Live Wine 2017

Sabato di trasferta a Milano per il Live Wine, e come lo scorso anno le impressioni sono largamente positive per quanto riguarda l’organizzazione: ottimo lo spazio del Palazzo del Ghiaccio, in centro ma non troppo, quindi facilmente raggiungibile sia per chi si muove con i mezzi e sia per chi, come il sottoscritto, arriva in auto (non si corre il rischio di transitare in Area C e ci sono molti parcheggi in zona: io ho prenotato un posto auto a 10 euro per l’intera giornata).
All’ingresso c’è il graditissimo guardaroba e, cosa per me fondamentale c’è spazio: anzitutto il Palaghiaccio è molto areato, ben luminoso ed è sovrastato da una volta altissima, questo consente di non trovarsi immersi in una cappa di calore opprimente e in una bolgia di rumore quando il numero di persone inizia a salire, inoltre i banchi degli espositori non sono minuscoli e hanno una distanza decente gli uni dagli altri. Quanto sopra, in unione al gran numero di produttori presenti, permette di non trovarsi davanti a code scoraggianti dinanzi a ciascuno stand, nonostante l’importante afflusso di pubblico.
Ancora, ottimo il servizio di continuo svuotamento delle sputacchiere e le bottiglie di acqua sempre presenti ai banchetti; interessanti i seminari proposti nelle due giornate.

Gli unici appunti negativi: all’ingresso vengono consegnati il classico calice e il libricino ma manca la tasca porta-calice e nel’opuscolo sarebbe gradito anche l’elenco dei vini di ciascuna azienda (ma capisco sia complesso); gli stand del cibo sono decisamente cari e manca qualche punto di relax e di appoggio in più (tavolini e sedie).
Peccato che in vari casi a presenziare presso lo stand ci sia un distributore (o comunque un terzo) e non il produttore.
Ribadisco ad ogni modo che il salone è uno tra i più godibili tra quelli che  mi capita di frequentare, quindi complimenti all’organizzazione.

Venendo ai vini: luci ed ombre, purtroppo non poche le ultime. Preciso che mi sono dedicato in gran parte a nomi non noti e che forse anche per questo mi sono imbattuto in sorprese non piacevolissime, ma d’altronde la partecipazione ad un evento del genere serve soprattutto a sparare qualche colpo a casaccio, senza aver paura di impegnare tutte le cartucce in bottiglie ignote.
Così ho incrociato qualche francese del Languedoc con vini decisamente ossidati, un paio di alsaziani con una gamma appiattita nei confronti della finezza e un tedesco che presentava riesling di invecchiamento molto poco espressivi; poi ancora un Franciacorta eccessivamente rustico e vari produttori che presentavano vini affinati in botti scolme, e forse sarebbe stato meglio se fossero rimasti esperimenti di cantina. Infine, in almeno tre casi, ho assaggiato bottiglie palesemente non pronte, vini troppo giovani per poter essere degustati.

Detta così suona come un mezzo disastro, lo capisco, ma la realtà è diversa; ho incontrato tante belle conferme, ma visto che trovo stucchevoli gli elenchi telefonici redatti durante le degustazioni seriali, quindi  mi limiterò a riportare solo pochi nomi: Barraco mi ha impressionato con le sue sapidità, De Bartoli per la precisione e la pulizia di tutti i vini presentati, mentre Guccione mi ha stordito con un blend di due annate di Trebbiano, straordinariamente elegante.

Una volta tanto, ecco la bottiglia giusta di Pepe: in varie manifestazioni mi era capitato il suo Trebbiano con puzzette un po’ troppo marcate per poterle classificare come “corredo aromatico”. Stavolta le due annate che mi sono state servite giustificavano abbondantemente blasone e prezzo.

Infine c’è un nome su tutti che mi piace segnalare, perché è solo la seconda volta che assaggio i vini di Vigneto Altura, un piccolo produttore dell’isola del Giglio, ed entrambe le occasioni le ho vissute come vere rivelazioni.
La mia prima è stata un paio di anni fa, con il suo bianco Ansonaco Carfagna: un liquido con qualche evidente lievito in sospensione che, già sorprendente sotto al naso, in bocca diventa un caleidoscopio di succhi di frutta alcolici. Ieri ho ritrovato questo vino esattamente dove e come lo avevo lasciato: dissetante, divertente, originale.
Curiosamente, proprio un paio di settimane fa parlavo con alcuni amici di questo produttore e mi erano stati magnificati anche il suo rosato e il suo rosso: confermo che, se vi capita, valgono ben più di un assaggio distratto nella calca di una manifestazione: il rosato (da sangiovese) e il rosso (un assemblaggio di tali e tante uve diverse da essere ironicamente classificato da un amico come “Chateauneuf du Pape del Gliglio”. Di entrambi ricordo i sentori distinti di macchia mediterranea e la godibilità di bevuta: vini facili ma per nulla banali, mediterranei nell’essenza.
Alla bontà dei prodotti si aggiunge poi la semplicità garbata e amichevole del produttore, che si è prestato a quattro chiacchiere tranquillo come fossimo a casa sua, limitandosi a descrivere il frutto del suo lavoro senza cadere nella retorica naturalista e della viticultura eroica.

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Catarratto 2013, Barraco

Quello del siciliano (di Marsala) Nino Barraco è uno dei quei nomi di piccolo culto nell’ambiente degli eno-maniaci, un nome che ricorre nei blog e nel passaparola dei vinoveristi. E a ragione, ché i suoi prodotti, a differenza di altri di questo “giro”, sono garanzia di correttezza gusto-olfattiva a prezzo educato.
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Denominazione: IGP Terre Siciliane
Vino: Catarratto
Azienda: Barraco
Anno: 2013
Prezzo: 17 euro

Nella fattispecie questo Catarratto dichiara già dall’apparenza la sua attitudine e provenienza: l’aspetto è quello tipico di un vino del sole, meridionale, grazie ad un giallo dorato pieno e lucente, forse anche grazie a qualche giorno di macerazione sulle bucce.

L’olfattivo è ricco e pure coerente con geografia, non per aromi surmaturi o tropicaleggianti, piuttosto a dominare sono le erbe mediterranee che accompagnare la frutta acerba e alcuni accenni di affumicato.
Viene quasi da tracciare un paragone con certi Fiano.

L’assaggio è dritto e severo, la botta salina invade decisa il palato e tiene le redini, gestendo un calore moderato. Sorso austero, verticale, con pochissime se non nessuna traccia di aromaticità, solo il leggero fumè torna a far capolino.

Vino di grande personalità, fido compagno gastronomico per pesci al forno o crostacei.

Il bello: la botta salina

Il meno bello: nulla da segnalare

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Grillo 2013, Barraco

Non è passato molto tempo da che ho tracannato il meraviglioso Grillo di De Bartoli, ed ecco che mi capita a portata di cavatappi una bottiglia con cui posso approfondire la mia conoscenza del vitigno.

L’etichetta stavolta porta il nome di Barraco, piccola azienda vicino a Marsala che produce circa 15000 bottiglie l’anno, tutte ottenute dalla vinificazione di uve autoctone: Grillo appunto, poi Zibibbo, Pignatello e Nero d’Avola.

Il sito è molto chiaro sulle modalità di produzione: per i bianchi ci sono quattro giorni di macerazione sulle bucce, poi fermentazione con lieviti non selezionati a temperatura non controllata. Malolattica spontanea, minima solfitazione, affinamento in acciaio e imbottigliamento senza filtrazione e chiarifica.

barraco_grilloDenominazione: Terre Siciliane IGT
Vino: Grillo
Azienda: Barraco
Anno: 2013
Prezzo: 13 euro

Nel bicchiere trovo un bell’oro luminoso e pulito: non sembra affatto un vino non filtrato.
Al naso arriva un bel respiro di aromi primari (uve, frutta fresca), con alcuni accenni di agrume e un graffio iodato.

L’assaggio è pieno, robusto, caldo ma maschera bene i suoi 13,5 con buona acidità e perfetta sapidità; tutto bene, a parte una lievissima scia amara nel finale che sporca appena un sorso di ottima compattezza.
Sicuramente da servire a temperatura non troppo fredda e da abbinare a cibi non troppo “light”: nel mio caso ha lavorato egregiamente con verdure fritte.

Inevitabile il  confronto con de Bartoli: questo Grillo è meno esuberante, più composto, forse più classico. Sono due vini che parlano la stessa lingua ma con accento diverso: personalmente preferisco “I Grappoli” di De Bartoli, ma è solo una questione di gusti personali, ed è anche vero che la bottiglia ha un prezzo diverso.

Il bello: sapidità e calore per un sorso mediterraneo

Il meno bello: nulla da segnalare

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