Slowfish 2013: impressioni di sfuggita

Alla fine ci sono andato, a Slowfish 2013. Per una serie di casini personali pensavo di non farcela, ma visto che avevo prenotato un Master of Food (diobuono, ma un nome meno pomposo non riescono proprio a inventarselo? C’è quasi da vergognarsi a ddirlo: “Dove vai?”, “Eh, c’ho un Master of Food…”, “Mavaff…”), mi sono ritagliato una mattinata.

Nuova ubicazione (area del Porto Antico invece che la Fiera del Mare), e conseguenti ingresso libero (bene!) e mancato tetto sopra la testa in caso di maltempo (male, ma fortunatamente non ha piovuto).
Ho avuto l’impressione di un minor numero di espositori rispetto all’ultima volta, ma potrei essere stato ingannato dalla ampiezza dell’area; di sicuro la crisi si è fatta sentire: una vocina mi ha detto che il prezzo richiesto agli espositori per uno stand è diminuito, e anche la scelta di non far pagare il biglietto ai visitatori immagino sia dovuta a questo…

Ho fatto un giro veloce, quindi butto giù poche note e pure confuse.
Il famigerato Master of Food conferma le bieche impressioni di collusione Petrini-Farinetti, infatti viene tenuto in una delle aule corso di Eataly. Nulla di nuovo, per carità, è ben noto che Slow Food e Eataly collaborino su vari progetti, ma francamente mi pare che la liason stia andando troppo oltre e che gli obbiettivi prettamente commerciali di Eataly (seppure ammantati di etica) facciano fatica a quagliare dignitosamente con le linee guida di Slow Food.
Ad ogni modo, il Master of Food è organizzato con precisione teutonica: la lezione è ripresa con una telecamera in modo da mostrare i dettagli su due grandi schermi, permettendo una visuale chiara a tutti i corsisti, ogni partecipante ha la sua postazione dignitosamente spaziosa e con tutto il necessario e viene anche omaggiato (oltre che di taccuino e matita) di due bei libri sull’argomento. A fine lezione, si mangia quanto preparato e si esce felici.

Il rapido giro per l’area espositiva è un mix di sensazioni: ci sono gli stand educativi su vari argomenti, e c’è anche tanto mercato (che poi, diciamocelo, è quello che interessa la massa dei visitatori), talvolta anche poco in tema con l’argomento (un esempio? Il venditore di olive ascolane lo vedo sia a Cheese che qui… che ci azzecca?), ma alla fine è sempre bello cazzeggiare tra i cibi, assaggiando un sacco di cose buone e facendo qualche parola con i produttori.

Spendo una riga per gli amici di Maltus Faber, che non vedevo da tempo e che erano presenti, oltre che con le “solite” Blond Hop e Bianca (pulitissime e piacevolissime), con un nuovo prodotto, una Sweet Stout da neppure quattro gradi che gioca tutta sulle finezze (di tostatura, di luppolatura, di carbonatazione; anche il corpo, spesso robusto in questa tipologia, è ben bilanciato) e che mi è sembrata una ottima session beer. Sarà disponibile solo in fusto, e spero di riassaggiarla a breve con più calma, con un bicchiere di vetro al posto della orrida pinta in plastica imposta in queste manifestazioni.

Nota di demerito per l’Enoteca. A parte qualche bottiglia presente in elenco ma in realtà non pervenuta, il prezzo degli assaggi è davvero eccessivo (bicchieri da 3, 4 o 5 buoni, ciascun buono costa 1 euro, in più occorre aggiungere il solito costo del calice), in particolare tenendo conto che non c’è uno grissino disponibile, che non ho visto acqua per pulire la bocca tra un assaggio e l’altro e che non siamo in una vera enoteca (non c’è servizio al tavolo e i posti a sedere sono abbastanza pochi, perlomeno a certe ore del giorno).

Appuntamento a settembre per Cheese!

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La manifestazione internazionale di Slow Food totalmente dedicata al mondo ittico e alle sue problematiche.

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Viaggio in Andalusia: piccola guida allo Sherry

Fortificazione e metodo Solera sono due delle caratteristiche che rendono particolare lo Sherry, un vino forse poco conosciuto al di fuori di una ristretta cerchia di appassionati: per questo, in occasione di una degustazione presso la solita Cantina du Pusu (e perché no, anche per riprendere in mano e in mente lezioni e appunti del corso AIS) ho deciso di creare la mia piccola guida Bignami-syle.

Il nome del vino (Sherry nei paesi inglesi, Xérès in Francia, Jerez in Spagna) prende evidentemente spunto dalla geografia: siamo a in Jerez, Andalusia, nel Sud-Ovest della Spagna, dalle parti di Cadice, dove pare che la vite sia stata portata dai Fenici per poi essere coltivata dai Romani allo scopo di produrre vini da importare a Roma; più tardi gli Arabi introdurranno nella zona l’alambicco per la distillazione, che avrà importanza per il processo di fortificazione.
Saranno poi i mercanti Inglesi ad appassionarsi così tanto alla tipologia (analogamente a quanto accaduto con altri vini fortificati) da arrivare a fondare in loco aziende di produzione.

Il clima è molto caldo: in media 300 giorni di sole l’anno con punte di 40 gradi, ma a portare sollievo ci pensano i venti oceanici e la caratteristica del terreno di assorbire acqua. Il suolo è calcareo-gessoso, e il più vocato, chiamato Albariza, ha una quantità tale di gesso da risultare quasi bianco.
Le tre tipologie di uve coltivate sono Palomino (la più importante, usata principalmente per i vini secchi), Pedro Ximénez e Muscatel, e vengono raccolte spesso con leggero appassimento per poi essere vinificate in acciaio o cemento, ottenendo un normale vino bianco di circa 12 gradi che il produttore, a seconda delle caratteristiche organolettiche, deciderà se destinare alla categoria Fino oppure Oloroso.

Il processo produttivo a questo punto prevede la fortificazione, cioè la aggiunta di un distillato di vino che blocca la fermentazione: nel caso dei Fino, la fortificazione porta il vino a 15 gradi, mentre per gli Oloroso si arriva a 18 gradi.

Effettuata la fortificazione, il vino viene fatto maturare per almeno tre anni in botti da 500 litri riempite per i soli cinque sesti e lasciate parzialmente aperte: è il metodo Solera y Criadera, che ha lo scopo di permettere una qualità costante nelle varie annate. Le botti sono disposte in strati, da cinque fino a quattordici, a seconda della tipologia di Sherry che si vuole ottenere, ciascuno chiamato criadera.
Lo strato più vicino al suolo, detto solera, è quello dal quale viene prelevata la parte di vino (dal cinque al trenta per cento) da imbottigliare e commercializzare. Il vino prelevato viene rimpiazzato da una analoga quantità proveniente dalla criadera superiore e così via, fino ad arrivare allo strato più in alto, nel quale si immette vino nuovo.

Dicevamo che la fortificazione prevede il raggiungimento di differenti gradazioni: la distinzione non è banale, perché, nel caso di superamento dei 16 gradi alcolici, sulla superficie del vino (che, lo ricordiamo, riposa in botti di legno non del tutto colme e non completamente sigillate) non avviene la formazione di un velo di microorganismi chiamato flor, che lo isola parzialmente dall’ossigeno, rallentandone l’ossidazione e modificandone la composizione.
La formazione o meno della flor è quindi l’elemento distintivo di differenziazione tra le le due tipologie di Sherry: Fino (vini secchi, freschi, di colore chiaro e aromi delicati, da bere giovani e da consumare in fretta una volta aperta la bottiglia) o Oloroso (vini secchi o dolci, di colore più scuro, di maggiore invecchiamento, struttura e robustezza e con aromi di frutta secca. Poiché hanno subito affinamento ossidativo, non hanno necessità di rapido consumo dopo l’apertura).

Generalmente si consiglia il consumo dei Fino e Manzanilla come aperitivo o con antipasti, servito molto fresco, mentre gli Amontillado e Oloroso secchi vengono usati come antipasto, con frutta secca e olive, o abbinati a preparazioni di pesce strutturate e carni.
Le tipologie dolci possono accompagnare formaggi erborinati o stagionati, dolci o foie gras; il Pedro Ximénez, data la sua struttura e densità, è un vino da sorseggiare da solo o con dolci impegnativi di cioccolata.

Classificazione Sherry di categoria Fino
Tipo Caratteristiche Gradi alcolici Zuccheri
g/l
Manzanilla Prodotto a Salúcar de Barrameda: flor e clima particolari conferiscono particolare sapidità e sapore più delicato rispetto ai Fino 15-17 0-5
Fino Più robusto e con gusto più deciso rispetto al Manzanilla. Può essere dolclificato con l’aggiunta di mosto dolce, creando la tipologia Pale Cream (15,5-22 gradi, 45-115 g/l) 15-17 0-5
Amontillado Più chiaro di un Fino ma più scuro di un Oloroso. Si parte da un Fino cui si spezza il velo di flor naturalmente o tramite una ulteriore fortificazione. Per questo scurisce e acquista sentori di frutta secca. Possono essere dolcificati, prendendo la denominazione Medium (15-22 gradi, 5-115 g/l)  16-17 0-5

 

Classificazione Sherry di categoria Oloroso
Tipo Caratteristiche Gradi alcolici Zuccheri
g/l
Oloroso Sono prodotti senza intervento della flor, quindi ossidati, molto scuri e ricchi di aromi tostati. Alcol e struttura superiori ai Fino. Naturalmente secchi, se dolcificati danno vita ad altre tipologie. 17-22 0-5
Cream Si tratta di Oloroso dolcificati tramite blending con altri vini, ad esempio Pedro Ximénez. Hanno aromi di frutta secca e cioccolato. 15,5-22 115-140
Pedro Ximénez Prodotto con l’omonima uva lasciata appassire, è lo Sherry più denso, scuro e strutturato. Viene usato anche come taglio dolcificante di altri Oloroso.  15-22 >212

Esiste anche il Palo Cortado (17-22 gradi, 0-5 g/l zuccheri), uno stile raro che fa categoria a sé, presentando caratteristiche ibride tra un Fino e un Oloroso. Si tratta di un Fino o un Amontillado che, dopo tre o quattro anni di invecchiamento, sviluppa struttura e concentrazione da Oloroso a seguito della rottura della flor.

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Cheap Thrills n.4: Soave Classico Calvarino 2010, Pieropan

Quarto appuntamento con i vini di Cheap Thrills e si risale lo Stivale fino ad arrivare in provincia di Verona, per assaggiare uno dei Soave Classico più noti, quello prodotto dalla azienda Pieropan.

La zona di Soave presenta un interessante terreno di origine vulcanica su cui si coltiva principalmente Garganega (da utilizzare almeno al 70%, secondo disciplinare, con eventuali saldi di Chardonnay e Trebbiano), un vitigno che recentemente è stato oggetto di grande rivalutazione da parte di molti vigneron della “nuova ondata naturale” (Maule, ad esempio), che lo vinificano con macerazione sulle bucce più o meno intensa.

calvarino

Il Soave è una di quelle denominazioni “storiche” un po’ trascurate dagli appassionati, forse a causa di una qualità media non eccelsa in passato; a questa relativa dimenticanza Pieropan (39 ettari che producono circa 380.000 bottiglie ogni anno) si oppone con una tradizione centenaria, una costante ricerca della qualità e ben tre versioni di Soave Classico, il vino simbolo della azienda: una più semplice e giovane e due crus, Calvarino e La Rocca.

Oggi assaggiamo il Calvarino, che deriva il nome dal “piccolo Calvario” del terreno difficile e tortuoso.
I dati tecnici: terreno vulcanico a 200/300 metri di altitudine, ricco di basalti e tufo; allevamento a pergola con viti di età da 30 a 60 anni e raccolta manuale. Fermentazione in vasche di cemento vetrificato con temperatura controllata, poi maturazione sempre in vetrocemento.

Denominazione: Soave Classico DOC
Vino: Calvarino
Azienda: Pieropan
Anno: 2010
Prezzo: 15 euro

Francesca

Marco

Ho scelto questa bottiglia dietro consiglio di Giovanni il nostro (mio e di Marco) “cantiniere” di fiducia e grande conoscitore di vini.

Quando mi ha proposto il Soave ho pensato che effettivamente era da  tempo che non ne assaggiavo uno, e che non si trova nella lista dei miei preferiti ma il panorama vinicolo è davvero molto vasto, principalmente per tutte le variazioni che dipendono dall’intervento del produttore e dall’impronta che decide di voler dare al proprio prodotto.

Ho quindi deciso  che sarebbe stato il protagonista di questo nostro appuntamento.

Il giallo paglierino di questo Soave ha ancora riflessi verdolini che indicano un vino ancora giovane, l’anno riportato in etichetta è il 2010.

I profumi sono delicati e ricordano il ciliegio e in generale la famiglia dei fiori bianchi dando al vino una nota leggermente dolciastra al naso.

L’entrata è piacevole, buona la sapidità e la freschezza, mi sento di premiare di più il gusto rispetto all’olfatto che forse è un po’ limitato. Unica nota spiacevole una leggera e appena accennata rifermentazione in bottiglia che sparisce al secondo sorso.

Mi mette di buonumore già dalla bottiglia renana, che mi ricorda i rielsing. Il colore ha pure lui accenni nordici, con un paglierino bello brillante ed accenni dorati.

L’ofattivo non è né intenso né troppo complesso, ma estremamente delicato ed elegante: sento fiori bianchi freschi, l’agrume (ananas) e un tocco minerale.

In bocca entra pieno, ricco, caldo e abbastanza morbido; freschezza e sapidità ci sono, in particolare l’acidità è robusta, ma senza essere predominante come mi sarei aspettato date giovinezza e colore, quindi l’equilibrio è davvero perfetto.
Sorso piacevole e facile nonostante il calore (che avrei detto superiore ai 12,5 dichiarati), con un amarognolo finale appena accennato e una volta tanto piacevole, che serve a pulire la bocca e a riprendere a bere. Finale lungo.

In conclusione: un vino apparentemente semplice ma ben fatto, che si beve in maniera contagiosa, e che definirei duttile nell’abbinamento, dall’aperitivo al pesce, dalle torte di verdura ai dai risotti.

Partivo senza aspettative a causa della limitatissima frequentazione con i Soave, e sono stato piacevolmente sorpreso. Molto meglio in bocca, mentre l’olfattivo è un poco sacrificato.

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