Ri-tentar non nuoce: torna un festival birrario a Genova

Francamente non avrei mai pensato che qualcuno avrebbe mai avuto il coraggio di ritentare: dopo il flop storico del IBF Genova (e il mezzo flop di Birre al Parco) torna un festival di birra in città.

Non contando le varie manifestazioni organizzate (male) da distributori e locali, ormai da anni la scena birraria genovese ha subito varie fasi di trasformazioni; si partiva da basi pionieristiche magari piccole ma solide: la presenza in città di un comunicatore di eccezione come Kuaska, l’apporto fondamentale della Compagnia della Birra, che con Massimo Versaci (poi creatore di Maltus Faber) organizzava i primi viaggi in Belgio, i contributi di storici homebrewer (Max Faraggi, Mauro Queirolo), tre locali che in tempi non sospetti investivano in qualità (Irish pub, O’Connor, Pub del Duca)…

Ad un certo punto qualcosa si è arenato: Kuaska ha iniziato a gravitare sempre meno su Genova, i locali storici hanno cambiato in parte gestione e ad organizzare meno serate a tema, la birra “artigianale” (termine che non vuol dire nulla e che odio di cuore) è diventata mainstream e si è insinuata in qualche ristorante, bar ed enoteca insospettabile.
Insomma, da provinciale che non ha mai frequentato granché “il giro giusto” ho notato comunque un raffreddamento dello spirito “di frontiera” che aveva animato i primi tempi.

Da qualche tempo, una nuova fiammata: hanno aperto alcuni nuovi locali dedicati al mondo della birra, sta per iniziare un corso sulle birre acide e mi pare di capire che questi tizi di Papille Clandestine si siano appassionati al tema.

Stiamo a vedere che succede: intanto i nomi annunciati al Genova Beer Festival sono di buon livello e la formula del gettone ad un euro per 10cc è quella che preferisco (in realtà speravo anche in un carnet da 10 assaggi con un po’ di sconto ma non si può aver tutto…).

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Terroir Vino: anno uno

Ad un certo punto è stato chiaro che Terroir Vino (TV, d’ora in poi) non sarebbe mai più stato lo stesso, e ne parlavo qui, spiegando le ragioni del mio affetto per una delle manifestazioni meglio organizzate.
Forse solo a Summa, da Lageder, mi è altrettanto piaciuto trascorrere una giornata tra banchetti e produttori, e devo dire che la prima edizione di Mare&Mosto è stata pur essa di alto livello.

Infondo non chiedo mica la luna (cit.): certo, una buona selezione di produttori, ma poi tanto spazio, ché io odio la calca e urlare per farmi sentire, poi tanta acqua a disposizione, il libricino con i partecipanti completo dell’elenco dei vini in modo che sia comodo prendere una nota al volo, a disposizione non solo pane e grissini ma anche altro cibo (magari a pagamento, certo) e tante sputacchiere spesso svuotate. Ah, il guardaroba se è inverno. TV aveva tutto (guardaroba a parte, ma a giugno non serve).

tv1Così alla fine è successo: dopo cinque anni di teutonica organizzazione presso i Magazzini del Cotone, la manifestazione è cambiata, approdando in una (bellissima) villa in centro città, sempre a Genova. L’arrivo è piacevole: certo meno agevole coi mezzi pubblici della precedente location, poiché dalla stazione è meglio prendere l’autobus, ma (incredibile) c’è un ampio parcheggio gratuito all’interno; non solo: un notevole giardino a prima vista garantisce adeguato spazio di “decompressione”.
Però.
Però i produttori sono in numero minore rispetto alle passate edizioni, soprattutto hanno poco spazio e i visitatori anche meno: io sono arrivato verso le 15 ed era quasi impossibile muoversi e parlare.
I cestini del pane erano sempre riforniti ma io e altri abbiamo sentito la mancanza di qualcosa di più da mettere sotto i denti, e non nascondo che tra diversi produttori interessanti ne ho trovati alcuni un po’ così… e due o tre banchetti erano abbandonati dal produttore (perlomeno al momento del mio passaggio).

Soprattutto deludente la “Degustazione dal basso” cui ho partecipato: “Champagne Diligent, unorthodox blends”. Sulla carta era una figata assoluta, visto che il sottotitolo prometteva “… alcuni rarissimi Champagne monocultivar fuori dai comuni schemi …”, ma il laboratorio si è risolto in un bel pasticcio: se la qualità non al top (eufemismo) dei vini proposti poteva non essere un problema (infondo lo scopo era quello di esplorare bollicine da varietà inusuali, non assaggiare selezioni stellari), sicuramente è stato drammatico il fatto che il relatore parlasse solo in inglese: una parte consistente dei partecipanti non capiva la lingua e dopo pochi istanti si è innescato il classico meccanismo del telefono senza fili (“che ha detto?”). Risultato: un casino micidiale di gente che parla riportando informazioni sconclusionate (sentito con le mie orecchie: dopo un paio di passaparola il petit meslier è diventato petit meunier…), così dopo pochi minuti il relatore si è limitato a far sbicchierare i vini, ad elencarne i cépages e a parlottare con i partecipanti più vicini.
Ma la cosa più fastidiosa è che gli stessi vini, distribuiti dallo stesso relatore che elargiva le medesime “spiegazioni”, erano disponibili nel primo banchetto incontrato all’ingresso, annullando di fatto il valore del laboratorio.20150622_175827

Cerchiamo di non fraintendere, TV2015 ha avuto comunque begli spunti (i sorprendenti banchetti affiancati di AIS, ONAV e FISAR, il parcheggio comodissimo, il bel giardino attorno alla villa, il comunque considerevole numero di produttori presenti) e sono consapevole che la manifestazione non si esaurisce nella giornata di degustazione ma comprende anche il Baratto Wine Day, il Garage Contest e le Conferenze; ho però avvertito una cura minore nei dettagli e soprattutto una netta carenza di identità, credo dovuta al fatto che il patron Filippo Ronco è alla ricerca di una formula nuova (non ancora trovata), utile a valorizzare al meglio il suo Grassroots Market e che questa edizione di TV sia stata una sorta di “anno uno”, un tentativo non completamente riuscito che ha comunque potuto poggiare sulle solide basi di tanti anni di organizzazione, lasciando presagire di meglio e di più per le prossime edizioni.

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Slow Fish, Big Cash

Cinque Euro per un calice di Berlucchi, non ho altro da aggiungere Vostro Onore!

Certo, come dice il sito “per partecipare a Slow Fish non occorre acquistare un biglietto, l’ingresso è gratuito!”, e ci mancherebbe: hai diritto di aggirarti gratuitamente fra i food-truck che friggono le acciughe e i tendoni che propongono birra (ovviamente entrambi a pagamento), hai facoltà di bighellonare tra stand che ad esempio offrono due-pezzetti-di-pane-due con sopra un pezzetto di palamita a soli due euro. Eccetera.

sf1Va bene, ci sono i dibbbbattiti e le lezioni e gli slogan roboanti su “Cambiamo rotta per salvare il mare e nutrire il pianeta”, ma se a questi accosti i 5 euro (più due sf2per il prestigioso micro-calice e relativa elegantissima tasca portabicchiere) per sorseggiare un Franciacorta in piedi, senza lo straccio di un grissino, permetti che mi sento un po’  preso per il culo?

Ma mica è finita: per degustare il sushi letterario dello chef ospite Moreno Cedroni venno via 120 Euro, quando  invece lo stesso (o perlomeno analogo) menu, nel suo ristorante di Portonovo lo paghi 85 carte (ah, certo, a Genova ci sono in accompagnamento i vini di Guido Berlucchi…).

Dirai che la qualità si paga, tanto più se te la portano sotto casa, ma si dà il caso che a me la sorte degli stand abbia riservato un arancino inspido, una linguna salatissima e una tiella ustionante fuori però ancora congelata dentro. Tutto a pagamento, s’intende, e tutto a seguito di doverosa coda chilometrica. D’altronde siamo “slow” o no?

Chiuderei parlando della partecipazione: una la folla debordante ed ignara dei buoni propositi relativi al risanamento degli oceani, che che si avventa per un granello di formaggio o una crosta di pane e olio in assaggio, per poi, rigorosamente dotata di portafoglio in mano, dilettarsi in attese e spintoni al fine di accaparrarsi il diritto ad uno spiedino da rosicchiare appoggiati ad un palo della luce, con i piedi pestati dai tizi in coda per la birra.

Agli amici di Slow Food vien da chiedere se forse una manifestazione con un (modesto) biglietto di ingresso per selezionare il pubblico realmente interessato, qualche espositore francamente inutile in meno e un minimo di controllo su prezzi e qualità dei prodotti in vendita, non potrebbe essere più rispettosa delle sbandierate intenzioni rispetto a questa sorta di sagra della salsiccia (o meglio, del gambero)…

Temo mi si possa rispondere che espositori e organizzatori sono, giustamente, felici così: Slow Fish, Big Cash.

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Vinidamare 2015

Vinidamare: si ricomincia da zero o poco più, direi. Ma andiamo per ordine.

Non ho idea di chi sia la colpa, o meglio qualche idea la ho ma suffragata solo da voci di corridoio, quindi la tengo per me, fattostà che qui nel deserto tartarico enologico abbiamo un programma di eventi che, nel giro di un mese circa, elenca nell’ordine: Vinidamare a Camogli, Vino Naturalmente Vino a Chiavari, Mare e Mosto a Sestri Levante e Terroir Vino a Genova.
Nel mezzo, per buon peso, Slow Fish a Genova…
Certo, Slow Fish c’entra solo marginalmente e si svolge solo ogni due anni (ma mica lo si scopre adesso), ma auspicare una telefonata tra i vari organizzatori per gestire meglio il calendario è talmente banale che è inutile scriverlo.

Comunque è inutile girarci intorno, il vero casino è stato quello di Vinidamare, la rassegna dei vini liguri, da sempre organizzata da AIS assieme al comune di Camogli: è successo qualcosa tra i due partner e AIS ha deciso di spostare la manifestazione a Sestri utilizzando un nuovo nome (perché il marchio Vinidamare è registrato dal comune).
Camogli, non volendo rinunciare, ha messo in piedi comunque l’evento chiedendo l’aiuto di FISAR. Risultato: due vetrine con lo stesso tema (i vini liguri, appunto) a pochi giorni e pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro. Il solito colpo di genio tutto italico, fatto di beghe e frammentazioni: complimenti.

Vinidamare, dicevamo: non ho seguito le due giornate dell’evento; come non professionista mi sono al solito limitato ai banchi d’assaggio, scansando i dibattiti e le manifestazioni collaterali, e l’impressione è che nonostante si sia arrivati alla dodicesima edizione, si riparta da zero.
Dal punto di vista del visitatore è stata una grossa delusione: nessun programma stampato consegnato all’ingresso, soprattutto pochissimi i produttori (che evidentemente hanno scelto di presenziare alla manifestazione di Sestri), difatti molti banchi proponevano uno zibaldone di vari vini serviti dai poveri tizi di FISAR che ovviamente non potevano conoscere granché di quello che versavano. Risultato: molte bottiglie neppure sono state aperte e quasi tutte non sono state comunicate a dovere.
Aggiungiamo che qualcuno ha avuto la malaugurata idea di non tirare le tende dietro ai grossi finestroni, così molti rossi non messi in fresco erano a temperatura da brodo… Ciliegina sulla torta: i dibattiti (con tanto di microfono e altoparlante) si svolgevano nella stessa stanza della degustazione, con evidente frastuono e fastidio di tutti i visitatori.

Si ricomincia da zero o poco più, quindi, con l’auspicio che il prossimo anno si possa fare tesoro dei difetti organizzativi (e sono certo che non sarà difficile) ma soprattutto si riesca a trovare la quadra tra due manifestazioni gemelle ma separate (cosa che vedo nettamente più complicata).

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Vinnatur in Borsa!

In effetti è proprio nello storico Palazzo della Borsa di Genova che, dopo due anni a Sestri Levante, Vinnatur ha deciso di ospitare la sua annuale rassegna ligure.

Palazzo della Borsa GenovaNon conosco i motivi dello spostamento (sebbene qualcosa alle orecchie sia arrivato non mi piace riportare voci di corridoio), ma di certo la nuova sede unisce grande effetto estetico a comodità e spazio: siamo nel pieno centro di Genova, in un maestoso edificio in stile liberty edificato ad inizio XX secolo, con parcheggi (a pagamento) a portata di mano, e a cinque minuti dalla stazione.

Come per il passato non si può non elogiare l’organizzazione di Vinnatur: ai banchi degli espositori non mancano mai pane e acqua, i ragazzi dell’alberghiero si prodigano nello svuotare le sputacchiere e c’è, a pagamento, il benedetto guardaroba (in inverno è davvero noioso girare per banchetti con giacche e cappelli in una mano e bicchiere e penna nell’altra).
L’unico consiglio che mi sento di dare per migliorare ulteriormente: sarebbe bello un catalogo dei produttori un pochino più corposo, con la mappa, il dettaglio dei vini e un piccolo spazio per gli appunti.

vinnaturLe impressioni generali: ho la sensazione che il numero degli espositori sia diminuito, ma forse è l’effetto della maggiore metratura dello spazio espositivo; di sicuro sono molto minori i banchi relativi al cibo.

Per quanto riguarda i vini, avendo poco tempo mi sono preso l’impegno di dedicarmi quasi esclusivamente ad aziende che non conoscevo (a parte qualche ri-assaggio “goloso” di nomi che gradisco particolarmente) e qui iniziano le note meno positive: la media non è stata entusiasmante, tra bicchieri decisamente troppo giovani, qualche volatile un po’ troppo evidente, molti sorsi “corti” e varie altre rusticità.
Forse era la mia giornata sfavorevole, forse sta cambiando il mio approccio a certe tipologie di vino, ma le mie sensazioni hanno avuto pieno riscontro anche dalle quattro chiacchiere scambiate con alcuni amici incontrati.

vinnaturMi limito a segnalare brevemente quello che mi ha colpito favorevolmente: davvero interessante il Carignan del Domaine Vinci, vitigno e zona (il Roussillon) da me sempre trascurati; bene tutti i prodotti della azienda Radoar (se ricordo bene dalla Valle Isarco), con evidenza particolare ad un Kerner morbido e piacione senza essere stancante; una scoperta i Fiano de Il Don Chisciotte: macerazioni senza esasperazione che regalano complessità e gusto, mai prevaricando il vitigno; davvero godibilissime le selezioni Zanovello di Cà Lustra (Colli Euganei), in particolare ‘A Cengia (Moscato bianco e Fior d’arancio) e Girapoggio (C. Sauvignon e Carmenere).
Menzione a parte per la conferma assoluta Camillo Donati: i suoi rifermentati in bottiglia (tutti) hanno non una ma due marce in più rispetto agli altri assaggiati e possiedono il raro dono di una bevibilità assassina…

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Festival Franciacorta Genova 2014

FranciacortaAll’ingresso ti danno il libricino, che oltre a tutti i dati sul Franciacorta, dagli uvaggi, al metodo di produzione, passando per tipologie e modi di consumo, riserva una pagina per ciascuno dei 32 produttori, divisa equamente a metà per ognuno dei due vini in degustazione, con nome, millesimo e uvaggio e lo spazio per annotare le impressioni.

Ecco, quello che più colpisce del Festival Franciacorta (alla sua prima edizione a Genova) è la cura nei dettagli: quella sopra raccontata è una comodità impagabile nelle sessioni di degustazione delle varie manifestazioni, occasioni in cui hai il bicchiere in una mano, la giacca nell’altra, qualche depliant sotto l’ascella, la penna dietro l’orecchio eccetera, e per prendere un appunto devi fare i contorsionismi da fachiro indiano alcolizzato.

Le altre carinerie nei confronti dei visitatori vanno dalla brochure in formato sia cartaceo che elettronico (su chiavetta usb), al gadget portachiavi, dalla location spaziosa e luminosa (i Magazzini del Cotone presso il Porto Antico, dove si svolge solitamente anche Terroir Vino) al catering semplice ma appetitoso, dalla ricca fornitura di acqua in bottigliette ai banchi di assaggio ciascuno con la presenza del produttore e di un sommelier qualificato con tanto di termometro per verificare la temperatura di servizio.
Difficile chiedere di meglio per 15 euro di ingresso (10 per i soci AIS, Fisar, ONAV ecc.)! Il confronto con la mia visita a Vinum di pochi giorni prima è davvero impietoso…

Franciacorta

Per un appassionato di bollicine come il sottoscritto è stato un pomeriggio di festa più che di analisi degustative, inoltre, giocando in casa, ho avuto modo di incontrare tanti volti noti, sia tra il pubblico che tra i colleghi sommelier al servizio; mi limito a qualche nota veloce e sparsa sulle cose più interessanti.
Non posso non iniziare da Bersi Serlini: la signora Chiara mi ha accolto come sempre in maniera splendida e mi ha fatto assaggiare un nuovo prodotto che ho gradito molto per freschezza, vivacità o originalità: il Brut Anteprima, dalla vivacità spiccata declinata in una mela verde croccantissima. Un bidone intero per l’estate, please.

Sarebbe facile parlare bene dell’Annamaria Clementi Riserva 2005 di Cà del Bosco, così come del Pas Operè 2007 di Bellavista, ma anche inutile, vista la fama.
Preferisco quindi spendere due righe per qualche outsider (perlomeno per me) come Chiara Ziliani, che sia nel Brut che nel Saten mostrava due vini con piacevoli ed intensi accenti di lievito, il Rosé di Cortebianca, strutturato e selvatico, la delicatezza floreale del Saten 2010 de Il Mosnel, la personalità e la buona persistenza del Demetra Brut di Mirabella, la unicità dei sentori di pesca bianca del Saten di Montenisa, la verticalità carica e decisa del Brut 2009 di Vezzoli.

Piccole delusioni: Uberti, con qualche sentore scomposto sia nel Brut Francesco I che nel Comari del Salem, e Monterossa, che mi è sembrato un po’ grossolano in entrambi i vini. Spero di cambiare le mie impressioni con un prossimo assaggio.

Impressioni finali: buona qualità media, un po’ troppi vini certamente ben fatti ma senza una personalità spiccata, ma c’erano 62 prodotti in degustazione e di certo un non esperto come il sottoscritto a metà batteria inizia a perdere le capacità palatali e un po’ di concentrazione.

Che dire, se non i complimenti per la superba organizzazione e la speranza di rivedere il Festival Franciacorta dalle mie parti anche il prossimo anno (o anche prima: non mettiamo limiti alla provvidenza). Se la manifestazione fa tappa dalle vostre parti, non fatevi sfuggire l’occasione.

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Sestri Les Vins 2014

Seconda edizione per la manifestazione targata Vinnatur, e stavolta il tempo ha assistito: niente diluvio e gelo come lo scorso anno. Di questi tempi è già una notizia…

Subito le note spiacevoli: ad occhio direi meno espositori ed anche meno pubblico (ma sono andato in un orario mirato, quindi può essere una impressione sbagliata), non c’è più lo sconto per i tesserati AIS, non c’è all’ingresso il libricino con l’elenco dei produttori e neppure una mappa per evitare di bighellonare a caso.
Ancora: pur essendo presente una ricca partecipazione di banchi gastronomici (molti dei quali nettamente troppo cari) e conseguente ricca dotazione di piatti e posate usa e getta, ci sono ben pochi bidoni dei rifiuti, tanto che nell’area esterna qualcuno provvede pietosamente a legare dei sacchi della spazzatura a dei sostegni.

I lati buoni: non c’è troppa calca e l’atmosfera è rilassata, il prezzo di ingresso è corretto, c’è il guardaroba, le sputacchiere vengono svuotate con solerzia, c’è buona dotazione di pane ai banchi di assaggio, soprattutto la selezione dei vini era di buona qualità media.

Qualche nota veloce e sparsa sugli assaggi: sontuoso, anche se davvero troppo giovane, il Taurasi 2008 del Cancelliere, assaggio sfortunato con la Malvasia di Donati (puzzette, un po’ troppo intense, ed è un peccato, visto quanto mi sto appassionando al produttore), bella macerazione, decisa ma non estrema, per il vermentino di Legnani.
Parlando di bolle:  mi hanno convinto più del solito i Franciacorta di Cà del Vent (ma che prezzi! 25 euro in fiera direttamente dal produttore, dai…), e ho trovato molto piacevole un prodotto che non conoscevo, il rosè Metodo Classico Oltrepo Pavese “Ancestrale” di Castello di Stefanago: succoso, ricco, morbido ma non piacione. Bello anche il riassaggio del Mira di Porta del Vento: semplice ma con gusto e personalità.

Una piccola scoperta i vini di Daniele Piccinin, bene i rossi, forse non troppo personale il pinot nero, ma a mio parere spiccano i bianchi: freschissima, bella dritta ma bevibilissima la Durella in purezza, un pochino più rotonda e complessa la versione in uvaggio con lo chardonnay. Da riprovare volentieri appena possibile.

Non posso dimenticare Casale, di cui ho trascurato i rossi (che lo scorso anno mi erano piaciuti molto): molto buono il Trebbiano leggermente macerato, ma sontuoso il Vin Santo: degna conclusione della giornata, di intensità e complessità non misurabili, profumi di salamoia, datteri, miele, cantina e mille altri… si appiccica infinitamente al bicchiere che quando ormai ero a casa, un’ora abbondante dopo l’assaggio, continuava a riproporre tutto lo spettro aromatico completo. Capolavoro.

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Fornovo 2013: naturale e rustico (troppo?)

Come ogni anno da dodici a questa parte, a cavallo dello scorso weekend Fornovo ha ospitato una delle manifestazioni più note dell’enomondo italico, “Vini di Vignaioli – Vins de Vignerons“, non solo banchi di assaggio ma anche dibattiti, presentazioni eccetera.
La ragione sociale dell’evento dice tutto: si parla di vini veri, naturali, con tutto il casino che questa denominazione non ufficiale si porta appresso (mancanza non solo di un disciplinare ma persino di una definizione condivisa, molteplicità di associazioni in contrasto l’una con l’altra, confusione dei consumatori), ma anche con tutto l’appeal che la  patente di naturalità suscita ormai nel pubblico sia degli appassionati  generici che in quelli più hardcore.
La parte di titolo in francese completa la definizione: non sono presenti solo produttori italiani ma anche stranieri: francesi in particolare, ma anche sloveni, greci e georgiani.

La recente ventata di naturalità, di attenzione al biologico e di avvicinamento al biodinamico in pochi anni ha traghettato l’attenzione ai temi del biologico e biodinamico dai ristretti circuiti di carbonari fino alla massa dei consumatori, e manifestazioni come questa di Fornovo sono ormai meta di una massa significativa di partecipanti, al di qua e al di là del banco. Il risultato netto è che l’evento è arrivato a disporre di una quantità di proposte di assaggio da capogiro (si parla di oltre un centinaio di vignaioli presenti con varie referenze ciascuno), con una affluenza di pubblico ovviamente direttamente proporzionale.

Fornovo
Coda all’ingresso alle 11

Peccato che Fornovo non sia cresciuta allo stesso modo per quanto riguarda l’organizzazione: non ho idea di cosa sia accaduto gli altri giorni, ma domenica mattina alle 11 c’era già coda all’ingresso e la situazione era poco sostenibile dal punto di vista degli spazi interni, con difficoltà notevoli nello spostarsi da un banco all’altro e ben poche possibilità di parlare decentemente con il produttore senza alzare la voce.
I bicchieri forniti puzzavano, e per sciacquarli dopo le degustazioni (e per permettere la pulizia della bocca del pubblico) gli espositori avevano in dotazione minuscole brocche di acqua di rubinetto (non del tutto inodore), peraltro vuote in pochi istanti; ça va sans dire, non potevano mancare in terra i soliti pittoreschi secchi al posto delle comuni sputacchiere; del tutto assenti grissini e pane.
L’area esterna, che avrebbe dovuto fungere da spazio di “decompressione” e dar modo di mangiare qualcosa con un  minimo di calma, alle 13 aveva ancora le panche accatastate l’una sopra l’altra, inutilizzabili, e in ogni caso presentava ben poche zone coperte (e a novembre, si sa, di solito piove).

Fornovo
Folla all’interno alle 12

Sempre in considerazione della stagione e dell’inevitabile corollario di freddo e pioggia, non sarebbe male prevedere un servizio di guardaroba (a pagamento, per carità), in modo da poter depositare giacche e ombrelli, permettendo così di muoversi con maggiore libertà e senza morire di caldo.

Quanto sopra potrebbe non costituire motivo di lamentela per un evento di recente organizzazione e di limitate risorse, ma di sicuro è rilevante per una circostanza che si ripete da dodici anni, che chiede un biglietto di ingresso di 12 euro (più un euro per il pieghevole con l’elenco degli espositori, che peraltro è appunto un mero elenco, senza indicazione delle referenze presenti e senza una mappa dei banchi per facilitare il percorso! Dai, almeno fate un pdf e mettetelo sul sito…) e che può vantare varie sponsorizzazioni (leggo sul sito: Comune di Fornovo, Provincia di Parma, Regione, Pro Loco di Fronovo e altre sei aziende).

Lamentele logistiche a parte, luci ed ombre anche per quanto riguarda i vini proposti, visto che in più di una occasione si è trovata qualche bottiglia decisamente sgraziata, dove il concetto di “naturalità” non è ancora in accordo con quello di qualità.
Qualche appunto più o meno a caso riferito alle poche cose che ricordo: piccola delusione i due Alsaziani, Bannwarth e Paul Humbrecht: del primo ho trovato piacevole il Cremant (ad ottimo prezzo) e poco altro, e il secondo mi ha lasciato indifferente, mentre lo scorso anno aveva ottimi Pinot Gris e Gewurztraminer.
Molte riserve sugli champagne presentati da Boulard: interessante e personale il Vieilles Vignes e il Les Rachais 2007, ma i prezzi mi sembrano poco competitivi.
Piacevoli (e di prezzo abbordabile) gli Chenin di Loira di Bertrand Jousset: mi piacerebbe riassaggiarli con più calma e magari con qualche anno in più.
Sempre bene Maule, con una bella vendemmia tardiva di Garganega oltre ai “soliti” Masieri e Sassaia ; estremamente territoriali, sapidi, complessi di vini di Princic e Montinar; facilità e scorrevolezza di beva inconsueti per i rossi di Arianna Occhipinti (SP68 e Siccagno, peccato mancasse il Frappato); i miei soliti dubbi su Il Pendio: ne sento sempre parlare benissimo, lo incontro solo in qualche manifestazione quindi l’assaggio è giocoforza poco approfondito, e ogni volta ne ho la stessa impressione di vino ben fatto, piacevole ma nulla più.

Arrivederci all’anno prossimo, Fornovo, confidando nella solita naturalità ma magari in un pizzico di pittoresca rusticità in meno…

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Il mostro di formaggio: Cheese 2013

cheese1Guardate questa foto, vi prego. Questo è uno dei mercati di Cheese, ripreso domenica mattina alle 10.40 circa; ovviamente la folla sarebbe andata ad aumentare per tutto il giorno, perlomeno fino alle 16 e 30, quando, stremato, ho desistito e mi sono incamminato verso l’auto.

Li dico subito: non sono socio Slow Food e non ho certo la saggezza per suggerire alcunché a Petrini o ai suoi luogotenenti, ma sinceramente credo che sia venuto il tempo di ripensare queste manifestazioni-monstre: è pacifico che a tutti noi piace entrare nel Paese dei Balocchi per un giorno all’anno (o ogni due anni, come in questo caso), ma ormai abbiamo oltrepassato il livello del turismo di massa, siamo agli autobus che scaricano frotte di varia umanità condita da gelato e fotocamera compatta davanti al Vaticano, o ai 23 Km di coda in automobile il fine settimana per arrivare in una spiaggia con i lettini accatastati in spalla gli uni agli altri…

Non è questione di snobismo: in mezzo a questa folla di malcapitati, a sgomitare per una briciola di formaggio della Macedonia o per un cucchiaino di yogurt africano c’ero anche io, e non certo per la prima volta… Io sono colpevole tanto quanto tutte le altre migliaia di bipedi vocianti e sudati presenti.

Il punto è che inizio a chiedermi che senso abbia tutto questo circo (a parte ovviamente il godere del Paese dei Balocchi di cui sopra), quando ti rendi conto che, pur con tutta la buona volontà, non potrai scambiare una parola con i produttori, non riuscirai a leggere una riga dei cartelli accanto agli stand, non avrai modo di camminare tranquillamente e di fermarti ad annusare senza rompere le scatole ad altre venti persone che attendono dietro le tue spalle…
Inizio a chiedermi perché ad ogni manifestazione di SF ci debbano essere gli stand della piadina romagnola, delle olive ascolane, della farinata genovese eccetera eccetera, via col giro d’Italia.
Soprattutto, ora che il cibo è tornato ad acquisire dignità e centralità e che il concetto dei presidi è ben noto, mi chiedo se il famoso slogan del “Buono, pulito e giusto” non faccia fatica ad armonizzarsi con i formaggi paracadutati qui da mezzo mondo, con le migliaia di auto parcheggiate sotto la collinetta di Bra e lungo la strada, con gli autobus che fanno saliscendi continuato, con i bar che ormai hanno capito l’antifona e hanno messo pure loro il banchetto all’aperto, proponendo birra e gelato industriali ai visitatori meno accorti, con la gente che si spintona per un piatto di qualsiasi cosa e lo mangia in piedi o seduta in terra, accanto all’onnipresente logo “Slow”.
Certo, i contrasti sono il sale della vita, ma vedere dei tizi che arrotolano spaghetti alle vongole seduti ai tavolini di un bar di Bra (Cuneo, Piemonte) durante lo weekend di Cheese, ha qualcosa di surreale….

Immagino che per SF manifestazioni come questa siano una ottima fonte di marketing e di reddito (libri venduti, laboratori, espositori paganti), così come sono certo che per la cittadina di Bra un evento simile valga più dell’oro, e che quindi sia ben difficile trovare il coraggio di metter mano al carrozzone per ridimensionarlo, però ritengo che sarebbe un bel segnale di coerenza e un salto di qualità notevole da parte della associazione.
Immagino non più un unico Cheese-monstre ogni due anni, ma tanti piccoli Cheese basati sulle realtà locali (e magari alcuni, pochi, selezionati prodotti ospiti, scelti sulla base di affinità), con eventi magari solo a prenotazione e a pagamento.
Certo, per noi appassionati finirebbe il Paese dei Balocchi in cui nello stesso giorno puoi levarti la voglia di cheddar e caciocavallo, ma forse ci aiuterebbe a crescere, ad essere più consapevoli, e scongiurerebbe la deriva da “sagra della salsiccia con orda di turisti giapponesi”.

cheese2Detto questo, Cheese è sempre una gran figata per la possibilità di assaggiare tutto quello che hai in mente e anche oltre, e l’organizzazione è impeccabile: gli spazi per i dibattiti, i parcheggi ai piedi della città con gli autobus che portano in centro, la moltitudine di isole ecologiche presidiate da ragazzi che ti aiutano a buttare il rifiuto nel contenitore giusto, i laboratori con traduzione istantanea bilingue, il centro informazioni accogliente e cortese, e tanto altro ancora…

Temo che ci rivedremo nel 2015.

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Festival Franciacorta

Di solito succede che vai alle manifestazioni (degustazioni, festival, incontri eccetera) e poi se qualcosa ti ha colpito, in positivo o negativo, scrivi le tue impressioni.
Stavolta non posso fare a meno di spendere qualche riga su di un evento prima che accada e soprattutto sapendo che non potrò presenziare, ma il programma è così ricco e interessante che davvero relegare la sola segnalazione al calendario eventi mi sembra uno spreco.

logo-franciacortaNon ho voglia di andare a controllare e a contare i post, ma chi mi segue ha di certo notato che una parte considerevole dei vini di cui parlo sono spumanti (sì, lo so che non si può più usare la definizione generica di “spumante” ma occorre specificare: metodo classico, charmat, Franciacorta, Trento DOC, Prosecco dei Colli Asolani e via così, passatemi la semplificazione), e quindi si può immaginare come mi dispiaccia non potermi prendere due giorni in libertà (il 28 e il 29 Settembre) per affondare nel mare di bolle del Festival Franciacorta, per il quale avevo ricevuto il cordiale invito di una azienda che non conosco e della quale ho in programma di assaggiare i prodotti quanto prima: Bersi Serlini.

Sono stato in Franciacorta due anni fa circa, ho visitato un paio di cantine, una grande e una più piccola, e ho mangiato in un paio di ristoranti: ho attraversato (purtroppo) velocemente un territorio magari non paesaggisticamente affascinante come possono essere le Langhe o certi colli Toscani, ma di certo ho incontrato persone e aziende cordialissime e soprattutto estremamente professionali e determinate.
Per questo non mi sono stupito più di tanto quando ho visto la incredibile ricchezza del programma del Festival: ci sono ovviamente le degustazioni con cibo in abbinamento, eventi artistici e musicali, incontri e dibattiti con operatori del settore, passeggiate guidate nei vigneti, merende e picnic all’aperto, cene formali e non e molto altro ancora (qui il programma completo).
Trovo molto interessante l’idea dei tour con bus gratuiti: in pratica vari bus sono abbinati ad alcuni percorsi con visita guidata e degustazione in due o tre aziende.

Per chi ne ha la possibilità, direi si tratta di una manifestazione da non perdere.

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