Champion Grand Cru Blanc de Blancs, 2004

champion

Ancora una volta bolle, ancora una volta Champagne, stavolta prodotto da un vigneron di stanza a Chouilly, nella Côte des Blanc: Roland Champion.
La famiglia Champion vinifica da tre generazioni e coltiva 18 ettari ricavandone circa 80-90.000 bottiglie suddivise in varie tipologie, tra le quali questo Grand Cru millesimato (un classico Blanc de Blancs, quindi 100% Chardonnay con disaggio di 6 grammi per litro e ben otto anni di affinamento sui lieviti) è una delle eccellenze.

championDenominazione: Champagne
Vino: Grand Cru Blanc de Blancs 2004
Azienda: Roland Champion
Anno: 2004
Prezzo: 31 euro

Bel colore giallo paglierino con ancora vibranti riflessi verdolini, certamente non si direbbe un vino con nove anni sulle spalle. Il perlage è finissimo, continuo e molto abbondante.
L’olfattivo è intenso, ricco, con evidenti richiami di panificazione, nocciolina, burro e poi fiori bianchi, anice e un accenno lievissimo ed elegante di mielato-ossidato.

In bocca la bolla si conferma fine ma ben viva e cremosa.
L’acidità è stellare e la sapidità quasi al medesimo livello; è intenso, coerente con quanto evidenziato all’olfattivo, entra potente e poi si conferma con una buona lunghezza.

Bella bevuta, l’unico difetto è una certa monotonia in bocca, manca la progressione che conduce alla complessità, lo scatto finale: chissà se su questo fronte possa migliorare attendendolo ancora? Infondo la struttura c’è…

Il bello: Grandi acidità e sapidità, buon olfattivo
Il meno bello: Manca l’evoluzione, si avverte una certa fissità/monotonia al gusto-olfattivo

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Ferrari Riserva Lunelli 2002

Una avvertenza agli eventuali pauperisti bio-tutto in ascolto: oggi non parlo del vino biodinamico dell’agricoltore eroico, poeticamente sfigato, che possiede mezzo ettaro abbarbicato su un crinale con pendenza al 50%, e neppure del risultato di una minuscola particella di terroir vinificata senza solforosa e senza controllo della temperatura… piuttosto racconto l’assaggio di uno dei prodotti industriali di una cantina che da tempo immemorabile sforna milioni di bottiglie l’anno.

Ma andiamo per ordine: parliamo di Ferrari, un nome talmente simbolico per la spumantistica italiana che si potrebbe azzardare equivalente a Trento Doc; in realtà il parallelo sarebbe addirittura riduttivo nei confronti della storica “maison”, che per numeri e popolarità surclassa il resto della denominazione.
Sono stato un anno e mezzo fa in cantina (se vogliamo chiamare così uno stabilimento enorme, che accosta molta grandeur a qualche angolo un pochino datato), e la visita è stata come la immaginavo: professionalmente asettica e dimenticabile.

Ferrari è tutta una gamma di metodo classico, dal “Brut” da supermercato, tipicamente e tragicamente consumato in abbinamento al dolce durante le feste, fino al sontuoso (nel gusto e nel prezzo) “Giulio Ferrari”, passando persino per un inusuale Demi-Sec; un gradino sotto al prestigioso “Giulio” è posizionato il “Riserva Lunelli” di cui scrivo oggi.

Riserva Lunelli

Denominazione: Trento DOC
Vino: Riserva Lunelli
Azienda: Cantine Ferrari
Anno: 2002
Prezzo: 35 euro

Il solito sguardo veloce sui dati tecnici: raccolta manuale di Chardonnay del millesimo 2002 dal vigneto di proprietà Villa Margon, fermentazione in legno e sette anni di affinamento sui lieviti. La bottiglia in mio possesso aveva sboccatura datata 2009.

Tornando alla introduzione: è un vino costruito? Sì, certo, eccome,  ecchissenegrega!
E’ dorato, lucente, con un olfattivo intenso e ricco di panificazione, frutta matura, nocciole tostate. Si sente il legno, sicuramente, ma è un legno che esalta il vino, non lo sotterra, forse perché ha avuto tutto il tempo necessario ad amalgamarsi.
Avendo pazienza di attendere esce uno chardonnay che mi ricorda persino qualcosa di borgognone.

In bocca la bolla quasi non esiste per quanto è fine e cremosa; l’equilibrio è invidiabile e le durezze notevoli (in particolare una sapidità che avvolge) sono ben bilanciate dalla dolcezza del legno e da un corpo sicuramente presente.
Il sorso è pulitissimo e mai stancante, entra sontuoso, continua pieno e finisce lungo, senza alcun residuo appiccicoso o stucchevole e senza alcuna chiusura amara, anzi, al retro-olfattivo traspare perfino un tocco balsamico.

Quando ho comperato la bottiglia avevo qualche timore a causa della sboccatura datata, in realtà non ho trovato nessun segno di stanchezza, anzi avrei voglia di prenderne un paio ancora da lasciare in cantina per vedere dove possono arrivare nel giro di qualche anno.

E’ un vino sontuoso, forse anche troppo: una fusione di burro, nocciole e alcol che però riesce a mantenere adeguata la tensione; se bevuto da solo capisco che alla lunga possa stancare, e forse non è adatto a preparazioni delicatissime, ma pasteggiando credo abbia pochi rivali.

Il bello: L’equilibrio, la lunghezza, la complessità
Il meno bello: Una certa opulenza che non lo rende adatto ad ogni occasione

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Oltre il “Drink-porn”?

Finalmente! Posso dirlo: non sono solo.

Non sono solo nel sostenere che le grandi eno-manifestazioni, con la moltitudine dei banchetti d’assaggio e la relativa cornucopia di vini, pur certo divertenti per noi appassionati, sono però una aberrazione rispetto al vero scopo finale del vino, che sarebbe poi la bevuta a tavola, in accompagnamento al cibo.
Non a caso ho coniato la definizione di drink-porn

Ne risulta di conseguenza il mio parere assai scettico sulle degustazioni in batteria, dove esimi critici (e semplici peones, come il sottoscritto) si esprimono su decine e decine di prodotti, dedicando a ciascuno pochi secondi e uno sputacchio.

Tutte cose di cui sono sempre più convinto e di cui ho già parlato, ad esempio quando ho incontrato Flavio Roddolo e le due volte in cui ho discusso di entropia durante le degustazioni seriali, e che ora Vittorio Rusinà declina in maniera più compiuta con un post sul blog collettivo “Gli amici del bar”.

Oltretutto la discussione capita nel momento in cui Filippo Ronco parla di una certa stanchezza della formula del banco di assaggio, e può essere un ottimo spunto di discussione per chi si occupa di organizzare degustazioni in maniera professionale.

p.s. un grazie a Vittorio, oltre che per l’articolo, anche e soprattutto per aver avuto l’idea di accaparrarsi e far girare cibo durante la DDB: io c’ero e ho molto gradito

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Balter Brut Riserva 2006

Secondo assaggio per Balter, dopo la prova del Brut “base”.

Alla commercializzazione delle circa 35.000 bottiglie l’anno di Brut, dal 1995 è stata aggiunta una limitata quantità di Riserva (circa 3000 bottiglie); si tratta di una produzione con ambizioni rilevanti, visto per creare questa miscela di 80% chardonnay e 20% Pinot nero, l’uva viene vendemmiata manualmente, fatta fermentare parte in acciaio e parte in rovere piccolo, e poi lasciata maturare sui lieviti per ben 72 mesi.

Balter RiservaDenominazione: Trento DOC
Vino: Brut Riserva
Azienda: Balter
Anno: 2006
Prezzo: 25 euro

Colore giallo paglierino, quasi oro, con bolle fini ma (piccolo campanello d’allarme) non troppo numerose e persistenti.
Olfattivo estremamente tenue di pasticceria, con accenno tropicale e, curiosamente, una punta di tostato-affumicato: scoprirò poi che parte dell’affinamento si svolge in legno piccolo.

In bocca entra bello pieno, con bolle molto fini e per nulla aggressive, forse persino troppo delicate. La freschezza è discreta, cosi come la sapidità e la lunghezza; in realtà spicca un grande equilibrio, che peraltro avevo riscontrato anche nell’assaggio del Brut.

Qualche dubbio sulla presenza un po’ eccessiva del legno, sul finale lievemente amaro e, all’inizio della bevuta, anche sul dosaggio: in genere prediligo prodotti molto “dritti” e avvertivo di un eccesso di ruffianeria.
Con il passare dei sorsi mi sono ricreduto, non è certo un vino tagliente ma tutto sommato mi pare che anche in questo caso si sia ricercato, e trovato, l’equilibrio. Forse un filo di dolcezza viene dal legno?
A suo grande grande pregio, a fine assaggio la bocca resta ottimamente pulita, senza dolcezze appiccicose o acidità strizza gengive.

Tirando le fila, un vino magari non entusiasmante ma di buona armonia, dal quale però francamente mi aspettavo una complessità maggiore, in ragione dei 72 mesi sui lieviti: ne comprendo l’ottima base, temo leggermente penalizzata da un uso non ottimale del legno (o forse occorre ancora attenderlo in bottiglia, in modo da ottimizzare l’affinamento?).

Piccola nota di demerito: non c’è data di sboccatura, e non trovo indicazioni sul dosaggio.

Il bello: L’equilibrio e la “base” importante dei 72 mesi sui lieviti
Il meno bello: poca complessità

p.s. dopo un ora dall’apertura è uscito un lieve floreale e il vino ha acquistato maggiori eleganza e complessità.

p.p.s. Franco Ziliani ha un altro riscontro (ma è un diverso millesimo), sicuramente più affidabile del mio, in cui non ci sono accenni a tostature ma semmai ad ossidazione.

Queste due ultime note mi fanno venir voglia di provare una seconda bottiglia, in modo da verificare le sensazioni. Vedrò di procedere…

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Dalle stelle alle stalle: Summer Beer Festival

Dalle stelle alle stalle: passare in pochi giorni e in pochi chilometri dalla teutonica perfezione organizzativa di Terroir Vino a Genova all’indefinibile Summer Beer Festival di Chiavari regala la straniante sensazione della realizzabilità dei viaggi spazio-temporali.

In poche parole, è un periodo in cui ho poco tempo, quindi decido di farci un salto sabato pomeriggio: alle 16 e 20 circa sono all’ingresso. Ci siamo io, la tensostruttura e la polvere, mentre elementi magari poco coreografici ma abbastanza essenziali come il tizio alla cassa e quelli che dovrebbero spillare risultano non pervenuti.
Temendo di aver capito male gli orari, mi guardo attorno: tutti i volantini e i cartelli sostengono (come le info su internet) che l’apertura avrebbe dovuto essere alle 16.

Faccio un giro e mi ripresento verso le 16 e 45.
E’ ancora tutto deserto, ma ci sono due ragazzi della Compagnia della Birra che iniziano a mettere a posto i banchi di servizio e un tizio che, mosso a compassione, prova ad aprire la cassa per me, senza successo.
Mi dicono che siccome il giorno precedente la gente è arrivata in massa verso le 20, hanno deciso di aprire dopo…

Sono senza parole, di solito mi incazzo per i canonici 15-30 minuti accademici di ritardo nelle serate e nelle cene di degustazione, ma addirittura veder posticipata l’apertura di una manifestazione di qualche ora è davvero una prima assoluta.

Voglio fare i complimenti ai responsabili della solerte organizzazione, che mi pare comprendesse anche i soliti bicchieri di plastica e il prezzo di 4 (quattro) euro per ogni birra.
I responsabili da elogiare risulterebbero essere tali “Storico, Modà Cafè, Vinoria e Crystal, in collaborazione con Arte Group e la Compagnia della Birra”.
A ciascuno il suo: da quel poco che mi è dato sapere la Compagnia c’entra poco, essendo stata contattata solo per fornire un paio di persone per i laboratori e per le spiegazioni.

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Ventitrè tra i migliori birrifici italiani  con contorno di degustazioni guidate , musica e cibo

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Orobie Beer Festival 2013

OBF è un Festival della birra dedicato esclusivamente a prodotti di alta qualità, che prevede momenti di divulgazione rivolti ad un pubblico solitamente abituato a consumare tipologie più commerciali e convenzionali e che contiamo di stupire ed avvicinare definitivamente ad un nuovo mondo di saporite scoperte birrarie.

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Terroir Vino 2013: basta che non sia l’ultimo

C’è poco da dire, Terroir Vino è il mio appuntamento preferito per quanto riguarda il drink-porn smodato (click qui per spiegazioni sulla definizione); confesso di essere mosso da un certo affetto: dopotutto è stata la prima manifestazione enoica cui ho partecipato, la prima in cui sono stato cazziato da un produttore, la prima in cui ho imparato ad usare le sputacchiere…

Al netto delle questioni sentimentali, occorre aggiungere che TV è organizzato bene, benissimo, addirittura per me è l’esempio di come si dovrebbe svolgere un incontro di questo tipo: tanti produttori ospitati in una struttura bella, agibile, spaziosa e fresca, con aree relax dotate di divani, facile da raggiungere in auto (si riesce persino a parcheggiare, pagando salato, ovvio) o con i mezzi, con torte di verdura e panini che girano incessantemente da metà mattina fino a conclusione e con qualche interessante appuntamento collaterale (le Degustazioni Dal Basso) che aiuta a spezzare la serialità degli assaggi.

Su questi fronti, niente di nuovo (per fortuna), se non una leggera brezza di crisi: all’ingresso invece di libricino e penna veniva consegnata solo una mappa, sicuramente erano presenti meno espositori (anche se non saperei quantificare quanti meno), e temo di aver notato anche meno visitatori al pomeriggio, ma potrei sbagliare.
Soprattutto, su vari canali internet mi pare di aver colto momenti di stanchezza (meglio, direi di scazzo) del patron Filippo Ronco, che minaccia di trasformarsi il prossimo anno nel Moloch che sacrifica la sua stessa creatura.

Ecco, al netto dei soliti appunti temo poco interessanti su quanto ho bevuto (mi sono goduto specialmente lo Zero di Pojer & Sandri, che finalmente mi sembra un ottimo vino fatto e finito, lo splendido Pas Dosé di Haderburg, indistintamente tutti gli spumanti di Letrari e quelli per me inediti di Opera, i sempre notevoli Barbaresco dei Produttori e gli idrocarburici Timorasso di Mariotto) e tralasciando i complimenti per la Degustazione Dal Basso cui ho partecipato (“Eroi della Barbera, i luoghi e le persone”, molto interessante, forse solo un filo poco coinvolgente, con tre relatori bravi ed appassionati, ma ad occhio non abituati a parlare e stuzzicare il pubblico), dicevo, a parte tutto quanto sopra, mi preme spendere qualche riga per stimolare Ronco a non sbaraccare un evento che, oltre a non avere pari in Liguria, a mio avviso ha pochi concorrenti tout court).

Ovvio che Ronco farà quello che è più giusto per lui, io non ho idea se i problemi stiano in un entusiasmo diminuito, o siano di natura finanziaria, o forse ricadano nella necessità di focalizzarsi su altri progetti o magari in un po’ tutte queste cose assieme, e dopotutto chi sono io per dare l’egoistico consiglio di non smettere, ma mi permetto di suggerire di cercare collaborazione da parte sia di professionisti che di amatori, magari modificando leggermente la formula per rendere più appetibile l’appoggio di qualcuno dei soggetti interessati. Anche una dimensione minore dell’evento sarebbe accettabilissima, così come capirei un legame più marcato a VGM, sempre mantenendo gli standard qualitativi cui siamo stati abituati.

Insomma, Filippo nun ce lascià!

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