interventi dell’enlogo-guru di turno).
Ne risultano vini certamente meno massificati nel gusto, non globalizzati nell’aspetto e all’olfatto, a volte magari più scorbutici, sicuramente di resa meno costante ma di certo più personali e unici.

Tutte cose ragionevoli, visto che oggi, al di là delle mode (che ieri imponevano il vino fruttatissimo o barricato e oggi dettano le nuove parole d’ordine di acidità e mineralità), è in atto un mutamento del gusto degli appassionati: data per scontata la qualità minima sindacale, il bevitore moderno cerca nel bicchiere una piccola avventura, la capacità di distinzione da altre mille bevute, l’identità di una zona di produzione, la personalità di un vignaiolo. Cose che un vino prodotto con tecniche modernamente standardizzate e con vitigni internazionali difficilmente si possono ottenere.

Certo, non sempre le cose vanno lisce, perché il rifiuto di tecniche ben consolidate porta talvolta (sempre meno spesso, per la verità) a bottiglie se non difettate, perlomeno borderline (in questi casi, si dice pietosamente “difficili da capire”).
La drastica diminuzione di questi incidenti va a tutto vantaggio del consumatore che può così accedere con una certa tranquillità a prodotti interessanti e piacevolmente diversi, più digeribili e prodotti nel rispetto dell’ambiente.

A parte quanto sopra, credo occorra fare la tara a tutte le istanze di naturalità ostentata, e ricordare che il vino è una manipolazione dell’uomo: resta scolpita nel granito la massima di Francesco Paolo Valentini, uno dei campioni della qualità del vino in Italia: “l’uva naturalmente diventa aceto, io sono un produttore di vini artigianali“.
Per parte mia, credo che al di là delle metodologie di produzione, il vino debba essere ben fatto e piacevole; certo, se il vignaiolo non ha usato solforosa e la bottiglia è fantastica, tanto meglio, ma un vino che puzza non ha giustificazione anche se prodotto con uve bio.

Chiudo esprimendo un certo fastidio perché al carro del fenomeno, creato e tirato da agricoltori coscienziosi, mi pare si stiano attaccando anche i personaggi che vedono solo una nuova opportunità di business: se tutto è “naturale” (e con una legislazione come quella riportata in apertura è proprio così), nulla lo è, se non i vini di quei vignaioli che credono davvero nella qualità del loro prodotto e nella salvaguardia del loro ambiente, e se ne infischiano delle certificazioni e dei bollini.

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